POTLACH
LE CITTÀ INVISIBILI
E UN ESORDIO
DA BRIVIDI
Immagino che a nessuno di voi sia mai capitato di aver prodotto uno spettacolo, un grande spettacolo, e che, cinque ore prima della prima, alle quattro del pomeriggio, Maurizio, uno degli attori principali, scopra un terribile impedimento che lo costringe ad andarsene... e fin qui, può capitare... ma che a quel punto il regista venga da voi e vi dica: “... preparati, questa sera Maurizio lo sostituisci tu...”.
A me è capitato...
Al festival di Santarcangelo del '78, aveva partecipato il teatro Potlach.
Curioso nome, Potlach. L'enciclopedia Treccani dice: Insieme di cerimonie (distribuzione di doni, feste, danze) che avevano luogo presso numerose popolazioni della costa nord-occidentale del continente americano. Roba da antropologi.
Per anni non ne sentìi più parlare, poi quando ero direttore del festival del Polo Culturale dei Navigli mi ricordai di loro. Il teatro Potlach esisteva ancora?
Breve ricerca in internet e trovo i riferimenti.
Chiamo e chiedo se mi possono mandare un po' di materiali (schede descrizione spettacoli, schede tecniche, costi) per una eventuale partecipazione al Festival.
Mi risponde Pino di Buduo. “Si, possiamo, ma è meglio se ci vediamo. O vengo io da te o scendi tu a Roma”. Scendo io. Fissiamo l'appuntamento. Ci troviamo.
Parliamo più di un'ora per conoscerci un po'. Poi, “Va bene, ma ora parliamo del festival. Cosa possiamo fare?”,
“Uno spettacolo, no. Uno spettacolo non ci interessa. A noi interessa la relazione... a noi interessa il rapporto con le persone, con la città... ci interessa lo scambio di saperi, di emozioni...”, “... e quindi?”
“... e quindi... noi abbiamo un progetto che si chiama 'Le città invisibili', ispirato al libro di Italo Calvino. Non è la banale messa in scena del testo... no, è più... un cogliere lo spirito di Calvino... Noi possiamo venire ad Abbiategrasso, studiare la città, 'aprire' la città, cercare ciò che nella città è invisibile e poi portarlo alla luce... metterlo sotto i riflettori...”.
Poi apre una grande scatola piena di grandi fotografie.
Immagini magiche. Teli bianchi, lunghissimi, illuminati per creare percorsi che modificano la topologia conosciuta. La città diventa un teatro a 360 gradi.
Va bene. Quanto costa? Come ci organizziamo?
Il prezzo mi fa venire un infarto, comunque, seguendo la mia vena di follia, decido che si fa.
La compagnia arriva ad Abbiategrasso quindici giorni prima del debutto..
Si preparano i teli, e si cercano gli agganci a cui appenderli.
Io e Pino andiamo a incontrare chi, in città “fa arte”.
Andiamo all'associazione dei pittori. Loro vorrebbero fare una “collettiva” mettendo in mostra i loro lavori migliori. Pino spiega: “No, dovete venire con la tela bianca, il cavalletto e i colori; gli spettatori devono vedere il vostro lavoro segreto, mentre create”. Andiamo alla scuola di danza. La direttrice vuol fare il saggio di fine anno... propone “Il lago dei cigni...”. No signora, no, noi vogliamo vedere la lezione... vogliamo vedere la sbarra... La maestra di danza è stata un osso duro, ma alla fine l'abbiamo convinta. Abbiamo chiesto ai proprietari di una villa di aprire il loro piccolo parco; i teli bianchi, le luci, la musica creavano un ambiente misterioso; sembrava di essere dentro il “Sogno di una notte di mezza estate”.
E arriviamo al pomeriggio del debutto. Io e Pino andiamo lungo il percorso.
Verso le 4 arriva Maurizio. “... mi hanno chiamato da casa, purtroppo oggi è morta mia madre... scusatemi proprio, ma io devo andare”, “Mi dispiace... – dice Pino – ma non c'è problema, vai pure...”. Maurizio ringrazia; un abbraccio e se ne va.
“E ora come facciamo, per la sua postazione?”
“Non c'è problema...”, “... ma Maurizio chi lo sostituisce?”
Pino risponde “Tu...”, come se fosse la cosa più evidente del mondo. “Ma come io?”
“Ma si, tu sai tutto, hai visto tutte le prove... andiamo da Natasha... vi trovate a provare una mezz'oretta... che problema c'è”.
Io penso: “Questo è completamente pazzo...”.
Natasha è un'attrice croata; una bella ragazza con accento straniero. Mi guida lei.
La nostra scena è ispirata alla 'Dolce vita' di Fellini, quando Mastroianni e Anita girano per le stradine di Roma di notte e poi si ritrovano alla fontana di Trevi per una delle scene più iconiche della storia del cinema.
Incominciamo a improvvisare. Lei mi provoca. Io le rispondo per le rime.
C'è una macchina sportiva ferma sullo scivolo del parcheggio della banca.
Il parcheggio è vuoto e Pino lo ha fatto allagare con un leggero strato di acqua. Alcuni riflettori in fondo al parcheggio creano bagliori luminosi, come se il pavimento fosse la superficie di un lago.
È così che, quella sera, per la prima volta in vita mia, vado in scena: pantalone fresco di lana grigio scuro, camicia bianca e panama.
Alle nove meno un quarto ci troviamo tutti nel cortile del castello. Ci disponiamo in fila e poi accompagnati dalla marcetta di "8½" di Fellini ci mettiamo in movimento.
Il corteo è aperto da una maga con un gonnellone da zingara. Gli spettatori che la vedono passare rimangono pietrificati: il suo naso da clown... non è il solito pomodoro rosso, ma un glorioso, vigoroso e inquietante membro virile.
Ciascuno raggiunge la sua postazione. Io e Natasha saliamo in macchina; lei comincia subito con una mezza crisi isterica... “Fermati! Fermati! Fammi scendere! Come si apre questa porta!? Non riesco ad aprire! Aprimi, voglio scendere...”. Scendo dalla macchina, le apro la porta, lei scende... “Ma dove siamo?... ma che posto è?... ma dove mi hai portato?...”, “Hai detto tu di fermarmi qui...”
Il battibecco va avanti sempre più o meno sullo stesso tono finché non si mette in mezzo una ragazza di poco più di vent'anni, mezza ubriaca, con una bottiglia di birra in mano. “Lascialo stare quello lì... non gli parlare... quello è un bastardo! Vieni via! Andiamo a berci una birra”... e piangendo abbraccia Natasha.
“Non posso! Deve riportarmi a casa... Aprimi la portiera!...”
Apro la portiera; lei sale, io chiudo e lei ricomincia da capo la sceneggiata.
Finalmente passa il corteo che ritorna al castello; ci inseriamo.
Ultime battute; si chiude la prima sera del primo “Le Città Invisibili”.
Parteciperò ad altre serate come questa. In altri quartieri della città, in altre città: da Cosenza a Parigi, da Roma a Mantova, ma questa è un'altra storia; ve la racconto la volta prossima.
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