Il luccichio di quest’angolo del bazar di Dezful, nel Khuzestan iraniano, è quasi abbagliante. I tessuti, dai mille colori e scintillanti
sfumature argentate e dorate, ti fanno perdere in un universo kitsch stra-ornato di paillette. Un universo molto lontano dalla storia
dei tessuti della Via della Seta. Eppure i clienti si affollano per sceglierne uno. Il venditore, nel suo negozio sotto le secolari
arcate del bazar, mostra fiero uno degli articoli. Tutt’attorno le volte si dipanano in labirinti concentrici, ogni via coperta assume
i colori delle merci in vendita.
La zona dei venditori di vassoi, coppe, braccialetti in rame, assume i caldi colori rossi tipici di quel metallo; la zona dei gioiellieri
luccica d’oro e di turchese e di altre pietre per anelli, in gran parte maschili. Lungo la Via della Seta tradizionalmente gli uomini
portano vistosi anelli d’argento con pietre incastonate, oggetti ormai iconici e tornati di moda in Occidente, che in Iran sono stati per
molti anni considerati tipici dei Khomeinisti, ma che per fortuna oggi sono "rientrati" nella loro millenaria storia.
L'area riservata agli oggetti in vetro e alle pentole assume colorazioni argentate o legate alle mille sfumature del vetro.
Ai colori si aggiunge un’esplosione di odori quando si arriva nella zona dei venditori di spezie. Le spezie, da sempre associate
ai mercanti, ai lunghissimi viaggi dalla Cina e dall’India verso Venezia, a dorso di cammello e di cavallo. Un tempo le spezie valevano
più dell’oro e si riteneva che avessero poteri curativi.
Molte delle scoperte geografiche europee nel 1400 furono fatte per eludere il controllo delle rotte commerciali da parte dei paesi
islamici mediorientali, del Centro Asia e della Repubblica di Venezia. La circumnavigazione dell’Africa e la scoperta dell’America
avvennero per questo motivo. La regina delle spezie iraniane è pero autoctona, è l’oro rosso, lo zafferano. L’Iran ne produce
la migliore qualità al mondo.
In questa zona del bazar si vendono anche pistacchi - di cui la Persia è uno dei massimi produttori mondiali - noci, mandorle e
tante bacche e frutti canditi che arricchiscono tanti piatti iraniani come il riso, gli stufati di carne e pesce e i dolci.
Un paradiso per l’olfatto sono anche i negozi che vendono dolci, in Khuzestan hanno molte similitudini con quelli arabi e sono ricchi
di sesamo, datteri e miele. Nei negozi si trovano anche quelli prodotti nel resto del paese, come il gaz, il torrone iraniano, il sohan,
una specie di croccante, il baklava iraniano, diverso da quello arabo e che è di fatto un dolce di pasta di mandorle, pistacchi o noci.
L’Iran è famoso anche per l'ottimo gelato orientale, leggermente gommoso, tipico anche di Siria, Libano e Turchia. In Persia viene
fatto allo zafferano e si chiama bastanì.
Ancora nel settore alimentare, oltre a quelle dei coloratissimi fruttivendoli vi sono le aree dei macellai e dei pescivendoli. Qui
prevalgono l’argento dei pesci, il rosso della carne e gli odori molto intensi. Anche nel bazar di Dezful non può mancare ovviamente
l’area dei venditori di tappeti: non c'è un colore prevalente ma un fuoco d'artificio cromatico. Colori e trame richiamano
le tantissime tribù nomadi che da millenni popolano la Persia. Ogni gruppo ha le sue geometrie, ogni geometria il suo codice,
il suo messaggio segreto.
Vi è poi una zona destinata ai ceramisti e agli antiquari. In molti bazar iraniani gran parte degli artigiani della ceramica
sono tradizionalmente ebrei e armeni. Ancora oggi, tanti dei ventimila appartenenti alla comunità ebraica che ancora
vivono in Iran hanno negozi al bazar. E non è raro, soprattutto a Teheran, Isfahan e Hamadan, trovare candelabri a sette braccia
o le tavole della legge rappresentate sulle ceramiche.
Gli antiquari sono poi ricolmi di oggetti interessanti, moltissimi originali e alcuni falsi; il divertente è proprio scovare
il pezzo buono e contrattare sulla cifra. L’atto di contrattare è insito nella natura stessa del bazar e solo chi possiede quest’arte
può muoversi perfettamente nel magma di merci, venditori, storia e cultura.
I bazar esistono da sempre e nonostante le scarse prove archeologiche se ne parla già in testi antichi, parecchie centinaia d’anni prima
di Cristo. La loro storia è profondamente connessa con quella dei caravanserragli, alberghi fortificati che si trovavano lungo tutte
le strade e piste che portavano i mercanti dalla Cina ai porti e alle maggiori città dell’attuale Turchia, Siria e Libano o del Nord Africa.
Nei caravanserragli si dormiva, si facevano riposare i cavalli o i cammelli e si proteggevano le merci.
