31 MARZO 2023


MONTE KARFI
IDILLIO A CRETA
FRA LEGGENDE
E PICCOLE STORIE



di ANGELO MASCOLO



In cima al sentiero trovo una capanna di pietra. Il tetto è ricoperto di foglie e paglia. Il rifugio di un pastore. Dopo tre ore di cammino raggiungo finalmente il Karfi. È una delle vette più alte di Creta, dopo sua maestà monte Ida, con i suoi 1141 metri. Da qui il mare è una pennellata che sfuma verso la costa. Lì, in fondo a quel mare che non è più mediterraneo, tra boschi e riviera, una dopo l’altra si inseguono le dimore fastose dei palazzi minoici. Cnosso, Festo, Mallia.



Miti, re, leggende, affreschi, storie e colori. Punte di barche si inseguono nell’Egeo labirintico e impossibile. Intorno alla capanna che segna la cima di Karfi un fuoco è acceso, anche se è pieno giorno. Da un recinto poco lontano pecore e capre brucano erba e sassi. Il sole scomoda la quiete millenaria di eserciti fatti di ciottoli e pietre. Da una porta, poco più di una feritoia, appare un uomo. Il padrone della capanna. Sembra quasi un personaggio uscito dalla penna di Omero. Pelle abbronzata, barba e capelli bianchi, uno zucchetto di lana sulla testa, una vestaglia leggera, con uno strano disegno, che il vento sposta su un fianco. Le poche parole di greco che riesco a comprendere: un invito a sedermi.



Mangiamo agnello allo spiedo, una focaccia croccante e un pezzo di formaggio bianchissimo. Da queste parti, mi dice il pastore, lo chiamano ippache o una cosa del genere. Formaggio di latte di cavalla. Mentre siedo su questo pezzo remoto di Grecia, lontana dagli eccessi tardo rinascimentali di Candia o dalle bellezze imponenti dei regnanti minoici, mi sento un frammento di una civiltà sparita per sempre. Guardo quest’uomo davanti a me, che non conosco e non mi conosce. Potrebbe chiamarsi con qualsiasi nome. Ma nei suoi occhi non riesco a non vedere Laerte, il padre di Ulisse che a lungo ha atteso il ritorno in patria del figlio.



Un asino si avvicina mentre da un’unica brocca io e il pastore beviamo un tiepido raki, la grappa che fanno qui a Creta. Il distillato mi allenta muscoli e nervi mentre gli occhi puntano la vallate sottostanti dove ruba la scena la magnifica vista della diga Aposelemi e i monti Selena e Dikti. A pochi passi da me altre pietre, confuse e mosse, nascoste tra arbusti e rovi, rivelano un insediamento minoico. Non è un palazzo né una reggia. È una semplice scheggia di una storia che non ha la pretesa di raccontare nessun gesto eroico.



In quest’angolo di Creta, stretto tra vallate e monti che tolgono il respiro, l’unico desiderio dell’uomo è custodire piccole storie, memorie di giorni normali. È territorio di pastori, precluso al traffico cittadino, di uomini e armenti; di ori e argenti appesi ai ritmi lenti della natura. Non è la Creta turistica né quella di spiagge avorio. È un sipario più discreto, fuori da ogni rotta. Proprio come questo pastore che mi sorride mentre con uno spiedo si pulisce i denti sporchi di cibo. Un uomo semplice come la radice più autentica dello stare al mondo.

Quando sto per andare avanti mi tende entrambe le mani. Tiene un panno con dentro qualcosa. Un pezzo di quel formaggio buonissimo che abbiamo consumato a pranzo. Me lo offre con un sorriso che non ha bisogno di traduzione. Quest’uomo vuole ringraziarmi. Senza sapere, nella sua purezza avuta in eredità dai suoi antenati, che sono io a ringraziare lui per quel pezzo di umanità che ha voluto concedermi.






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