08 maggio 2023

GENTILE, GROSSA
NERA E GRIGIA
TUTTI I NOMI
DELLA SCHIAVA

di NEREO PEDERZOLLI



(foto da Consorzio vini del Trentino)


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Sul perché la Schiava si chiami così e come mai nelle valli dolomitiche di madre lingua tedesca venga chiamata pure Vernatsch, é aperta una vera e propria ‘querelle’ scientifica. Per vite ‘schiava’ s’intendeva una pianta ‘legata ad un sostegno morto’, solitamente un palo, in certi casi però un gelso rigoglioso, all’olmo, talvolta pure un melograno. ‘Schiave’, dunque piante vincolate. Secondo approfondite indagini storiografiche, il termine ‘schiava’ potrebbe derivare da una complicata triangolazione fonetica e da una altrettanto misteriosa peregrinazione della vite. La Schiava potrebbe essere stata introdotta nel nord Italia da Longobardi e Unni. Non a caso nel tardo medioevo questo tipo d’uva era chiamata Heunisch o Hunnisch. Vite vincolata ad un palo, dunque vite stanziale. Ed ecco allora la definizione ‘Vernacolus o Vernacius (ovvero: ‘del posto’) parola mutata in tedesco da Vernaccia in Vernatsch. Come dire: tante ipotesi, medesimo significato. Schiava o Vernatsch, sempre uva generosa per vini altrettanto popolari.



La culla per antonomasia di questa varietà di vite è unanimemente ritenuto la sponda solatia del lago di Caldaro. Lo testimoniano documenti antichi, quelli che rafforzano pure l’origine della definizione Schiava/Vernatsch. Risale al 12 marzo 1273 la prima citazione dell'uva, per un vino altrettanto locale che poteva essere di colore sia rosso che bianco: è un documento del Principe Vescovo di Trento che concede al conte tirolese Mainardo II il diritto di coltivare viti vicino Caldaro. Vino nuovamente citato nel 1337, successivamente registrato costantemente - dal 1479 ai primi del 1600 - tra gli elenchi di vendemmie. E ancora, lo storico bresciano Agostino Gallo lo cita nei suoi racconti, valorizzando le uve Schiava ‘che fanno vino assai, benchè debole e beverino’.



Una beva umile, decisamente ‘pop’ che provocò qualche rustica protesta anche tra le truppe di Michael Gaismayr, capopopolo nel Tirolo della Rivolta contadina dei primi del Cinquecento: chiedeva di togliere il privilegio di destinare il Lagrein - altra tipologia locale di vino rosso, molto più corposo e suadente - solo alla nobilità, destinarlo pure alla gente di campagna, costretta a soddisfare la bramosia solo con sorsi freschi e per nulla adatti alla stagonatura. Richiesta caduta nel dimenticatoio, anche se la coltura di piante Schiava riesce a superare le devastazioni della ‘Piccola glaciazione’ del 1703, continuando a stimolare i contadini - e le dinastie nobiliari - a migliorare tecniche vitivinicole. Ampliando pure la zona, mettendo a dimora viti verso sud, sulle colline ora in provincia di Trento, e pure su quelle che circondano Bolzano. Specialmente sul pendio della chiesa dedicata a Santa Maddalena, rafforzando consuetudini enologiche prettamente bolzanine talmente precise che questo vino prende anche il nome dell’importante figura femminile tra i discepoli di Gesù.


(Il lago di Caldaro)


Lago Caldaro/Kaltersee e Santa Maddalena/ St.Magalener, entrambi vini DOC, citati già nei disciplinari di stampo fascista del 1931 (uno dei soli 3 vini italiani, assieme a Barolo e Barbaresco); sempre con la varietà Schiava a consolidarne tipologia e carattere, anche se nel Santa Maddalena è prevista una piccola percentuale di Lagrein.

Numerose le varietà di Schiava: da quella Gentile alla Grossa, la Nera – verso il Garda - pure Grigia e anche altra classificata come uva da tavola. Un numero impressionante di sinonimi indica questa varietà, che fino al Medioevo era coltivata sia nella variante a buccia bianca che a bacca scura. Solo sul finire del secolo scorso la nera ha soppiantato definitivamente la Schiava a bacca bianca. E da allora é stato un susseguirsi di sfide, vinificazioni, confronti, campanilismi: con variegate fonetiche e declinazioni, tra Sciava, Spinarola, Peloseta, Schiavone, per non parlare dei termini in dialetto sudtirolese, che chiamano la Schiava con fonemi talvolta impronunciabili...

In ogni caso è da sempre un vitigno a bacca rossa preferito dai contadini, dai vignaioli veraci. Per vendemmie generose, per l’immediatezza di beva. Forse non sarà mai un grande vino, ma vino di grande sicura piacevolezza. Meglio berlo ancor giovane, anche se Toblino custodisce certe bottiglie di Schiava scura che tuttora… ‘resistono’ nel tempo. Strepitose!







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