RESIDENZE
SAPESSI COME È CARO
VIVERE IN GRATTACIELO
A MILANO
Nell’estate del 2019 una notizia ha provocato apprensione tra gli architetti, non solo milanesi. Unipol avrebbe venduto la Torre Velasca, uno dei simboli della città di Milano e dell’architettura del 900 nel mondo. A comprarla sarebbero stati gli americani di Hines. Il braccio di ferro intercorso tra il gruppo assicurativo italiano e la Soprintendenza, ferma nel preservare lo stato della Torre, in che cosa si sarebbe tradotto coi nuovi rapporti di forza? Avrebbero vinto gli americani questa volta? La Torre sarebbe stata snaturata per piegarla agli standard di uffici moderni e super tecnologici? Preoccupazioni legittime, ma pochi avrebbero immaginato che l’usurpatore si sarebbe presentato sotto forma di ristorante giapponese-brasiliano-peruviano, il Sushisamba, e non di multinazionale del settore high-tech.
Eppure questo è. Oggi, alla vigilia della riapertura, lo sappiamo con certezza. Nessuna conversione funzionale per la Torre più famosa, ma soltanto un riequilibrio del più classico mix funzionale che già la caratterizzava: commercio, residenza e uffici. Grazie al recupero di locali prima inutilizzati, l’area retail passerà infatti da 500 metri quadrati a quasi quattromila (con due ristoranti appunto), la quota destinata a uffici si ridurrà da tredicimila a undicimila metri quadrati, mentre resterà invariata l’area residenziale di circa ottomila metri quadrati, però proposta già arredata con formule di affitto a breve e medio termine. Il ritratto della nuova Milano: meno uffici, più commercio e tante abitazioni di lusso per facoltosi residenti occasionali.
Non sono passati nemmeno dieci anni da quando Milano si vantava pomposamente di essere diventata la casa della new economy avendo visto aprire nuove sedi o ampliarle clamorosamente ad aziende come Microsoft, Amazon, Facebook, Google… Ma nemmeno cinque da quando alla fine del 2019 arcipelagomilano.org stilava la mappa della “Milano capitale degli headquarters aziendali” con 29 sedi di realtà del settore bancario, finanziario e assicurativo, 54 di aziende italiane di altri comparti e 43 di straniere. Uno dei soliti record milanesi.
Oggi i titoli dei giornali raccontano una città diversa. E non solo a causa della pandemia e dell’ascesa dello smart working. Prendiamo il caso della Torre Unicredit disegnata da Cesar Pelli in piazza Gae Aulenti, il simbolo del quartiere Porta Nuova e della nuova Milano. Il 7 ottobre del 2013 Panorama titolava: “Unicredit, il trasloco che cambia Milano. Quattromila dipendenti spostati, 60mila scatoloni e 21 sedi chiuse: che effetto fa il trasferimento dell’Unicredit nel nuovo grattacielo”. Ma il 9 dicembre 2021 Milano Finanza già scriveva: “Per Unicredit c’è il dossier Torre. A breve la banca dovrebbe subaffittare l’intero edificio B di piazza Gae Aulenti. L’obiettivo è ottimizzare il patrimonio immobiliare e ridurre i costi di gestione”. L’ufficio non sembra più essere settore d’interesse per nessuno. Tantomeno per i grandi investitori immobiliari.
Gli urban developers ora guardano alla casa. E infatti nel febbraio del 2022 Forbes.it annunciava: “Il sogno di vivere tra le nuvole. Milano tra le big d’Europa per numero di grattacieli residenziali”. In realtà tutto partiva da una ricerca sul tema del tipo residenziale a torre pubblicata dall’agenzia immobiliare milanese Abitare.co e ripresa dalle agenzie di stampa. “Cresce la voglia di altezza”, scrivevano sul loro sito per argomentare i dati del mercato immobiliare mondiale: 140 nuovi grattacieli alti più di duecento metri costruiti nel mondo nel 2021. Il 30 per cento in più dell’anno precedente. Ma a dispetto del sensazionalismo di Forbes, la faccenda in Italia e a Milano va parecchio ridimensionata. Questa la realtà, secondo Abitare.co: “In Italia l’altezza media dei primi dieci grattacieli residenziali è poco più di 101 metri, mentre in Europa si raddoppia con 252 metri e nel resto del mondo si triplica (393 m). Milano è leader nel nostro Paese con sei grattacieli fra i primi dieci. Vivere ai piani alti costa in media il 25% in più che a un piano basso”. E ancora: “Central Park Tower a New York è l’edificio (residenziale, ndr) più alto del mondo; in Italia è la milanese Torre Solaria. Le Torri milanesi del Bosco Verticale sono le più costose in Italia (fino a 18.100 euro al metro quadrato), ma per vivere nell’attico esclusivo a Central Park Tower a New York la richiesta arriva anche a 136mila euro a metro quadrato, con spese condominiali di circa 15mila euro al mese”.