Nei bazar, un tempo situati fuori dalle città, si vendevano i beni ai commercianti della zona o a mercanti che li trasportavano ancora
più lontano. Erano collocati fuori dalle città perché molte delle lavorazioni erano rumorose o emettevano odori non piacevoli. Esisteva
poi una seconda rete di commercio, che portava le carovane di cammelli dal Centro Africa verso i maggiori centri del Nord Africa.
E una terza che sfruttando i monsoni che facilitavano la navigazione connetteva i porti indiani e pakistani ai paesi che si affacciavano
sul Golfo Persico, all’attuale Oman e Yemen, al Corno d’Africa e al Mar Rosso. Dal Nord Africa, durante il Medioevo, oltre alle rotte
con il mondo governato dai cristiani, che si dirigevano prevalentemente verso Venezia e le altre Repubbliche Marinare, esisteva una rotta
che portava le merci dal Nord Africa ai califfati islamici europei, in Spagna e Sicilia.
Nella religione islamica i commercianti sono ben visti, il profeta Mohammad era sposato con una commerciate, Khadija. Questo ha favorito
la creazione di un mondo fertile per i mercanti. Ha anche aiutato il fatto che i musulmani tendenzialmente non convertivano i popoli
che si sottomettevano al potere del califfo islamico, motivo per il quale i regni islamici avevano vastissime popolazioni cristiane,
delle chiese più disparate, sfuggite alla centralizzazione cattolica e a quella di Costantinopoli. Inoltre vi erano grandi comunità
ebraiche e zoroastriane. Per non parlare delle mille forme di induismo e buddismo che si trovavano nell’India Moghul o delle religioni
tradizionali cinesi, nelle aree della Cina che furono conquistate dai califfati e imperi islamici, le stesse dove oggi vivono gli uiguri,
gli islamici cinesi.
Tutto questo creò un immenso spazio multiculturale, governato nel nome dell’Islam, dove popoli e merci si muovevano dalla Cina al Nord Africa,
fino all’Europa Meridionale. Uno spazio politico e culturale con regole non dissimili da quelle dell’Impero Romano. Una volta conquistati
a fil di spada, ai popoli sottomessi veniva garantita libertà religiosa, culturale e un certo benessere. In cambio si chiedeva che
riconoscessero il potere, in questo caso non dell’imperatore, divinizzato, che però accettava anche gli altri dei, ma del Califfo Islamico.
I non islamici facenti parte del popolo del Libro (la Bibbia), cristiani ed ebrei, ma anche altri, per esempio zoroastriani, yazidi,
buddisti e induisti, che vennero considerati alla stregua del popolo de Libro, pagavano una tassa, per poter non convertirsi.
Questa società in cui i commercianti erano benedetti da Allah e in cui mercanti ebrei, cristiani, zoroastriani, buddisti o induisti
si muovevano agevolmente aveva bisogno di edifici e strade che permettessero tale commercio. Ecco che il mondo islamico si riempì di vie,
porti ed edifici adibiti al commercio. In primis, caravanserragli e bazar, chiamati in arabo suq.
I bazar piano piano si spostarono nei centri abitati, per diventare, insieme alle moschee e alle residenze dei Califfi o degli Shah,
come venivano chiamati in Iran ed India, il centro del potere cittadino. Rappresentavano i tre poli centrali della società.
La piazza centrale di Isfahan, prima della rivoluzione khomeinista chiamata Immagine del Mondo, fu costruita basandosi sulle vecchie
credenze zoroastriane dei quattro elementi che formano la vita, acqua, terra, aria e fuoco. Tali elementi furono restituiti sul piano
dell’architettura in chiave islamica, riunendo nella medesima piazza i quattro elementi fondamentali della società musulmana: la moschea
principale, la moschea per le donne della corte reale, il palazzo reale ed il bazar. Non lontano, vi erano poi il quartiere degli armeni,
deportati nel 1600 per favorire il commercio nella capitale safavide e quello ebraico.
I suq o bazar avevano di solito un sovrintendente e un responsabile per i controlli sui pesi e misure; era infatti indispensabile
che si avesse fiducia nell’istituzione e nelle corporazioni dei mercanti, e che vi fosse un controllo dei prezzi: per centinaia
d’anni sono stati la spina dorsale dell’economia dei califfati ed imperi islamici, dei commerci con l’Europa, per poi decadere piano,
piano, a livello internazionale, ma senza mai perdere la loro centralità nel commercio e nella politica dei paesi in cui sono ubicati.
Ancora oggi in Iran, la classe dei commercianti del bazar ha un ruolo di un certo livello.
Perdersi nei meandri del bazar di Dezful, tra la folla di compratori, curiosi e venditori, rimane un’esperienza quasi intima,
in cui si scompare tra la folla, in un luogo senza tempo, dove ogni arco, via e bottega ti trasporta in un viaggio nella millenaria
della Via della Seta.
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