GUSTO DI MONTAGNA
IL VIN DE LA NEU
IN VAL DI NON
In alto, talmente alto che più su non vive. La vite, sulle Dolomiti, è uno dei più importanti indicatori ambientali. Sancisce limiti, scandisce il territorio. Senza tentennamenti. È la pianta che meglio interpreta la fatica dei montanari. Gente che dalla loro vigna hanno sempre ricavato sollievo, non solo economico. Semplice, franco, buono come solo le cose schiette sanno esserlo. Qualcuno ha definito il vino dei montanari una sorta di ‘peccato alcolico’.
Di sicuro fare vino in quota non è per tutti. Caparbietà, esperienza e fatica. Tra filari di campi vitati strappati alla montagna, pendii ripidi, talvolta a rischio di equilibrio, ma splendidi crinali dove la vite alligna con grazia, non solo estetica. Colture di montagna che sono contemporaneamente barriere e cerniere, che rifiutano o rilanciano, selezionando secondo natura solo i riscontri di maggior significato. Amenità paesaggistica, caparbietà rurale. Senza soste. Un vigneto collinare non sopporta la meccanizzazione. Solitamente troppo poco esteso – la frammentazione fondiaria è caratteristica portante di tutto il sistema agricolo dolomitico – e comunque troppo ripido. Forme d’allevamento – la pergola non a caso identifica la coltura della vite in alta quota – per sfruttare meglio l’esposizione delle piante al sole, per recuperare ogni minuscolo appezzamento, terreni sorretti da mura di sassi a secco, tra l’azzurro del cielo alpino e quello di tanti specchi d’acqua, torrenti o ruscelli che solcano le vallate.
Vigneti arditi. Dove si deve operare ancora con la manualità, gesti e metodi agricoli che ben poco concedono al risparmio: quasi 600 ore l’anno per accudire un ettaro di simili filari; altro che part-time o impegno saltuario di facile pianificazione. In vigna ci si vive. Quotidianamente, dalla potatura invernale fino al rito della vendemmia. Ogni anno, di anno in anno, apparentemente sempre uguale eppur sicuramente diversa. Lo garantisce la variabilità delle zone vitate, diverse, affascinanti, ognuna con specifiche peculiarità, inconfondibili.
Vini di terre alte, che diventano ‘totem’, pronti ad evocare emozioni da legare ad un luogo preciso - da nord a sud, dalle Alpi ai Vulcani, sempre rimanendo ‘in alto’ - ad un vissuto - la storia di una comunità - e pure alla persona, all’artefice ‘di quel vino’.
E in tema di vigneti e montagne, allora, citazione doverosa per un vino bianco decisamente ‘d’alta quota’: è il Vin de la Neu, vale a dire ‘vino della neve’. Lo produce Nicola Biasi a mille metri di quota - le vigne sono nella neve - in val di Non, sulla Predaia. Le uve sono altrettanto ‘resistenti’, vale a dire varietà Johanniter, viti che non hanno bisogno di trattamenti chimici. Nicola Biasi è l’enologo che tra i primissimi in Italia ‘progetta vini’ basati appunto su queste varietà chiamate PIWI, acronimo tedesco che significa ‘resistenti alle malattie fungine, muffe dannose alla maturazione dei grappoli’. Vino secco, preciso nella fragranza aromatica, sentori agrumati (sembra impossibile per un vino da neve!) sapido nel finale e con un nome assolutamente intrigante. Raro e quindi prezioso anche nel prezzo (attorno a 80 euro)
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