IL PAESE DEI BALOCCHI?
È ALL'ARCHIVIO DI STATO

Non devo fare molti sforzi per ricordarmi dei (pochi) giocattoli che hanno accompagnato la mia infanzia. Tre bambole vestite a signorina tutte con nomi che iniziavano per S, una trottola in latta che facevo andare senza requie e che osservavo ipnotizzata, una scatola di mattoncini Lego che non bastavano mai ai miei progetti e un trenino che correva sui binari, che fu l’unica esperienza di treno fino a che i miei non si decisero a fare una gita al Santuario della Madonna di Pompei.
Indelebili pilastri di sogni a occhi aperti che furono distrutti a uno a uno da mio fratello minore, allorché nacque e palesò la sua vivacità: ancora lo vedo saltare coi piedi sulla valigetta che conteneva il giradischi Geloso, che per me era forse il più bello dei giocattoli.
Ma per fortuna non a tutti è andata così, c’è chi dei giocattoli si è innamorato, li ha conservati e, continuando ad acquistarli ne ha fatto una incredibile raccolta. Il collezionista a cui dobbiamo tutto ciò è Vincenzo Capuano, giocattologo che in giro per aste e mercatini, tra acquisti e scambi, ha realizzato una mirabolante collezione di oltre ottomila giocattoli.
Una parte della quale è oggi esposta all’Archivio di Stato di Napoli, un luogo austero e bellissimo, che con la mostra “La fiera dei balocchi” apre le sue porte non più ai soli studiosi ma a un pubblico ampio, di adulti e bambini desiderosi di stupirsi.
In quello che era il Monastero dei Santi Severino e Sossio, con i suoi affreschi datati tra il ‘400 e il ‘600, i chiostri e le eleganti sale che accolgono migliaia di antichi faldoni, i giocattoli in mostra in bacheche, armadi o tra l’arredamento delle sale fanno ancora più effetto.
Il percorso espositivo conferma l’assunto che non c’è nulla di più serio del gioco, che è il primo lavoro a cui si applicano i bambini, strumento di crescita e di apprendimento, stimolatore di fantasia e creatività anche per gli adulti.
Gli esemplari esposti sono in gran parte riferibili agli anni tra il 1860 e il 1940, età dell’oro per il giocattolo, ma non mancano anche pezzi più antichi, risalenti alla prima metà del XVIII secolo. Si tratta di pezzi rarissimi, talvolta unici, che evidenziano l’ingegno e le sbalorditive capacità creative degli artigiani dell’epoca. Otto le aree tematiche: le Bambole; gli Automi; i Giochi da Tavolo; i Teatrini; i Pupazzi e i Personaggi; i Giocattoli in Legno; i Giocattoli in Latta; i Giocattoli di Guerra.
Fra i pezzi esposti, le Bambole costituiscono il nucleo più numeroso con modelli risalenti ad almeno due secoli e mezzo fa; e attraverso di loro davvero si ripercorre la storia sociale dell’Europa. Si parte dalla prima metà del ‘700, con eleganti damine che replicano l’abbigliamento delle damigelle di Corte, esposte coi loro vestiti ed accessori originali, e tra esse vi sono anche due figure di colore, che testimoniano della presenza di dignitari africani alla corte spagnola.
Le bambole rientrano nell’antica tradizione delle “bambole manichino”, come la Bambola William & Mary, proveniente dall’Inghilterra (1740 circa), un miracolo di artigianato con testa e corpo ad otto snodi in legno, capelli veri, mani a dita separate e occhi dipinti che indossa un vestito di broccato in seta con polsi e collo di pizzo, cappellino in paglia e borsetta in seta damascata. La bambola inglese del Settecento prese nome dai regnanti del tempo, ed era un giocattolo prezioso, appannaggio solo delle bambine di alto lignaggio.
