TRABOCCHI
D'ADRIATICO
DALL'ANTICA PESCA
AL TURISMO GREEN
Se l’Abruzzo è la regione verde d’Europa per i Parchi Nazionali del territorio interno, non da meno sono le aree protette e le riserve naturali del versante adriatico. Sulla costa teatina proseguendo verso sud, nel Molise fino al Gargano, si gode uno spettacolo unico nel suo genere, con strutture ancorate agli scogli come ragni colossali sul mare, messe lì quasi per caso: “La grande macchina pescatoria composta di tronchi intrecciati, di assi e di gomene biancheggiava simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano... Il legno esposto per anni ed anni al sole, alla pioggia, alla raffica mostrava la sua fibra... acquistava un’impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avessero compiuto la loro opera crudele” (D’Annunzio, Il Trionfo della morte).
Il trabocco, trabucco o bilancia è un'antica macchina da pesca, dove un tempo abitavano le famiglie più povere del circondario. Un’insolita palafitta che emerge dal mare, con un sistema rudimentale di tiranti e carrucole. Dalla piattaforma ancorata sul mare si allungano due o più bracci, detti antenne, a qualche metro dall’acqua, che sostengono un’enorme rete a maglie strette: la “bilancia”. Queste strutture necessitano di continua manutenzione cui provvedono i traboccanti, custodi di un mestiere di cui sta per perdersi la memoria. Sono realizzate in legno di acacia, forte e resistente, nei trabocchi molisani ed abruzzesi, e in pino d’Aleppo in quelli pugliesi (Marino, Barone, Pignatelli, 2018). Vere e proprie architetture senza architetti; la loro costruzione difficilmente può essere tradotta in calcoli e in disegni.
La differenza tra i trabocchi abruzzesi e quelli pugliesi è nella posizione della base. In Abruzzo sono stati costruiti nell'acqua, per i fondali bassi e sabbiosi misti a scogliere, perpendicolarmente al litorale con una stretta passerella per raggiungere la struttura; in Puglia sono appoggiati direttamente sulle rocce della costa piena di scogli e sporgenze naturali. Il motivo è semplice: raggiungere i fondali pescosi.
Descritti, dipinti e fotografati, i trabocchi sono stati celebrati da molti per la loro unicità. Al Mo.Ma - Museum of Modern Art - di New York fu allestita una mostra fotografica dall’architetto austriaco Bernard Rudofsky,(1964) “Architecture without architects, an introduction to nonpedigreed architecture”. In quella sede, tra le testimonianze di architettura vernacolare, fecero la loro comparsa anche i trabocchi, aumentando in modo esponenziale l’interesse e la curiosità intorno a queste antiche macchine da pesca.
Il trabocco è un esempio di sostenibilità, frutto di una sapienza tramandata oralmente, dell'uso di materiali locali e naturali (legno e canapa per le giunzioni) e di rispetto per l’ambiente (ogni elemento può essere rimosso senza danni all’habitat). Questo perché il vernacolo “non segue capricci né mode… si commisura alle dimensioni umane e ai bisogni umani, senza fronzoli, senza l’isteria del progettista… il semplice affidarsi a materiali edilizi locali garantisce il persistere di metodi costruttivi nobilitati nel tempo.” (Bernard Rudofsky)
Non ci sono certezze riguardo all’origine storica dei trabocchi.
Di certo non furono i pescatori a costruirli, bensì i contadini che non conoscevano bene il mare. In questo modo veniva meno la paura di avventurarsi in mare aperto e si potevano intercettare banchi di pesci transitanti lungo le coste. Era più comodo e tranquillo pescare da una piattaforma stabile: la pesca di posta delle prede che rimangono intrappolate naturalmente. C’è chi associa la costruzione dei trabocchi ai Fenici. Chi fa risalire le sue origini al 1240, con tracce negli scritti di Pietro da Morrone della descrizione del panorama sul mare, durante la sua permanenza nel Monastero di San Giovanni in Venere; o chi le attribuisce all’abilità artigiana di esuli ebrei sefarditi in fuga dalla penisola iberica, nel 1627 (“Trabocchi, traboccanti e briganti” di Pietro Cupido, 2003).
Le prime prove documentate risalgono alla fine del ‘700. Con la costruzione della ferrovia, ultimata nel 1863, iniziarono ad arrivare grandi quantità di materiali - piastre, bulloni e dadi – che andarono a sostituire la canapa delle giunture e i chiodi quadrangolari per fissare i pali. Anche la rete da pesca, in passato cucita in cotone, fu realizzata in nylon. Col passare del tempo, però, si andò man mano perdendo la funzione originaria del trabocco come fonte di reddito per numerose famiglie (fino a 4-5 per ciascun trabocco) e negli anni ’50 caddero in disuso, trascurati dalla ricostruzione postbellica, fino a un progressivo abbandono negli anni ’90. La riscoperta di questa eredità architettonico-culturale, tramandata di generazione in generazione, ha indotto diversi Enti territoriali ad avviare azioni di tutela e di recupero.
