Lisbona europea, fra Pereira e un nuovo mondo

di GIORGIO OLDRINI

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A Nini Briglia, direttore di Panorama, giornale nel quale allora lavoravo, per commentare l’entrata in circolazione dell’euro venne in mente di inviare vari giornalisti nelle capitali europee e raccontare la giornata qualunque di una persona normale. Io venni inviato a Lisbona a seguire per 24 ore una giovane giornalista di un quotidiano della capitale. Sono sempre stato un europeista convinto e salutavo l’avvento dell’euro con gioia, come un primo passo verso un’Europa unita e dunque di pace. Mio padre Abramo, comunista durante il fascismo, era internazionalista, ma lo fecero andare all’estero per la prima volta in vita sua su un trasporto forzato fino a un lager nazista. Prima volta che solo per un caso non fu anche l’ultima. E quando si parla di Europa ho sempre negli occhi il cimitero della cittadina austriaca di Steyr, vicino a Mauthausen, con le infinite croci dei morti della Prima Guerra mondiale, il monumento ai lavoratori coatti della Seconda guerra mondiale bruciati in un bombardamento della loro fabbrica e il cippo per i deportati assassinati nella marcia della morte da est a Mauthausen e cremati lì, tra i quali avrebbe potuto esserci anche mio padre. Porterei in quel cimitero chi si dichiara anti europeo, per mostragli cosa è stata per buona parte del secolo scorso la civile Europa divisa.

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Ma confesso che il cambio di moneta, compreso un nome diverso, euro invece di lira, mi faceva tornare in mente l’Argentina dove ad ogni ciclica crisi finanziaria la moneta muta di nome, ufficialmente o popolarmente. Così che i modi di definire il denaro sono infiniti in quel Paese, certo peso, peseta, ma anche duro, guita e via elencando. Gli argentini nel tempo sono diventati rapidissimi nel calcolare le differenze tra il valore della moneta del mattino con quella del pomeriggio, veri calcolatori umani. Anch’io all’inizio facevo ogni volta un cambio mentale automatico quando dovevo acquistare il pane o la benzina o qualsiasi altra cosa. Moltiplicando il prezzo in euro per due rispetto alla lira. Quando alla fine ho smesso di farlo, ho capito che ormai l’euro era definitivo anche per me.

A Lisbona seguendo quella giovane collega, tra bus, redazione, pranzo volante e una serata tra amici con birra e qualche spinello, avevo colto la voglia di quei ragazzi di sentirsi parte di un continente che fino ad allora aveva tenuto il Portogallo un po’ ai margini. In fondo lunghi anni di dittatura fascista avevano relegato il Paese in una sorta di isolamento favorito anche dall’essere geograficamente laterale. Tra l’altro anche la pessima figura del tiranno Antonio Salazar era stata offuscata dal ben più noto vicino spagnolo Francisco Franco. Solo Antonio Tabucchi con il suo “Sostiene Pereira” aveva riportato in vita quel periodo di dittatura.

Qualche spazio nuovo si era aperto per i portoghesi dopo la straordinaria Expo del 1998 che Lisbona aveva dedicato, non a caso, all’Oceano. In fondo il Portogallo per secoli era stato tra i dominatori dei mari e per quell’occasione non solo erano arrivate da tutto il mondo 11 milioni di persone, ma una parte importante della città era stata cambiata profondamente.

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Un fermo immagine dal film "Sostiene Pereira"

In quei giorni colsi il segnale di un mutamento e di una contraddizione dell’Europa, e non solo, che si sarebbe diffuso rapidamente. Sindaco della città era un socialista, Joao Suarez, che, grazie all’Expo aveva trasformato il lungo fiume del Tago in un luogo meraviglioso. Prima lì era una immensa discarica a cielo aperto, orrenda e maleodorante. Suarez l’aveva fatta diventare il Parco delle nazioni con l’Oceanario, il Padiglione Atlantico, la Torre Vasco da Gama, un ponte di 17 chilometri, una infinita passeggiata ricca di punti di ritrovo, la nuova stazione di Santiago Calatrava. Di lì a poche settimane ci sarebbero state le elezioni amministrative. Alla mia giornalista e ai suoi amici dissi ingenuo: “Suarez stravincerà”. Mi sorpresero: “Perderà. La destra ha fatto una campagna assillante sostenendo che la città è sporca e che ci sono troppi immigrati ucraini, violenti e minacciosi. Hanno diffuso la paura”.

Ma come, la speranza di una moneta unica, di confini europei finalmente aperti con le persone più libere di muoversi, soprattutto i giovani, e vince la paura di qualche immigrato ucraino e la critica per l’igiene urbana? In una città che il sindaco ha cambiato radicalmente? “Perderà” disse senza appello la ragazza. Aveva ragione, poche settimane dopo Suarez perse le elezioni e quella strategia della destra divenne comune a tante altre parti dell’Europa, e spesso vincente. Euro, frontiere aperte e paure, speranze di aperture e voglia di chiusure. Non è vero che la “contraddizione nol consente”.



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