16 ottobre 2023


IL LAZIO DOPO LA RYDER
TUTTI I GREEN
FRA ARCHEOLOGIA
E NATURA


di MARCO DAL FIOR

(Il campo Marco Simone della Ryder cup)

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Se a Roma parli di buche, gli abitanti della Capitale si innervosiscono subito. Da anni combattono con voragini che deturpano strade e marciapiedi. Attendono invano un supereroe con asfalto e schiacciasassi che cambi il volto a una città che di eterno, al giorno d'oggi, sembra avere soprattutto il disagio di buche e cassonetti.

Ma se parli di buche a un golfista, il discorso cambia. La trionfale e recente edizione della Ryder Cup ha solo certificato che Roma è una specie di Disneyland per gli adepti di green e fairway. Nove campi a 18 o più buche, 189 bandiere in tutto a punteggiare l'Urbe.


(L'Acquasanta)


Del Marco Simone, tra la Tiburtina e la Nomentana, si è detto tutto in questi ultimi giorni. Diciotto buche che sono già diventate un'attrazione per i golfisti di mezzo mondo, gli stessi che hanno assistito con l'acquolina in bocca alla sfida fra i migliori campioni europei e quelli a stelle e strisce. Ma la costellazione di campi romani non si esaurisce con il percorso della famiglia Biagiotti.

Un viaggio sugli altri green romani non può che cominciare dal Golf Club Roma, più familiarmente Acquasanta. Il campo, il più antico d'Italia, ha come data di nascita il 1903, anche se probabilmente già prima diplomatici inglesi e americani calpestavano i prati delle ville romane con sacca al seguito. Il percorso divenne ufficiale con la firma del contratto di affitto dei terreni di proprietà dei principi Torlonia. I soci si impegnarono a versare 2.900 lire all'anno. Un affare, visto che nel contratto era contemplata anche la rendita da pascolo e foraggio.


(Il Parco dei Medici)


Ma ciò che affascinò i primi giocatori e continua ad ammaliare anche oggi i loro epigoni è l'ambiente: la vista sull'acquedotto Claudio e sulla tomba di Cecilia Metella, San Giovanni in Laterano e il Cupolone. All'Acquasanta (il nome si deve alla fonte dietro al tee della buca 3, a lungo luogo sacro per i romani) si gioca nella storia. Fino al 1912, il campo era di nove buche, l'anno successivo, acquisiti nuovi terreni e nuovi soci, il campo passò a 18 buche, immerse tra olmi e pini marittimi.. Il vero boom avvenne nei primi anni del secondo dopoguerra e trasformò il Circolo in uno dei luoghi simbolo della mondanità capitolina, ma anche in una delle scuole di golf più rinomate d'Italia. Merito dei campioni nati su questi green, da Franco Brevione a Isabella Goldschmid, che facevano man bassa di premi sui campi di tutto il Paese, e del prestigio del centro di formazione per professionisti di golf, intuizione di Pietrino Manca. che trasformò frotte di caddies in apprezzati maestri poi partiti a predicare il verbo golfistico nei campi del Nord.


(Il Parco di Roma)


Sempre all'interno del raccordo anulare, procedendo verso Fiumicino, il Parco dei Medici è molto più giovane, ma non per questo meno intrigante. Nato verso la fine del secolo scorso, negli 85 ettari della tenuta offre 27 buche divise su tre percorsi (Bianco, Blu e Rosso) dove bunker insidiosi e ostacoli d’acqua problematici mettono a repentaglio lo score. Anche qui la storia è a portata di drive. Il nome deriva dal vicino Castello dei Papi che Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico salito al soglio pontificio con il nome di Leone X, elesse a sua dimora campestre, abbellita dall'apporto di Bramante, Giuliano da Sangallo e Raffaello.

Il complesso odierno è frutto di una imponente bonifica che ha trasformato in un centro turistico la spianata che doveva accogliere l'idroscalo di Roma, opera mai finita e poi del tutto abbandonata. È qui che David Mezzacane, il progettista dei percorsi Bianco e Blu, si è sbizzarrito a seminare ostacoli d'acqua, green veloci e fairways movimentati. Più facile, ma non per questo meno divertente, il percorso Rosso, opera dell'architetto Fabiano Rebecchini.


(L'Olgiata)


Ancora senza uscire dal Grande Raccordo Anulare, il Parco di Roma è un campo tecnico e affascinante. Situato all’interno del Parco di Veio, colmo di storia, di verde e di bellezze archeologiche, è frutto della matita e dell'esperienza di P.B. Dye, l'architetto statunitense che ha firmato progetti sontuosi dagli Usa ai Caraibi, dall'America Centrale all'Europa. Il risultato è un campo dal design moderno, con green ariosi e pendenze da interpretare. Quanto al panorama, immerso nelle colline romane tra la Cassia e la Flaminia, il percorso permette di spaziare su tutto lo skyline della Capitale fino a San Pietro.

