STRADE DI AVIGNONE
LA MADRE
DI TUTTI I FESTIVAL
Diciamoci la verità: per capire davvero cosa vuol dire la parola “festival” bisogna uscire dall'Italia. Per quanto mi riguarda, la rivelazione risale agli anni in cui i miei figli erano ancora bambini. Eravamo andati in vacanza in Camargue. Ci eravamo alloggiati a Lunel. Da lì ci muovevamo per raggiungere spiagge e città d'arte (ebbene sì, in Francia ce ne sono anche altre, oltre a Parigi).
Un giorno scegliamo di arrivare fino ad Avignone, con grande disappunto dei miei figli che avrebbero preferito una spiaggia.
Arriviamo e dobbiamo girare più di un quarto d'ora prima di trovare un parcheggio. Quando ci dirigiamo verso il centro, lo spettacolo è difficile da descrivere. Prima di tutto, una quantità impressionante di gente; e poi, il tronco di ogni albero, ogni palo della segnaletica stradale è completamente coperto da locandine di spettacoli teatrali. Passiamo davanti a una chiesa; la cancellata che la racchiude è completamente tappezzata di manifesti incollati su pezzi di cartone tagliati alla meglio e attaccati col fil di ferro. Lungo i marciapiedi si trovano delle colonne, dei totem, fatti con scatole di cartone impilate e tenute insieme alla meno peggio con corde di spago. Su queste scatole sono incollate centinaia di locandine.
Già questo dava alla città un aspetto imprevisto.
Leggo le pubblicità: la parte del leone la fanno i grandi del teatro francese: Molière, Marivaux, Corneille, Racine, e poi Sartre, Camus; tra gli italiani Pirandello, Goldoni e tanto Dario Fo. Tra le bancarelle, seguiamo un gruppo di ragazzi rumorosi e ci ritroviamo in Piazza dell'Orologio. I ragazzi fanno parte di una compagnia; recitano la parte di giovani ospiti di un riformatorio; sono in rivolta perché vogliono vedere il passaggio della Cometa, mentre il direttore e i suoi aguzzini non hanno alcuna intenzione di permetterglielo. Dopo poco, coinvolgendo i presenti mettono in piedi una dimostrazione per la libertà e per il diritto di vedere la Cometa.
I ragazzi sono completamente folli ma con una energia straordinaria e contagiosa; i miei figli si associano subito. Io e mia moglie abbiamo avuto paura che si sarebbero persi e che ce li avrebbe riportati la Gendarmerie. Per fortuna passava di lì una compagnia che recitava “Le furberie di Scapino”; costumi del '600 e bastonate a tutto spiano sul capo del vecchio padre prepotente. “Se volete acquistare i biglietti per questo spettacolo li trovate alla Casa del Festival, qui in Piazza dell'Orologio”.
La piazza era strapiena; nei caffè non c'era un tavolino libero. Per arrivare alla Casa del Festival abbiamo impiegato più di un quarto d'ora. Anche qui, all'interno e all'esterno della Casa, centinaia di locandine. Sui tavoli decine e decine di dépliants. Io li raccolgo avidamente; una busta della spesa piena; sembravo un bambino in una pasticceria, senza genitori che controllano e con licenza di rimpinzarsi fino a scoppiare.
Quando usciamo riusciamo a trovare un tavolino libero in un bar.
Davanti a noi passa un giovane ballerino di tango, accompagnato da un musicista con organetto; magrissimo, tutto vestito di nero, il ragazzo danza come se intorno a lui non ci fosse la calca che lo circonda. Una ragazza distribuisce bigliettini promozionali. Io le domando “da dove venite”, “... ma dalla Luna”, come se fosse la risposta più ovvia del mondo.
Dopo una bibita proseguiamo verso il Palazzo dei papi. Qui, sulla piazza, una compagnia di ragazze giapponesi con i visi colorati secondo i canoni del loro teatro, danzano su una musica minimalista. Nell'angolo in cui si sono installate si crea un’atmosfera magica.
Poco lontano, seduta su una sedia antica, una vecchina (o un attore travestito da vecchina) dispensa, in cambio di una piccola offerta, teneri abbracci, caldi e affettuosi. Fa tenerezza, quando si china su una ragazza, forse bisognosa di dolcezza. Dall'altra parte della piazza riconosco Isaac Alvarez. È lì con gli allievi della sua scuola. Ne avevo sentito parlare all'epoca in cui facevo la scuola di mimo; lui era stato allievo del leggendario Jacques Lecoq, l'inventore della maschera neutra... quello che aveva introdotto, nello studio del movimento, un rigore quasi scientifico. Sono andato a rendere omaggio a questo vecchio anarchico. Abbiamo chiacchierato un po': mi ha spiegato come il riuscire a imporre al corpo una disciplina rigorosa sia una pratica liberatoria e rivoluzionaria.
A un certo punto arrivano in piazza quattro attori in costumi della commedia dell'arte che mi coinvolgono in un “lazzo”. Un capitano fanfarone e spaccone mi intima di portare i miei figli al teatro per assistere alla loro incredibile messa in scena e istiga i miei figli a denunciarmi se verrò meno al mio dovere di padre di portarli a teatro. I miei figli lo prendono in parola.
Morale della favola, dopo cena, alla sera alle undici e mezzo, dopo esserci ubriacati tutto il giorno di piccole performance promozionali, siamo al teatrino; siamo pochi spettatori, una trentina. Noi ci sistemiamo in prima fila. Sul palco le avventure di tale Predolinò, una specie di Zanni, alle prese con un soldato fanfarone. Io devo fare da interprete ai miei figli; Predolinò ogni tanto mi richiama... Il soldato fanfarone minaccia sfracelli. Predolinò gli ride in faccia. “Cos'hai da ridere, vile marrano... forse sono io che ti faccio ridere?”, “No, è l'italiano, che mi fa ridere...”, “E perché ti fa ridere?”, “Perché ha la testa grossa!”. Il soldataccio scende dal palco, mi viene vicino, e a spanne mi misura la testa “. “Certo, certo, è proprio grossa... questo è vero!”. I miei figli saltano sulle sedie eccitatissimi.
Alla fine dello spettacolo gli attori li invitano sul palco a ballare con loro. Inizia una sarabanda imprevista. Alle due di notte, io crollo dal sonno. Penso alla strada che dobbiamo fare per tornare a Lunel. I miei figli, invece, sono ancora sul palco, con la compagnia. Si sono divertiti così tanto che in macchina, prima di addormentarsi, domandano “torniamo anche domani?”.
Domani, mentre loro dormono ancora, io, curiosissimo, metto un po' di ordine in quella busta di materiali promozionali che ho riempito alla Casa del Festival. Prima di tutto separo i materiali del Festival IN, da quelli del festival OFF. Nell'IN ci sono una sessantina di spettacoli; nell'OFF ne conto circa novecento, messe in scena da più di cinquecento compagnie... Cioè circa mille spettacoli al giorno, ogni giorno, per tre settimane abbondanti. In Italia non esiste niente di simile. Sogno: questo è il paradiso terreste. Quando vado in pensione voglio venire a vivere qui!
Tra i materiali raccolti, trovo anche le pubblicità di due festival che mi interessano: Mimos, festival internazionale del Mimo a Périgueux, e Éclat, festival internazionale del Teatro di Strada. Ma di questi vi parlerò la prossima volta.
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