2 OTTOBRE 2024

GROTOWSKI
E LA POTENZA
DEI POLACCHI
DI STRADA

di LUIGI ALCIDE FUSANI




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Negli anni Sessanta, tutti noi giovani che ci occupavamo di teatro - che volevamo “fare teatro” - eravamo cresciuti nutrendoci degli scritti e delle messe in scena delle opere di Bertolt Brecht.

Il Piccolo di Milano aveva svolto un lavoro di promozione straordinario dell'opera e della filosofia di Brecht. Ogni spettacolo che metteva in scena suscitava dibattiti e polemiche a non finire. Ricordiamone uno per tutti: il 'Galileo' diretto da Giorgio Strehler e interpretato da Tino Buazzelli. In occasione della prima su alcuni giornali si urlava allo scandalo; si sarebbe vista la scena della vestizione del papa... si recitarono rosari e si tennero messe di riparazione.


(Jerzy Grotowski


Per l'esame di maturità, 1970, ricevetti in regalo THEATERARBEIT – Fare teatro di Bertolt Brecht – sei allestimenti del Berliner Ensemble. Più di 450 pagine di foto, disegni, spartiti musicali, commenti, riflessioni teoriche, colloqui con attori e attrici. Tutto quello che riguardava la messa in scena di capolavori come 'Madre Coraggio', o 'il Signor Puntila'. Fu la mia lettura appassionata di quell'estate, tra 'Fiori rosa fiori di pesco' di Lucio Battisti e 'il Pescatore' di De André.

Ma in quell'estate del 70, l'editore Bulzoni pubblica anche 'Per un teatro povero' di Jerzy Grotowski, con prefazione di Peter Brook.

Nelle mie mani arriva l'anno dopo, me lo passa una ragazza che studiava lettere a Pavia. Sulla quarta di copertina si legge: “Ciò che colpisce quando si pensa al mestiere dell'attore, così come è praticato oggi, è il suo squallore: l'appalto su di un corpo che viene sfruttato dai suoi protettori – direttori e registi”.

È come prendere un diretto in faccia da un pugile professionista.

Ma come, “squallore”?

Ma come “... un corpo sfruttato dai suoi protettori”... cioè il mestiere dell'attore è equiparato alla prostituzione?. Non capisco.

Mi procuro il libro, lo leggo... ci sono interviste a cura di Eugenio Barba; capisco ancora meno. Guardo le fotografie. Posizioni e smorfie inconcepibili, per non parlare dell'allenamento dell'attore. Si parla di “via negativa degli esercizi”: qualcosa a metà tra lo yoga e le acrobazie del circo.

Sono infastidito, come tutte le volte che non capisco.

Negli anni successivi leggo e rileggo il libro o anche soltanto qualche capitolo.



Sempre in quegli anni, il CRT porta a Milano laboratori, seminari, spettacoli. Non voglio partecipare e non posso partecipare a qualcosa di cui mi sfugge la natura... e poi sono molto impegnato con gli studi universitari, col servizio militare...

Una amica che era andata a Venezia per vedere alla Biennale un suo spettacolo, “non viene scelta” per ben due sere. Sì, perchè Grotowski sceglie personalmente quelle poche decine di spettatori che possono assistere al suo spettacolo. Irritazione e antipatia.

Metto in pausa il mio bisogno di capire ma faccio un proposito: appena potrò andrò in Polonia, a Wroklaw, al Teatro Laboratorio di Grotowski e cercherò di vedere coi miei occhi. Naturalmente, quando ho tempo e risorse per andare, Grotowski a Wroklaw non c'è più; dal 1982 si è trasferito a Pontedera.

Una estate decido comunque di andare a vedere. Cosa è rimasto a Wroklaw dell'esperienza di Grotowski... chi si è sostituito adesso nel “suo” teatro?

La risposta alla seconda domanda è: nessuno. Speravo ci fosse almeno un centro di documentazione. Nulla. C'è solo il portinaio che mi dice che lo spazio del Laboratorio adesso è completamente vuoto.

Però... eh si... c'è un però.

Proprio nei giorni in cui arrivo io, (il caso, il destino, gli dei?) c'è in corso un festival di mimo e di teatro di strada.

