I BRAND
IL CONSUMO
E L'ILLUSIONE
DEL LUSSO
Una cosa l’abbiamo capita in questo primo scorcio del terzo millennio: l’illusione di poter accedere a servizi di lusso a prezzi modici non è stata una magia del marketing. È un fenomeno reale tragicamente alimentato dal lavoro sottopagato e mal tutelato di migliaia di lavoratori, dai fattorini delle piattaforme per la consegna a domicilio fino al personale di volo delle compagnie aeree low-cost, piloti compresi. Come dire, se non avete i soldi per un maggiordomo che vada a ritirarvi la cena dal vostro ristorante preferito o quelli per salire su un jet e raggiungere una meta caraibica, non preoccupatevi. Ci pensano persone messe ancora peggio di voi che per sopravvivere e mantenere una famiglia sono disposti a sopportare pure la vostra scortesia.
Il rapporto che abbiamo stabilito col lusso, pur vivendo in una società dei consumi che dovrebbe ormai essere ampiamente matura, è inquietante. Per anni ci siamo illusi che una volta soddisfatti tutti i bisogni di base, quelli superflui e pure i capricci, ci saremmo concentrati su altro. Si diceva che poiché il lusso è ostentazione di beni rari e preziosi, il tempo sarebbe diventato la merce di cui vantarsi in giro. Il tempo che pochi fortunati avrebbero potuto sottrarre al lavoro e alle incombenze di una vita sempre più frenetica, il tempo da regalare alla cura di sé e degli altri. Il tempo per viaggiare, conoscere, scoprire, gustare, approfondire… E invece eccoci tutti qui a dedicare il nostro tempo, anche quello rubato al sonno, per fare la fila davanti a un negozio o per riuscire a entrare nella lista d’attesa che ci permetterà finalmente di comprare a un prezzo assurdo i prodotti di brand che a volte non sono nemmeno del settore del lusso.
Altro che tempo. Da molti anni la strategia del lusso si riduce al limite. Quello che definisce il numero ristretto di oggetti da proporre a un pubblico invogliato in ogni modo all’acquisto. Quello che impone una lista di attesa in cui ormai si entra a discrezione delle regole di volta in volta imposte dal brand. Quello che impedisce l’accesso a certi prodotti se non si è già clienti… Il limite non esiste solo per la fantasia perversa degli strateghi del marketing.
Le conseguenze? Prima di tutto estetiche. È pieno di ricconi vestiti malissimo che indossano abiti e accessori solo perché sono riusciti a comprarli. Fatto di cui non ci dovremmo nemmeno interessare, figuriamoci preoccupare. Eppure questa perdita di gusto e stile da parte dell’intera upper class globale sta provocando ulteriore smarrimento e difficoltà proprio in chi l’ha alimentata, in quei settori del lusso, dalla moda alla gioielleria, dall’arredamento all’orologeria, costretti a ripensarsi in continuazione per rendersi attrattivi. E nella patria del made in Italy questo ha un grande peso. Si traduce in fatturati corposi dell’industria italiana di settore che possono fiorire o appassire in un lampo.
Ma il risultato di questo delirio collettivo sta anche nelle pagine di cronaca dei quotidiani sotto forma di truffe, furti e rapine allo scopo di accaparrarsi non semplici valori, ma gli oggetti del desiderio del momento. Persino nella tranquilla e sicura Svizzera capita sempre più spesso di leggere titoli come questi: “Furto di gioielli e orologi a Lugano, arrestate quattro persone”; “Basilea, orologi nascosti tra i Brezel. I doganieri hanno sorpreso un uomo con dieci costosi orologi da polso in un sacchetto di Brezel”. Milano poi è diventata una specie di jungla che macina record nei furti di beni di lusso: “I pedinamenti e l’assalto, le tecniche da commando dei predatori di orologi”, titolava La Repubblica. E riportava anche la spiegazione del capo della Squadra Mobile di Milano: “I Rolex sono i più richiesti. Anche se nel passaggio dal ricettatore perdono fino all’ottanta per cento del loro valore, per chi li ruba è un ottimo guadagno”.
