Tanti tanti anni fa, come si racconta nelle favole, una funivia (quelle coi seggiolini sospesi nel vuoto, sotto le tracce delle marmotte, persino dei lupi) dal centro di Valtournenche portava a Champleve, una delle mille frazioni di questo comune diffuso di cui la più alta e più famosa è Cervinia. E da Champleve, gambe in spalla, si saliva a Cheneil. Sali sali sali per la vecchia mulattiera con il sasso a cui tenersi che copre ogni sguardo e poi, improvvisamente, come un’emersione dal mare, la conca enorme, verde, maestosa, incredibile. Vegliata dal Cervino, dall’arco delle montagne, di fronte le Grandes Murailles, lo Chateau des Dames, alle spalle il Grand Tournalin, la Becca D’Aran… Cheneil, dove c’era Vittorina “della panna”, quando ancora si usava il latte appena munto (bestemmia per le norme d’igiene degli anni a venire… Ma ci sono ancora i bambini che assaggiano il latte tiepido della vacca?).
“Vi era qualcosa di battagliero, nel cielo, una purezza quasi insostenibile”, scriveva Lalla Romano in “La villeggiante” (edito da Einaudi nel 1975 e riproposto poi da Lindau nel 2017, insieme ad altri racconti, tra cui “A Cheneil d’autunno”), lei – premio Strega nel ’69 - che in questa conca ha trascorso per trent’anni le vacanze di luglio, raccontando i torrenti e i monti e l’umanità: “Le sue acque – il rigo sottile scende incontro a uno più grosso: il torrente, che a sua volta corre fino al cordone profondo: la valle fluviale – forse non hanno nemmeno un nome. Cadono con salti folli, verticali, giù dagli spalti rocciosi che chiudono a levante la conca; corrono limpide e fredde in un solco sinuoso, serpeggiante, sprofondato nella prateria: corrono veloci e sicure, trasparenti sui sassi neri. Sono le acque delle nevi. Giunte al margine della conca, di nuovo si buttano a capofitto, invisibili nel folto di boscaglie; e poi ancora, dopo brevi corse su brevi prati come a prendere la rincorsa, si buttano pazze di gioia, con un grido; fino al torrente, laggiù, dalle acque verdi.”
Oggi una strada carrabile supera Champleve e arriva ai piedi dell’ultima aspra salita per Cheneil: da qualche anno un ascensore a cremagliera (gratuito, cosa rara) affianca la mulattiera e apre le porte sulla conca: 2.105 metri, 8 abitanti (più i turisti dell’albergo e delle baite ristrutturate). Lo spettacolo leva sempre il respiro. Da Cheneil – sia detto per gli appassionati - si riparte a sinistra per la balconata del Cervino, fino alla Salette (che si raggiunge anche in ovovia da Valtournenche, dal Plan de la Glaea dove un tempo nelle feste si scontravano le mucche-toro), e qui da sempre crescono le stelle alpine – vietata la raccolta, ma le mangiano le mucche – e poi avanti fino a Cervinia; a destra invece si va per un altro luogo “del cuore”, Chamois e il suo lago di Lod, inserita tra le “perle delle Alpi”, 100 abitanti, di nuovo una località senza strade e senza automobili, che si raggiunge però dalla valle con una funivia che parte da Buisson. E poi, ovviamente, dalla conca di Cheneil si sale verso la Becca d’Aran mentre d’inverno gli elicotteri portano gli sciatori sul Col di Croux e sui monti intorno per discese mozzafiato.
Ma restiamo alla conca, ai suoi prati infiniti con le mucche libere al pascolo, le pecore, i cavalli, i mille fiori, i profumi (scrive Romano, dell’arrivo dell’autunno: “C’è un odore, sul sentiero, come di vino: dev’essere la fermentazione delle foglie, che marciscono ai piedi dei cespugli. Lamponi maturi, che nessuno coglie, si staccano molli e cadono nell’erba folta”), i gusti… il profumo della polenta concia (o col cervo, le salsicce, i funghi) dell’Hotel Bich, l’antica costruzione di pietra che sovrasta la valle da tempo immemorabile. Ma qui anche la panna – pur con il latte trattato - è sempre magnifica.
Poiché sarà l’aria fresca dell’alta montagna, saranno i torrenti che appaiono imprevisti, saranno le camminate, anche la polenta del rifugio della Roisette, tra le stelle alpine della Salette (2.245 metri di quota) e gli “incontri ravvicinati” con i camosci nei boschi sulla salita, è da menzione.
Intendiamoci: secondo google sono settanta i ristoranti nella ampia valle di Valtournenche, da Maen a Cervinia, ottimi, buoni, mediocri, acchiappa-turisti, c’è di tutto (e da antichi villeggianti - battiamo Lalla Romano 60 a 30, che fa impressione - molti li abbiamo provati e ricordiamo la valle nel suo mutare). I più critici sostengono che la cucina della regione sia povera, nonostante il cervo e la raclette e la fonduta (e pure la mocetta, che molti non sanno neppure cos’è: cercare su internet!).
Eppure ce n’è uno che non ha parentele con nessun altro, tutta colpa del cuoco: un giovane “sperimentatore”, che non porta sul terreno ostile della nouvelle cuisine con le sue mini-porzioni di cibo incomprensibile, ma che maneggia o magheggia con le prugne, con i funghi, la zucca e le castagne, con i formaggi. Ci sono ovviamente la zuppa valpellinenze e le crespelle ma si avventura sul vitellino da latte glassato con la polenta, le costolette d’agnello ai mirtilli o la tagliata di cervo ai frutti rossi, il fois gras d’oca con la cotognata, ma anche le lumache impanate e fritte.
Lui si chiama Matteo Taboni, e forse – glielo auguriamo - è un nome da ricordare, il ristorante è quello di famiglia, “la Brasserie du Cervin” (la mamma fa una tartare al tavolo che è uno spettacolo da Cirque du Soleil), stanno alla frazione Evette, poco sopra il centro antico del paese, Paquier. Per chi si intende di vini, hanno quelli delle migliori cantine della zona.
Intervista: ma quante ore lavori al giorno (è sempre lì, magari in pausa -sigaretta)? “Quindici, sedici. Quando si chiude ordino la carne per il giorno dopo, il macellaio trova l’ordine al mattino”. Giorni liberi? “Una mattina. È allora che mi diverto a sperimentare”. Quando si rientra a sera, stanchi di sole e aria e luce, necessario avanzare un posticino anche per il dolce.
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