MILANO POCO VERDE
CITTÀ MALATE
CHE AMMALANO
“Aria irrespirabile un giorno su tre. Persi 12 milioni di fondi stanziati per piantare alberi: non c’è spazio”. Questa l’apertura di Repubblica Milano il 23 marzo scorso. Un bollettino delle disgrazie. E d’altronde Milano, tra le città più inquinate del mondo, è in un momento davvero critico dal punto di vista ambientale: la qualità dell’aria peggiora e le politiche messe in campo per diminuire l’inquinamento o si rivelano inefficaci o vengono depotenziate.
Prendiamo il caso degli alberi e dei fondi europei persi. Le risorse sarebbero dovute servire per piantare 138mila alberi nello scorso anno e altrettanti in questo per creare nuovi boschi sui 276 ettari di territorio nella città metropolitana. Ma per trasferire i fondi, l’Europa ha chiesto il rispetto di alcune regole, come piantare specie autoctone e farlo in aree che misurino almeno tre ettari, condizione necessaria perché i nuovi boschi abbiano una reale consistenza e possano dare benefici all’ambiente urbano circostante.
E proprio questo è il problema. Nella città metropolitana di Milano non esistono aree libere sufficientemente grandi. Il suolo è troppo urbanizzato. E così il capitolo del PNRR “Forestazione urbana, periurbana ed extraurbana” per Milano è risultato inaccessibile. A Milano però sono a rischio anche le aree verdi esistenti. La complicata partita per l’edificazione del nuovo stadio di Inter e Milan ora si concentra sulla Maura. Qui il club rossonero avrebbe individuato il sito ideale per la sua struttura. Ma come ha twittato tempo fa Rino Pruiti, Presidente dell’Assemblea dei Sindaci del Parco Agricolo Sud Milano: “La Maura è una delle ultime aree di verde profondo di Milano inserita nel Parco Sud. Sbagliato compromettere per sempre questo pezzo di parco, ci sono migliaia di metri quadrati di aree industriali dismesse”. Come dargli torto?
Ma non solo. Secondo Amat, l’Agenzia mobilità ambiente e territorio di Milano, gli ingressi di autoveicoli nell’Area B, la ztl che copre quasi l’intera superficie comunale, sono aumentati rispetto al 2019 del 15% al giorno, con punte del 20%. È invece in netto calo l’utilizzo del car sharing (fino a meno 50%) e anche quello dei mezzi pubblici (persi un quinto dei passeggeri della metropolitana) che hanno visto pure l’aumento del prezzo del biglietto.
Se Milano piange, le altre città hanno davvero poco da ridere. Secondo il rapporto di Legambiente “MalAria di città”, il 76% dei centri urbani italiani è fuorilegge rispetto ai limiti per le polveri sottili e sono 29 le città italiane che segnano sforamenti quotidiani. Il ritardo nell’adeguamento alla nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria è netto. Ma nessun provvedimento risolutivo, o perlomeno impattante, sembra essere nei programmi delle amministrazioni locali o del governo nazionale.
Eppure la nozione stessa di salute, secondo l’Organizzazione mondiale dalla sanità, passa proprio dalle città. Come ha spiegato Letizia Fattorini, della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Firenze, in un articolo comparso sul sito saluteinternazionale.info, la salute è nelle mani delle città: “Nel recentissimo Urban Design for Health dell’OMS viene ribadita l’importanza dell’ambiente urbano come determinante di salute e benessere dell’uomo nel suo ciclo di vita, sostenendo che la progettazione e la pianificazione urbana influenzano la salute pubblica e il comportamento umano limitando o fornendo accesso a cibi sani e stili di vita attivi, che hanno profondi effetti sulla salute fisica e mentale delle persone”. E aggiunge: “L’ONU, che ha presentato le problematiche dell’urbanizzazione tra i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs–Sustainable Development Goals), nel Report 2022 – oltre a rilevare la costante crescita della popolazione che abita nelle città rispetto a quella che vive nelle aree rurali – denuncia che più di un miliardo di persone vive in slums (baraccopoli, bidonville, favelas), concentrate prevalentemente in tre regioni: Asia centrale e meridionale (359 milioni), Asia orientale e sud-orientale (306 milioni), Africa subsahariana (230 milioni)”.
In questi contesti estremi è noto che le persone vivano in condizioni difficili e poco igieniche, non paragonabili a quelle di moderne città occidentali. Eppure proprio nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri, l’Obiettivo 11 è titolato: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Tutte le città. Per comprendere l’urgenza è bene ricordare qualche fatto e qualche numero. Oggi metà della popolazione mondiale abita in aree urbane, entro il 2030 la cifra salirà al 60%. Le città occupano solamente il 3% della superficie terrestre, ma sono responsabili del 60-80% del consumo energetico e del 75% delle emissioni di carbonio. Ma è vero anche che l’alta densità delle città può portare efficienza e sviluppo tecnologico, riducendo il consumo di risorse e di energia.
Per questo l’Onu ha fissato obiettivi precisi. Entro il 2030 si dovrà garantire a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, sicuri e convenienti e ai servizi di base e riqualificare i quartieri poveri. Così come l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani. Si dovrà potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile. E potenziare anche gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo. Si dovrà ridurre l’impatto ambientale negativo delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti. E sempre entro il 2030 si dovrà fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili.
Mancano meno di sette anni al 2030. Rileggendo i traguardi auspicati dall’Onu e confrontandoli con lo stato delle nostre città, Milano compresa, si fatica davvero a indicare nei Cinesi, negli Indiani, nei Russi o negli Americani i soli responsabili dei ritardi e dei freni nella lotta al cambiamento climatico per la salvaguardia del pianeta.
La pandemia di Covid-19 non è stata d’aiuto. Corriamo il rischio di ripiombare a prima del 1948, quando fu fondata l’Organizzazione mondiale della sanità e la salute è diventata uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia” oltre che il diritto alla base di tutti i diritti fondamentali che spettano a ogni individuo. Oggi tendiamo a concentrarci sull’assenza della malattia, il virus, e a dimenticarci dei diritti. Fornendo anche un gigantesco alibi a chi dovrebbe agire per il benessere di tutti i cittadini.