Spente le velleità milanesi, resta comunque qualcosa di inedito da osservare. Il grattacielo, tipo edilizio che fino a poco tempo fa abbiamo immaginato quasi esclusivamente a uso ufficio, è oggi la tipologia residenziale più ambita. E una delle più entusiasticamente praticate dagli immobiliaristi perché, come disse l’architetto americano Cass Gilbert più di un secolo fa, “Il grattacielo è una macchina che trasforma il terreno in denaro”.
E non è tutto. Pur in un mercato immobiliare in frenata – segnato dall’incertezza della guerra russo-ucraina, dagli andamenti dei mercati finanziari e pure dall’aumento dei tassi di interesse – a Milano crescono i prezzi (+7,2%) e la domanda di case di lusso. Come ha dichiarato al Sole24Ore Andrea Pincherli Vicini, ceo & founder dell’agenzia immobiliare Vincenzo Monti Prestige: “Il settore degli immobili di lusso si dimostra solido e vivace dopo questo triennio di boom di acquisti di case senza precedenti. Riemersi dalla pandemia, gli acquirenti con un patrimonio netto elevato hanno concentrato la propria attenzione sul mercato immobiliare”.
Milano ora attira facoltosi abitanti più che aziende. E infatti negli ultimi cinque anni la città ha registrato complessivamente un aumento del 60% dei prezzi degli immobili di lusso. Eppure, nonostante l’impennata dei prezzi, resta una metropoli low cost. Paragonati ai 50mila euro a metro quadrato di Miami Bay-Point, ai 32.600 di New York-Noho, ai 30mila di Londra-Chelsea o ai 18.600 di Parigi-Ile de la Cité, il Quadrilatero di Milano con i suoi 14.125 euro a metro quadrato risulta il più conveniente. È questo a rendere la città così attrattiva. Tanto che Bloomberg.com lo scorso 23 gennaio annunciava: “Boom immobiliare di lusso a Milano perché i banchieri lasciano Londra per l’Italia”. E specificava che generose agevolazioni fiscali (introdotte dal governo nel 2017 ndr), grandi progetti di sviluppo urbano e un basso costo della vita stanno attirando gli stranieri e riportando gli italiani nel centro finanziario.
La Brexit non è certo l’unico motore. Un’altra capitale finanziaria europea, Zurigo, dopo il completamento dell’Alptransit con l’apertura della galleria ferroviaria del Monteceneri, oggi dista da Milano solo 3 ore e 17 minuti. E Parigi è collegata anche dal Frecciarossa di Trenitalia.
In sintesi
possiamo dire che a Milano l’ampia offerta di case di
lusso (anche in affitto), il costo della vita basso
rispetto ad altre città europee, servizi mediamente
efficienti e di qualità, possibilità di smart working,
disponibilità di collegamenti rapidi (anche con località
amene) costituiscono un mix realmente attrattivo.
Qualcosa che di sicuro aumenta i prezzi, ma che non è
detto porti molto altro in città. Il centro degli
interessi lavorativi, economici e finanziari di questi
nuovi abitanti, infatti, resta quasi sempre altrove:
nelle grandi metropoli internazionali, nelle piazze
finanziarie globali o magari nei paradisi fiscali. A
queste condizioni, Milano rischia di diventare un
quartierone residenziale per ricchi europei. E un
quartiere residenziale, per quanto grande e prestigioso,
difficilmente può fare da locomotiva all’economia di un
territorio. Figuriamoci a quella di un intero paese.