INVENTARSI
UN MESTIERE
SENZA
FATICA
Dagli anni 60 Paul Kent promette di farci diventare tutti “Chitarristi in 24 ore”. Il suo manuale pratico per autodidatti, in vendita ancora oggi, è definito dal suo editore “un sistema rapido a numeri per imparare a suonare la chitarra senza maestro e senza conoscere la musica”.
Il manuale di Kent, che comunque è sorretto da un metodo e comporta la lettura di oltre cento pagine, confrontato con le prodezze digitali del ventunesimo secolo pare il conservatorio. Tra le tante opportunità offerte dal web, quella che si sta imponendo negli ultimi anni è infatti la possibilità di improvvisarsi imprenditori di successo. Senza avere una preparazione, senza avere un capitale e nemmeno un’idea. La rete è piena di siti incantatori che appaiono assolutamente ragionevoli e convincenti. Unidemy.com, per esempio, annuncia “Come creare un business su Airbnb senza possedere immobili”. E subito specifica alla voce Requisiti: “Non è necessario avere competenze”.
In rete tutto appare semplice, le opportunità sembrano esserci per tutti e quelli che ce l’hanno fatta spiegano sempre di essersi semplicemente dati da fare con determinazione e un po’ di costanza. Il problema è serio e non riguarda le schiere di ingenui e faciloni che da sempre cascano nelle trappole degli “affaroni” e dei guadagni facili. Siamo anche oltre le ragazze e i ragazzi che si buttano sui social nella speranza di diventare influencer ricchi e famosi. Pure questo lo abbiamo già visto. Anche se prima si trattava di fare la velina o il tronista.
Il tema è una generazione di ragazzi e ragazze col mito delle start-up, incantati dalle criptovalute, intrigati dal metaverso che scelgono di tralasciare gli studi perché impazienti di buttarsi in un business del futuro, di guadagnare e avere successo.
Basta andare in una qualsiasi piattaforma di domande e risposte (tipo quora.com, ma Internet ne è piena) per leggere questo: “Dopo la laurea, conviene iniziare a lavorare o fondare la propria startup?”, “Dopo una laurea triennale in economia meglio fare un master oppure andare a lavorare per una start up?”, “È necessario possedere una laurea o particolari conoscenze per poter lanciare e gestire una startup?”. Il fenomeno è globale. Tra i guru più ascoltati c’è Sam Altman, ceo di OpenAI, laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale, ma soprattutto ex presidente di YCombinator, l’acceleratore di start-up che ha lanciato cose tipo Airbnb, Coinbase, Dropbox, Quora, Reddit e Twitch. Il sito startupitalia.eu traduce e riporta alcuni post del suo seguitissimo blog (blog.samaltman.com).
Come questo: “ 'Ho 19 anni e sono ambizioso. Che cosa dovrei fare?'. Questa domanda mi viene posta molto spesso. Ora che ho raccolto una buona quantità di dati ed esperienze a proposito di cosa funziona e cosa no, ho pensato di condividere la mia risposta. Di solito si è indecisi tra: andare all’università (e lavorare a progetti paralleli), cominciare a lavorare per un’azienda, oppure aprire una startup. Il segreto è che nessuna di queste è la soluzione giusta. La decisione dovrebbe essere presa sulla base delle circostanze specifiche che caratterizzano ogni opzione. La parte difficile sta nel fatto che ognuno vorrebbe scegliere la strada che più lo avvicinerebbe, poi, a fare qualcosa di davvero grande. Il punto è: fate. Non importa cosa scegliete, l’importante è che costruiate qualcosa e che stiate attorno a persone brillanti”.
Saggi consigli. Ma poi aggiunge: “Tornando alla decisione da prendere, immagino vogliate valutare i rischi. La maggior parte delle persone pensa al rischio in maniera sbagliata – per esempio l’università viene in genere vista come un percorso per niente rischioso. Tuttavia, non avere risultati concreti per tre o cinque degli anni più produttivi della vostra vita è un rischio. Lanciare una startup che amate, invece, mi sembra il giusto livello di rischio. Essere l’impiegato numero 50 di un’azienda che ha molte probabilità di fallire è un rischio da non prendere”.
Il fatto è che tra i ragazzi e le ragazze non ci sono solo i sognatori. La schiera dei realisti è assai nutrita. Per tutti loro, l’idea è creare una start-up per crearsi un lavoro. Meglio ancora trovare una start-up disposta ad assumerti. Ci sono i teorici anche di questa strada. Quelli che ti spiegano che “lavorare in una start-up è più figo”. Lo fanno per esempio gli svizzeri di langmeier-software.com: “Entrare nella vita professionale non è sempre facile. Se numerose domande finiscono con un rifiuto, spesso la mancanza di esperienza professionale è la ragione. Un buon modo per iniziare con successo e velocemente dopo la laurea è quello di lavorare in una start-up. Una start-up è un’azienda appena fondata che è spesso caratterizzata da un’idea di business innovativa. Le startup permettono a molti laureati di iniziare la loro carriera. Ci sono molte ragioni per cui i laureati iniziano in aziende così giovani. Un chiaro vantaggio è che una startup non cerca dipendenti con anni di esperienza lavorativa. Anche i voti finali di solito non sono una priorità. Il candidato deve essere impegnato e inserirsi nella squadra. Nelle aziende giovani, ci sono gerarchie piatte e tutti contribuiscono. Di conseguenza, la curva di apprendimento è ripida, la varietà dei compiti alta e il lavoro di squadra piuttosto rilassato”.
E torniamo ancora lì. La preparazione, lo studio, le capacità sono sempre secondarie, facoltative sembrerebbe. Nonostante “merito” sia tra le parole più inflazionate di quest’epoca. E nonostante la complessità delle conoscenze necessarie a progettare e far funzionare un mondo globale e digitale sia enorme. Ma a dispetto di tutti i miti sorti intorno al progresso digitale e all’intelligenza artificiale, ancora oggi l’Unesco ci ricorda che la cultura è l’unica arma che abbiamo contro le diseguaglianze. Soprattutto quelle economiche.