Nel pomeriggio, passando sulla piazza principale della città, vediamo un gruppo di persone che stanno sistemando figure alte più di tre metri, con mascheroni enormi; stanno allestendo lo spazio, mentre musiche orientali, africane, etniche accompagnano il loro lavoro. Lo spettacolo è previsto per le ventidue. Torneremo dopo cena.

Mentre andiamo in albergo, in una piazzetta, un piccolo spettacolo a terra. Un attore in nero anima la bambola di una ballerina alta poco più di mezzo metro, che danza e fa acrobazie sul filo. Un altro, in nero anche lui muove un soldatino, con una divisa da ussaro, e ogni suo gesto ci dice che è innamorato della ballerina. Sembrano i personaggi di una fiaba. Sullo sfondo ci sono tre figure curve, sembrano gobbe, con una maschera lunghissima appesa alla testa. Sono tre vecchie, (le Parche?) che lavorano, tessono, confabulano, sembrano voler ostacolare l'amore dei due giovani.

Alla fine il soldatino ritorna dalla guerra, ferito, e muore tra le braccia di lei, che piange col cuore spezzato. Poesia pura.

Dopo cena, torniamo alla piazza in cui si stava preparando il grande spettacolo.



C'è un sacco di pubblico; più di mille persone.

Buio. Entrano in scena quattro divinità sui trampoli. Si riconosce una figura ebrea, con stole a righe bianche e celesti; una africana, una specie di totem; una orientale che si muove coi ritmi e i tempi dello zen, e infine una con piume variopinte che probabilmente rappresenta le divinità dei nativi americani.

Musica; le divinità danzano in armonia su musiche differenti.

Passando in mezzo alle divinità danzanti i bambini vanno a scuola. Gli uomini sulle loro biciclette vanno all'officina, o con la lampada appesa alla cintura vanno in miniera. Le donne vanno al fiume a lavare il bucato. Ragazzi e ragazze alla sera danzano nelle balere, e un paio di coppiette si appartano per cercare un po' di intimità. C'è tutta la poesia e la tenerezza di un Amarcord polacco.

A un certo punto succede qualcosa... entrano degli uomini e cominciano a combattere; le divinità vengono travolte dalla follia degli uomini. Si accendono fuochi, si spara, uomini rimangono a terra, le divinità sono ormai scomparse. Rimangono in scena due uomini; uno abbatte l'altro; lo lega con un cavo, lega il cavo a una piccola jeep, sale sulla macchina e incomincia a girare in tondo in giri sempre più larghi; il pubblico è costretto a lasciare spazio. Il cadavere dell'ultimo nemico, in certi momenti, va a sbattere sulle gambe degli spettatori; sembra di assistere a una scena dell'Iliade. Poi la macchina esce dal cerchio magico portando via con sé quel cadavere.

Rimangono solo dei bracieri in cui si consumano le ultime fiamme, ma non è ancora finita. Una decina di donne vestite a lutto invadono lo spazio scenico, e tra le fiamme che si stanno spegnendo raccolgono i cadaveri degli uomini rimasti sul terreno mentre un pianto funebre accompagna la scena.

Quando le donne si fermano, il canto si spegne e i morti si rialzano e ci fissano, su di noi scende un silenzio che pesa come tutto il cielo nero sopra di noi. Ci salviamo solo con l'esplosione dell'appluso più forte che io abbia mai sentito.

La compagnia era il KTO di Krakovia; il suo drammaturgo e regista era Jerzy Zon.

Dopo lo spettacolo ho voluto conoscerli; ci siamo piaciuti e nel 2000 sono riuscito a portarli ad Abbiategrasso e a Corbetta.

Nel frattempo c'era stata la guerra nella ex Jugoslavia. Una guerra cui non era estranea la “discordia” delle religioni... una guerra in cui mentre noi eravamo in vacanza, a luglio, si consumava il massacro di Srebrenica.

Mi ricordo che una mia amica, una professoressa che seguiva con attenzione tutti gli spettacoli che io proponevo, alla fine dello spettacolo, con gli occhi pieni di lacrime, mi guardò e mi chiese: “... e adesso... come si fa ad applaudire?”.

Forza e grandezza del vero teatro di strada.







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