Se avessi estro poetico mi verrebbe da declamare, con buona pace del Carducci: “T’amo, o pio osso buco; e forte un sentimento di languore e di fame al cor m’infondi”. Così se fossi poeta, ma siccome poeta non sono quando mi prende la voglia di mangiare un osso buco come dio comanda vado giù in trattoria dal Conca che di ossibuchi se ne intende.
Va da sé che la cosa più buona dell’osso buco è l’osso ma mica buco, bensì con dentro quella prelibatezza che si chiama midollo che per estrarlo dall’osso, almeno qui dalle nostre parti a Milano, si usa un cucchiaino lungo lungo che si chiama agent di tass che, in verità, più che essere un esattore (delle tasse) è un estrattore. Ma si sa che la lingua ha molto fantasia e chissà chi e perché ha applicato tale nome all’oggetto, ma una ragione certamente c’è e con un piccolo sforzo ci si può arrivare.
Insomma, quando il Conca prepara l’osso buco, immancabilmente accompagnato con il risotto giallo, io mi presento in trattoria e allungo le gambe sotto il tavolo apparecchiato con regolamentare tovaglia a quadri e aspetto impaziente che la pietanza mi venga servita.
Dai oggi e dai domani, visto che una certa dote di curiosità non mi manca, sono riuscito a carpire al Conca la ricetta del suo manicaretto che così tante soddisfazioni procura a me e agli altri avventori della sua trattoria.
Prima di entrare in cucina però occorre recarsi dal proprio macellaio di fiducia e procurarsi la materia prima che, nel caso nostro, consiste in un taglio di tibia di vitello, possibilmente da latte. In questo modo la tenerezza dovrebbe essere garantita.Per la bisogna, occorre usare una sega elettrica, di cui ogni macelleria che si rispetti è dotata, che, con la carne che lo attornia, recida di precisione l’osso al cui interno è custodita quella leccornia nota come midollo. Diciamo che la porzione debba avere un’altezza di almeno sette centimetri, cosicché l’osso risulti sufficientemente corposo e il midollo bello abbondante
Poi il Conca fa così. Mette a soffriggere in una padella di ferro un tocchetto di burro e, quando inizia ad assumere un bel colore nocciola, aggiunge l’ossobuco, precedentemente passato in un velo di farina bianca.
Quando è colorito da entrambe le parti, lo spruzza con un mezzo bicchiere di vino bianco, possibilmente non del tutto scadente e aggiunge sale e pepe.
Dimenticavo: prima di avviare le procedure, la carne intorno all’osso va scalfita con la punta di un coltello per evitare che si arricci poi durate la cottura. Quando il vino è evaporato, si tratta ora di aggiungere in padella un trito di sedano, carota e cipolla e, poco dopo, una punta abbondante di passata di pomodoro stemperata in un po’ di acqua calda, affinché il sugo non risulti comunque troppo rosso.
A questo punto, si incoperchia e si procede alla cottura lenta per almeno un’ora e mezza o, quanto meno, sino a quando la carne intorno all’osso risulta essere assolutamente tenera, deve insomma quasi dislenguarsi in bocca. È buona cosa irrorare di tanto in tanto la pietanza con qualche cucchiaio di brodo, anche vegetale, che di norma in trattoria non manca mai.
Ora è il momento della magia finale che prende il nome di gremolata. Di cosa stiamo parlando? Di una salsina composta da buccia di limone ben lavata e finemente grattugiata, prezzemolo tritato e, a piacere, un sentore o più d’aglio.
Verificato che la carne sia tenera e ben distaccata dall’osso, si unisce l’intingolo, si mescola delicatamente e, se serve, si aggiusta di sale. E i giochi sono fatti.
La seguente procedura di impiattamento consiglia, o meglio, dispone di collocare nel piatto una bella porzione di risotto giallo allo zafferano, tipo quello che cucina la Giuditta di cui abbiamo già raccontato in precedenza. Accanto al riso, si adagia l’ossbùs, che il milanese non risuona poi tanto diverso dall’italiano, con la sua bella puccia, profumata e lievemente rosata, in modo che anche il risotto ne venga adeguatamente irrorato.
Il Conca, uomo di mondo, accanto al piatto e alle posate regolamentari posiziona un cucchiaino a manico lungo che invero lui usa abitualmente per il gelato. In questo caso diviene lo strumento necessario per estrarre dall’osso il midollo che, dell’osso buco, è la cosa migliore. Sublime tra le sublimità.
Sulla tavola con tovaglia a riquadri gialloblu compare di norma un francesino, inteso come panino, e almeno un quartino di Dolcetto delle Langhe che è terra benedetta dal vino e, in stagione, dal tartufo. Prima di alzarmi da tavola, secondo un personale rito che mi segue sin dall’infanzia, mi piace guardare attraverso l’osso ormai buchissimo come se fosse un cannocchiale dal quale scrutare il mondo della fantasia.
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