Salendo verso Nord Est e seguendo la Cassia, si approda all'Olgiata, un altro dei santuari del golf romano. Su questi prati hanno lasciato il segno gli Etruschi, gli imperatori romani, le famiglie della antica nobiltà locale: Anguillara, Orsini, Chigi. Ma fu una famiglia di bancheri comaschi, gli Olgiati, ad acquisire attorno al '500 la tenuta e a chiamarla Olgiata. La storia di quest'area è stata tormentata da vendite, bancarotte, fallimenti e successive aste fino a che il marchese Incisa, che l'aveva ricevuta in dono di nozze dalla madre, dopo essersi trasferito con la moglie pensò di trasformarla in un'azienda agricola con coltivazioni di lino, orzo, avena e grano. Sul finire degli Anni '50 del secolo scorso i campi coltivati e le piste di allenamento della razza Dormello-Olgiata, dove erano cresciute stelle dell'ippica internazionale, da Nearco a Ribot, lasciarono spazio a un centro residenziale con golf, piscine e campi da tennis.


(Terre dei consoli)


Il campo si sviluppa su due percorsi: il percorso Ovest (18 buche, inaugurato nel 1961) e il più recente percorso Est (9 buche par 36) disegnati dall'inglese C. Kenneth Cotton e rivisitati una decina di anni fa dall'americano Jim Fazio. Dai tee neri (ogni buca ha sette battitori) per un medio dilettante è una sfida persa in partenza, dai gialli o dai rossi resta un campo lungo e impegnativo, con green veloci e curatissimi. Se ci arrivate per pranzo o per cena, il vero birdie sono gli spaghetti alle vongole che si gustano in club house: frotte di non golfisti si spingono fin qui dal centro di Roma attratti dalla fama del piatto.

La via Cassia è una specie di golf road. Puntando verso Viterbo, lasciata l'Olgiata, una tappa a Terre dei Consoli è obbligatoria. Non solo per la simpatia e la competenza di Ascanio Pacelli, il general manager del Circolo, ma per la bellezza delle 18 buche uscite dalla penna di Robert Trent Jones Jr., un nome una garanzia. Il percorso si adatta perfettamente al paesaggio naturale della grande vallata nella quale è adagiato e ne valorizza il tasso tecnico con ostacoli intriganti e spettacolari. Nella mente del golfista che la affronta per la prima volta resta a lungo impressa la buca 9, “The Island”, dove il green sembra emergere da uno specchio d'acqua. Accanto alle 18 buche da campionato, il Family Course (9 buche, par 32; 1885 mt.) consente ai meno esperti di prendere confidenza con fairways e green, ma garantisce divertimento e interesse anche agli handicap più bassi.


(Il Golf Nazionale)


Da una faccia arcinota del golf italiano a un altro personaggio che ha scritto pagine importanti del nostro sport. Alessandro Rogato, giocatore sul Tour Europeo a cavallo tra gli anni '80 e '90, poi organizzatore delle tappe italiane dei circuiti internazionali, Open d'Italia compreso, da qualche tempo è presidente del Golf Nazionale, prestigioso percorso alle porte di Sutri. Campo tecnico, è caratterizzato da un fosso che in pratica lo attraversa a ferro di cavallo e ha dato a George e Jim Fazio e a David Mezzacane l'ispirazione per immaginare le 18 buche tra le querce della campagna romana. Da sempre casa della Federazione, ospita la Scuola Nazionale Golf che ogni anno laurea i nuovi maestri, i segretari di circolo e i green keeper, ossia il futuro del golf italiano. Il campo è tosto, con alcune buche che richiedono potenza e precisione (la 10 ha tormentato i sonni di molti dilettanti) per cui, se il vostro handicap è medio alto, meglio optare per i tee avanzati. I fairway sono in Bermuda grass, in ossequio alla massima ecosostenibilità dell'impianto. La comoda Foresteria del Circolo offre 22 camere ai golfisti itineranti.


(Castelgandolfo)


Attraversata Roma verso Sud e raggiunta di nuovo la via Appia, una breve deviazione a Ovest conduce al Fioranello Golf Club. Siamo a due passi da Ciampino, alle falde dei Colli Albani. Il club è nato nel 1979 nella tenuta che fu dei principi Boncompagni Ludovisi, ai confini con il Parco Archeologico dell’Appia Antica. Sfoggia 18 buche divertenti e ben tenute, non lunghissime ma dal contenuto tecnico molto interessante. Alla buca 7 tirate fuori dalla sacca la macchina fotografica o il telefonino: la vista dei Castelli Romani merita una pausa di riflessione e uno scatto. Da sottolineare il clima accogliente che il Circolo riserva a soci e visitatori. Una caratteristica che ne fa un vero Circolo di Golf di Campagna, piuttosto distante da quei club paludati dove il giocatore esterno è visto come un intruso e spesso mal sopportato.

Avete mai giocato in un vulcano? Il golf di Castelgandolfo può colmare questa lacuna. Robert Trent Jones, vedendo il cratere su cui si affaccia la villa fatta costruire dal cardinale Flavio Chigi, ha pensato bene di realizzare al suo interno un intrigante percorso di 18 buche disseminando il terreno, già di per sè mosso, di bunker (ce ne sono 93), laghetti (se ne incontrano 3), ostacoli artificiali e fairways che dribblano ulivi e pini mediterranei secolari. L'area era coltivata dai tempi dei Romani che prosciugarono il lago formatosi al suo interno con una rete di canali e cunicoli che ancora oggi funzionano. Il disegno di Trent Jones ha conservato vigneti, cipressi, mimose, agrumi, roseti coltivati da secoli. Il risultato è un tracciato che appaga sia l'occhio che la tecnica.







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