MILANO
L'INNOVAZIONE
E I NEOFITI
La sera di Natale Milano ha atteso con una certa trepidazione mista a orgoglio lo speciale di Alberto Angela dedicato alla città. Le aspettative erano alte per vedere finalmente ritratta in prima serata su Raiuno la Milano che da quasi vent’anni i sindaci si affannano a promuovere e raccontare: quella dei nuovi quartieri di gusto internazionale, dei grattacieli firmati dalle archistar, dell’Expo, delle nuove linee di metropolitana, delle prossime Olimpiadi invernali. Lanciata da una conferenza stampa con presenti il sindaco e l’assessore alla cultura, annunciata via social da diversi altri assessori e promossa da molti cittadini milanesi, la trasmissione, a sorpresa, ha rischiacciato la città nelle eccellenze di sempre: il Duomo, la Galleria, la Scala e i suoi laboratori, la Pinacoteca di Brera col suo Bacio di Hayez, il Castello Sforzesco, Leonardo e il Cenacolo, lo Stadio di San Siro, la moda di Dolce & Gabbana, la Stazione centrale e persino la via Gluck cantata da Adriano Celentano nel 1966.
Immagini meravigliose, grazie ai droni, ma un abuso
di luoghi comuni che persino la sacrosanta necessità
divulgativa della tv generalista non è riuscita a
giustificare. E se qualche addetto ai lavori è
certamente sbottato esclamando “Ma non c’era nessuno
dell’ufficio stampa del comune che potesse dare qualche
indicazione utile alla redazione di Angela?”, a molti
altri è invece semplicemente balenato il pensiero che
vent’anni di comunicazione e retorica dell’innovazione
milanese non hanno poi segnato così tanto l’immaginario
degli italiani. Figuriamoci quello del mondo.
La
tanto celebrata smart city, con le sue nuove piazze dove
finalmente anche i milanesi possono provare l’ebbrezza
delle accelerazioni del vento che si insinua tra i
grattacieli, con il wi-fi diffuso per restare sempre
collegati, il car-sharing, il bike-sharing, l’e-commerce
e l’home-delivery, l’e-booking, l’e-learning e tutto ciò
che ne consegue sembra risultare affasciante e
irresistibile giusto ai milanesi, probabilmente nemmeno
a tutti. Certamente ai loro amministratori che di fronte
all’innovazione mostrano senza alcun pudore l’entusiasmo
e lo zelo del neofita.
Milano è cambiata molto in questi ultimi vent’anni. Come tante altre città nel mondo si è evoluta e plasmata sulla base delle profonde trasformazioni nel nostro modo di vivere, produrre, consumare e abitare che sono stati innescate dalla globalizzazione, dalla rivoluzione digitale e dall’enormità della sfida climatica che stiamo fronteggiando. Sono processi complessi che non si muovono in un’unica direzione, che comportano anche effetti negativi sulla vita delle persone e che avrebbero bisogno di una forte regia pubblica proprio per mitigarne le conseguenze più drammatiche.
Ma le giunte che si sono susseguite dopo quelle di Gabriele Albertini (molto concentrato ad “amministrare il condominio”) – quelle di Letizia Moratti, Giuliano Pisapia e ora Giuseppe Sala – hanno mostrato una vera ossessione per l’innovazione, consegnando ai privati la trasformazione della città, cogliendo ogni opportunità con sana concretezza milanese così da superare le debolezze della politica e la scarsità di risorse pubbliche. Ma anche facendole proprie e sospendendo ogni possibilità di giudizio, fino a cancellare dall’agenda pubblica e dal racconto della città fenomeni clamorosi e in aumento costante come l’impoverimento dei ceti medi, l’espulsione di quelli più fragili, la precarizzazione massiccia del lavoro, la concentrazione della ricchezza in sempre meno mani, l’emergenza casa e perfino il peggioramento della qualità dell’aria.
Non c’è bisogno di scomodare miti urbani del passato come la “Milan col coeur in man”, i Martinitt o le Stelline per rendersi conto che oggi i privati prendono molto dalla città e non restituiscono altrettanto. I paragoni col passato non sembrano più possibili. Milano oggi è altro. Si è avviata su una strada già percorsa da molte città nel mondo, sempre più esclusiva e sempre meno aperta. Certo colpisce che i facilitatori di questo cambiamento siano stati proprio i sindaci di centrosinistra con la loro profonda convinzione che per Milano quello che è nuovo è buono. A prescindere dai contenuti e dalle conseguenze.
Ma intanto di fronte alle complesse trasformazioni che oggi sfidano la nostra immaginazione e la nostra capacità di adattamento hanno rinunciato alla possibilità di essere veri innovatori, di approfittare del grande cantiere che è stata in questi anni la città di Milano per elaborare una via milanese alla giustizia sociale, al benessere diffuso, alle pari opportunità e alla difesa dell’ambiente. E ancora oggi, di fronte alle possibilità che si stanno aprendo con i fondi del PNRR, sembrano insisterre nel voler perdere occasioni straordinarie per costruire una città realmente nuova: accogliente, sostenibile, inclusiva e sicura.