La Salierno bella
Ho vissuto a Salerno dai 7 fino ai 12 anni, dalla seconda elementare alla seconda media. Lì ho finito di essere bambino, lì ho cominciato ad essere ragazzino (aspè, com’è? preadolescente). Non era, allora, la Salerno delle Luci, il centro storico era torvo e cupo, anche se il sontuoso negozio di giocattoli che vi spandeva le sue meraviglie dava ai miei occhi le emozioni che neanche la grandeur del vicino Duomo riusciva a eguagliare. Forse solo la pasticceria da cui poco lontano debordava la crema dai cannoli fritti.
D’altra parte andatelo a dire a un preadolescente di scegliere tra un Duomo e un negozio di giocattoli o una pasticceria.
Chissà di tutto questo cosa c’è ancora. Magari tutto, magari niente. Non ho voglia di trovarmi le solite facili risposte su Internet, e poi qui si parla della Salerno del cuore, di una specie di translucido da applicare sulla realtà, come si fa nei libri per preadolescenti per far vedere come erano i Fori, come era il Colosseo. Queste cose qua, insomma.
So solo che l’epiteto di questa città è sempre stato ed è “la Bella” e bello è davvero questo luogo del cielo (questo però già l’ha detto qualcuno di un’altra città). Ma la bellezza di cui voglio parlarvi non è quella della Storia adulta, della Scuola Medica, dei cultori e degli eruditi, è quella del preadolescente che risaliva Via dei Principati e nascosta dietro una scala scovava la friggitoria dei crocchettini (che, come il pernacchio marottiano degradatosi in pernacchia, poi la vita avrebbe degenerato in “crocchetta") a 5 lire l’uno, minuscoli, da comprare a cuoppi, concentrato sapidissimo di patate e pepe, o l’odore della pizza da asporto che alle 19 si diffondeva dai forni (ma quali cartoni? In mano, piegata a libretto, come un’antica segnatura).
Cibo, e pallone. In cima alla strada l’Oratorio dei Salesiani si apriva: mondo di iniziazione e di gioia sfrenata, di fede per amore o per forza (la tessera con i bollini: ogni 10 messe un cinema gratis), di campi sterminati da suddividere in campetti e giocare a una sola porta, e subire l’umiliazione della scelta o non scelta dei capitani che formavano le squadre. Ma tu poi lo sapevi che avevi portato il pallone, e dunque ti sceglievano…ti sceglievano…. E poi alla luce del crepuscolo che ombreggiava i portici, i campi, le salette dalle attività frenetiche (pure i primi complessi beat ci provavano) le enigmatiche partite a “T’foco e t’liscio” (ma non pronunciate le finali per favore). Uno cercava tutti: se vedeva qualcuno gli gridava “t’foco a….” e lo eliminava. Ma sempre aveva l’angoscia di essere sfiorato (a volte pure con una bella mazzata) da un occultato sbucato da dovunque che con uno scampanellante "t’liscio!!" gli toglieva, kryptonite umana, qualunque potere e lo umiliava.
Era, in poche parole, la vita: a cui il preadolescente si abituava.
E poi? C’erano abbastanza penombre nella villa comunale di sera per cominciare ad accendere un principio di sesso, alimentato dal segreto rivelato dall’amichetto che già lo aveva sperimentato, e cinema occhieggianti, ed edicole che mostravano qualcosa di più. Tanto poi, dieci messe all’oratorio e oltre al film ti prendevi anche l’assoluzione del salesiano di turno.
La prima cosa che lamenta la “sbentorata” Donna Sabella (mò non mi fate fare l’erudito, lo storico, l’etnologo) nell’antico canto popolare è proprio la perdita della Salierno bella, il regno del terrorizzante pazzo mendicante forse ex professore di matematica, dei negozi di musica che odoravano di legno e di elettronica e in cui campeggiava il mitico Farfisa Professional (endorser — sì adesso si dice così: infatti pure il preadolescente non c’è più — Lionel Hampton) l’organo dai tasti invertiti nei bassi, i negozi coi cappelli dei Beatles e i teneri anelli a cap’e muorto su dita unte di crocchettini, le luci che erano solo le modeste luminarie da cui cadde un operaio fulminato, l’11 che attraversava la città verso il doposcuola, il gelato a “crapriccio”, il porto a S.
Che ci sarà ancora di tutto questo? Qui si deve viaggiare, no?: fatelo e fatemelo sapere, ma delle Luci non mi importa poi tanto. Mi importa sapere se al Vicolo della Neve la pizza è ancora buona e se uscendo si rabbrividisce sempre.
…aggio perduto la Salierno bella…
Testo della Canzone
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