Di circa un secolo dopo sono le bambole francesi, tra cui quella di Madame Marie Leontine Rohmer, accessoriata col baule del suo ricchissimo corredo di vestiti e accessori, che incarnava un canone femminile molto rigido e una precisa ideologia: ricchezza economica, prestigio sociale e innocenza morale. Una intrigante “bambola per adulti” è Bild Lilli, in Elastolin (un materiale inventato da una ditta tedesca per realizzare i soldatini), realizzata in Germania nel 1954 come gadget per uomini adulti, a cui Ruth Handler, inventrice di Barbie, si è poi ispirata per realizzare la sua fortunatissima bambola.
E c’è naturalmente Barbie, qui esposta nel modello n° 1 (1959) con tutta la sua famiglia d’origine: Ken, Midge, Allan, Skipper e Ricky: non è solo una bambola, ma un’icona del boom economico e del consumismo, stereotipo di donna perfetta ed irreale.
Ma oltre alle bambole troviamo marionette e burattini, tra cui un Pulcinella in legno, esemplari di quel “teatro di figura” che ebbe nel friulano Vittorio Podrecca uno dei suoi maestri, i teatrini riccamente decorati che li accoglievano, Pinocchi di tutte le fogge e le misure, macchinine, soldatini e anche un Rodolfo Valentino.
Troviamo automi da vetrina (un Alì Babà e un Clown) che venivano impiegati nei negozi come strumenti pubblicitari, e giochi da tavola che vanno dalle carte napoletane alle cartelle della tombola a una dama con personaggi famosi disegnati sulle pedine.
Un’altra chicca della mostra è data dai giocattoli di propaganda fascista, usati dal regime per orientare l’educazione dei bambini prima ancora che diventassero Balilla o Piccole Italiane, a cui fa compagnia la macchina di Hitler, una Mercedes-Benz 770K lunga 23 cm, prodotta dal 1936 in Germania in una fabbrica espropriata ai proprietari ebrei, e dotata di pneumatici in gomma e ruote anteriori girevoli e con a bordo la figurina del Führer, col braccio movibile nel saluto nazista.
Insomma, l’elenco sarebbe troppo lungo. Muoversi tra questi oltre mille giocattoli, allestiti in un ambiente così particolare da Donatella Dentice d’Accadia, è un’esperienza unica. E mentre gli occhi rimbalzano da un Signor Bonaventura all’elegante pace del Chiostro dei Platani,
dalla Cabriolet dei Beatles alla sontuosa bellezza della sala Filangieri, si realizza un dialogo continuo tra antico e moderno, tra la polverosa memoria degli atti conservati nell’Archivio di Stato e l’emozione viva di riconoscere i giocattoli che ci sono appartenuti, simili eppure diversi da quelli dei nostri figli.
Questa bella operazione, fortemente voluta dalla direttrice dell’Archivio, Candida Carrino, indica la strada da seguire per valorizzare almeno una parte di quell’immenso patrimonio architettonico e istituzionale del nostro paese, per aprire portoni chiusi e far vivere l’arte e la storia che custodiscono.
L’idea di costituire a Napoli un archivio per conservare atti politici, amministrativi e giudiziari risale al primo decennio dell’800, ma poi furono i restaurati Borbone che, andati via i Francesi, individuarono nel monastero benedettino dei Santi Severino e Sossio, la sede ideale per il Grande Archivio del Regno.
Nonostante le ingenti perdite di documenti antichissimi avvenute durante la seconda guerra mondiale, oggi l’Archivio di Stato rappresenta la memoria storica dell’intero Mezzogiorno. Insieme alle sue “Sezioni storiche” -le tre abbazie benedettine di Montevergine (AV), Cava (SA) e Montecassino (FR)- l’Archivio di Napoli conserva una documentazione unica al mondo, composta di oltre 35mila pergamene e 12mila volumi e pezzi cartacei.
In pieno clima natalizio, varcare questa soglia è fare un doppio tuffo nella memoria, tra nostalgia e ammirato stupore.
“La Fiera
dei Balocchi - Mostra del Giocattolo Antico”
Archivio di Stato di Napoli -Piazzetta Grande
Archivio, 5
Dal 7 dicembre 2022 al 30 gennaio
2023
Feriali ore 8 / 18 – sabato ore 8 / 13 –
domenica chiuso
Ingresso gratuito
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI FOGLIEVIAGGI
© Tutti i diritti riservati