Grazie a una legge regionale del 1994 i trabocchi sono stati riconosciuti patrimonio ambientale e culturale; sono stati ricostruiti e sono diventati una delle maggiori attrattive dell’Abruzzo anche se la loro funzione ha subìto un cambiamento d’uso.
I comuni interessati - Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo - ne hanno promosso il recupero dando vita alla Costa dei Trabocchi, e quasi tutti ospitano ristoranti nel pieno rispetto delle tradizioni abruzzesi.
Dal 2016 opera il Gruppo di Azione Locale (GAL) Costa dei Trabocchi, una collaborazione pubblico-privata composta da 48 soci tra Enti pubblici, associazioni di categoria e soggetti privati.
Sono stati i traboccanti di San Vito e di Rocca San Giovanni a costruire i trabocchi nella zona di Vasto. Franco Cicchetti, Franghine per gli amici oggi settantenne, è uno di loro, uno dei pochi a custodire la memoria storica. È stato proprietario del trabocco il Lupone dal 2000 fino a un paio di anni fa, quando per motivi di salute è stato costretto a venderlo. “Il mio è un trabocco di San Vito Chietino che risale agli anni 1820/30,” - racconta Cicchetti - ”ci andavo a pescare fin da bambino e a trent’anni l’ho comprato e ricostruito. Ne ho ricostruiti anche altri, come il Turchino, nel 1987, quello in cui si recava D’Annunzio, di proprietà del comune.”
Il racconto testimonia la sua esperienza e una passione che non si è mai spenta. L’aspetto della costruzione della struttura è sicuramente la parte più affascinante. “Se non hai paura del lavoro e hai visto costruire un trabocco, si può fare. Non si inventa.” - prosegue -. “Il primo passo è poggiare un binario di ferrovia lungo 6/7 metri sul fondo del mare. Il binario ha una resistenza di 35/40 anni e le putrelle di ferro devono superare di almeno un metro la superficie dell’acqua. Alle putrelle vengono bullonati i pali di acacia, il materiale che si usava una volta. Il legno di acacia spinosa, un legno duro come il ferro, che quasi non galleggia. Ferro sott’acqua e legno in superficie. Il lavoro si svolge durante la luna calante di gennaio, secondo l’antica tradizione e non occorre troppo tempo per realizzarlo".
“L’ultimo trabocco, quello di Ortona - racconta ancora Cicchetti - l’abbiamo ricostruito nel 2015, in 90 giorni. Eravamo in tre: due sugli scogli a lavorare e il terzo per passare il materiale. Per la manutenzione, invece, non c’è molto da fare se non un controllo giornaliero, soprattutto in inverno nel caso di una mareggiata, perché può rompersi un palo per un urto con un tronco galleggiante.”
Sono solo tre oggi i trabocchi non adibiti a ristorante: il Lupone, il Turchino e Gnagnarella, gli unici rimasti con la loro funzione originaria di pesca e per questo vincolati dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio dell'Abruzzo.
Tra Ortona e Vasto, sullo stesso tratto di costa, la ferrovia adriatica Ancona-Lecce, attivata nel 1864 tra Pescara e Foggia, dopo oltre un secolo è stata dismessa per l’esigenza del raddoppio del binario. Per questo la provincia di Chieti nel 2005 avviò il progetto per la riconversione in Greenway, la “Via Verde della Costa dei Trabocchi”, che segue il tracciato dell’antica ferrovia. Un sentiero, seppur incompleto in alcuni tratti, di oltre 40 chilometri da percorrere in bicicletta, a piedi o a cavallo, alla scoperta delle bellezze della fascia costiera, come la Riserva Naturale Regionale di Punta Aderci, il Castello Aragonese di Ortona o l’Abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia.
La “Via Verde Costa dei Trabocchi” è parte del progetto della ciclovia Adriatica, il Corridoio Verde che corre parallelamente alla Statale Adriatica; quando sarà ultimata, unirà Trieste al Salento. Nel tratto abruzzese è possibile usufruire di un’audioguida che aiuta a riconoscere la propria posizione lungo il percorso, offrendo indicazioni storiche e culturali, ma anche aneddoti e curiosità sul tratto di costa e i suoi abitanti.
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