Nemmeno in Francia si scherza e soprattutto si svela la complessità della rete dietro ai reati legati ai beni di lusso. La Polizia Giudiziaria di Parigi ha recentemente smascherato e arrestato una banda specializzata nell’acquisto di autentiche borse di Hermès, soprattutto le introvabili Kelly e Birkin, rivendute poi al triplo del già notevole prezzo di listino. Una truffa milionaria, si calcolano proventi per circa un milione al mese, durata quattro anni. Il giochetto era sofisticato. La banda reclutava, anche nelle scuole di teatro, persone disposte a fingersi clienti Hermès pagate circa 500 euro per recarsi in una boutique della maison parigina in Francia o in Europa. Vestite/i con abiti e accessori della griffe, mostrandosi assai facoltose/i e recitando le frasi giuste, riuscivano a comprare una borsa. Altrettanto sofisticato il meccanismo di vendita: le borse acquistate legalmente venivano rivendute in un finto showroom di Hermès allestito in una delle zone del lusso parigino, Faubourg Saint-Honoré, a ignari e ingenui clienti disposti a pagare anche il triplo pur di saltare la lunga lista d’attesa a cui non a tutti è consentito iscriversi.
In questo caso non si tratta dei falsi venduti dagli ambulanti o di quelli piazzati dai truffatori a clienti particolarmente ingenui. Questo è un vero mercato parallelo in cui si muovono acquirenti danarosi che hanno fretta di avere la merce o che non sono ritenuti degni di iscriversi alle liste d’attesa.
Il fenomeno è generalizzato e molto ampio, comprende anche i ragazzi che riescono ad accaparrarsi edizioni limitate di qualunque prodotto (scarpe, felpe, t-shirt, occhiali, orologi…) e le rivendono online guadagnando ogni volta poche decine di euro, al massimo centinaia, ma garantendosi un reddito minimo più che accettabile.
Tra gli oggetti del desiderio degli ultimi tempi ci sono i frutti delle collaborazioni tra marchi diversi: Gucci e Adidas, Gucci e Balenciaga, Versace e Fendi, Swatch e Omega. Proprio quest’ultima al momento del lancio della collezione “Bioceramic MoonSwatch” ha scatenato l’inferno. Pur non essendo un’edizione limitata, la scelta di renderla disponibile solo in negozio, e non in tutti, ha spinto migliaia di persone a fare lunghe file in tutto il mondo, a Melbourne come a Londra, a Roma come a Hong Kong. A distanza di un anno le code proseguono. Gli orologi arrivano col contagocce e il loro prezzo in rete passa da 250 a 500 euro e vola oltre i mille per alcuni modelli.
Ormai la caccia all’edizione speciale o limitata è diventata un business che ha attirato anche l’attenzione della criminalità. Proprio per l’esordio della collaborazione tra Swatch e Omega, sono stati organizzati presidi di polizia per controllare i movimenti intorno ai negozi di diverse città per evitare furti e rapine ai fortunati muniti dell’inconfondibile sacchetto bianco e rosso.
Insomma, la discrezione non è più di questi tempi. Non dare nell’occhio non può più essere regola nemmeno ai massimi livelli. Lo spiega al Corriere della Sera François-Henri Pinault, presidente e ceo del gruppo Kering, mentre annuncia con orgoglio la nuova strategia del marchio Gucci: “Via ai Saloni, negozi ancora più esclusivi”. I Saloni Gucci si rivolgeranno a una “clientela estremamente alto di gamma. Proporremo borse o mobili con un prezzo di ingresso molto alto, nessun oggetto costerà meno di 40mila euro, fino ai tre milioni di euro e oltre dell’alta gioielleria”. Il primo salone Gucci aprirà a Melrose Avenue a Los Angeles, poi a Shanghai, Tokio, Londra e infine a Milano negli spazi Gucci di via Montenapoleone oggi in ristrutturazione.
Siamo fiduciosi del fatto che la maison saprà fornire un efficiente servizio scorta per riaccompagnare i clienti a casa o in hotel in sicurezza. Siamo meno ottimisti sul fatto che i manager del lusso smetteranno di lamentarsi dei mercati paralleli e dei falsari che tanto male farebbero alla moda.