28 ottobre 2022








GROPINA
SACRO E PROFANO
IL MISTERO
DI UNA PIEVE

di DONATELLA CHIAPPINI


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Incontrarla è stato come un colpo di fulmine. Una donna del XXI secolo da una parte e dall’altra la materia che ti costringe a guardare al passato remoto, anzi remotissimo. Gli archi, l’abside, le navate, le oscure maschere, le incongruenze stilistiche, gli incastri e la possenza della storia che ti si presenta mentre arranchi con il fiato corto sulla collina. Eccola: la Pieve di Gropina. A non più di due chilometri dalla Setteponti - l’antica strada Cassia Vetus (oggi provinciale) che attraversava per una sessantina di chilometri la Toscana tra Firenze ed Arezzo e comprendeva un tempo almeno sei pievi - costellata di chiesette, ulivi, borghi, panorami da cartolina e una serie di curve che ti provocano il mal d’auto. Sta lì da secoli, eppure tu non l’avevi mai vista. Certo, è rimasta ignota ai più fino a metà del Novecento. Capita, soprattutto in Italia.



Siamo a Loro Ciuffenna, nel Valdarno Superiore. E la magia che emana la pieve ti si appiccica addosso, come questa strana aria d’estate in pieno autunno che non promette niente di buono, prima ancora di raggiungere la chiesa romanica del XII-XIII secolo. Il vialetto sterrato con gli ulivi su entrambi i lati sembra uscito da un libro di illustrazioni per bambini. Nessun essere umano intorno. Solo l’afa e il canto delle cicale. Così la sensazione di affondare nel mistero cresce man mano che si avanza verso la facciata di arenaria edificata a grandi blocchi orizzontali, con un oculo centrale (chiuso) sopra il portale: fuori asse rispetto alla finestra bifora (con lastre interne in alabastro) e spostato anche rispetto allo stemma di papa Leone X (datato 1522) che si trova più in basso.



Una facciata con elementi decorativi sbilenchi? Forse riscostruita nella parte alta dopo un crollo o uno smottamento. Cosa probabile visto che anche il lato sud della pieve è in totale pendenza. Un altro giallo: sopra l’apertura circolare (il rosone-oculo) c’è una piccola testina di marmo, si tratta di un uomo. Ma chi è? Molte ipotesi degli esperti (la più diffusa e sbagliatissima: la principessa Matilde di Canossa), nessuna documentazione. L’identikit non si è manifestato. Alle spalle del monumento nazionale l’incanto del sole nel giardino usato per le cerimonie: l’abside trionfa. È decorata nella parte inferiore con una serie di arcate cieche e due colonnine centrali ofitiche (ovvero annodate, ma questo è un segno esoterico?) mentre a sinistra spunta una loggetta sottotetto. Sembra posticcia. Un’altra contraddizione architettonica degli interventi successivi che hanno trasformato la chiesa un decennio via l’altro.



Va detto che la pieve dedicata a San Pietro è stata tirata su, fatta e disfatta, crollata e ancora riedificata, in una terra la cui origine, verrebbe banalmente da osservare, “si perde nella notte dei tempi”, ossia nella preistoria. Nel Valdarno - un tempo paludoso, argilloso e coperto di piante ad altissimo fusto - sono stati ritrovati parecchi manufatti originari e un “pezzo” d’eccezione come Gastone, fossile di un mammuthus meridionalis conservato al Museo Paleontologico di Montevarchi, che vale senz’altro una visita alla Indiana Jones. Ma per restare alla pieve (e all’era moderna) è certo che l’edificio di culto d’età longobarda (XI-XII secolo) ha, a sua volta, sormontato una chiesetta paleocristiana, forse già dedicata al primo papa nel V secolo, ubicata dove gli etruschi avevano i loro incontri sacri. Il nome Gropina deriva, infatti, quasi sicuramente dall’etrusco krupina che significa villaggio.



Il paganesimo dei popoli preromani non ha lasciato altarini in loco, ma nel 123 d.C. l’imperatore Adriano amplia la strada tra Chiusi e Firenze e proprio da qui arriverà il cristianesimo. Nasce dunque a Gropina la chiesa a navata unica, piccola, per i pochi fedeli del borgo, i cui frammenti murari sono stati ritrovati sotto il pavimento attuale. “La chiesa longobarda era, invece, a due navate absidate e di dimensioni diverse, collegate da colonne. Il presbiterio era soprelevato e sotto si trovava un sepolcreto”, si legge nella guida splendidamente illustrata a cui hanno lavorato Guido Tigler - docente di Storia dell’arte medievale all’università di Firenze - e Chiara Di Maria. È grazie ai due studiosi e all’impegno dell’amministrazione di Loro Ciuffenna (nonché all’attività di Toscana Promozione) che la specialissima pieve è uscita dal buio turistico che l’avvolgeva da anni.



Più che l’affastellarsi di informazioni, ciò che colpisce l’anima e gli occhi entrando qui è il colonnato che divide le tre navate. Sette campate, due pilastri che delimitano il presbiterio. Attaccato alla quarta colonna della navata destra c’è il pulpito semicircolare romanico. Tutto è austeramente diverso dal solito Romanico, bello e misteriosamente mescolato: nello stile dei capitelli, nello sfalsamento delle due file di colonne, nei bassorilievi, nelle sculture dove si stagliano simboli pagani e scene di sconosciuta bestialità. Cercare di comprendere i dettagli è un’impresa che richiede un’accuratezza e una preparazione tecnica altissima, tuttavia la pioggia di luce filtrata dalle lastre di alabastro dietro l’altare di pietra e le figure antropomorfe, macabre e modernissime, che sembrano danzare sui capitelli maleficamente, ti rapiscono anche senza conoscenza. Basta avanzare nella navata per salire sulla giostra dei simboli.



Nel semi-capitello della controfacciata a destra è scolpita una scrofa che allatta quattro maialini. Un’icona del vizio e della lussuria che viene esplicitata meglio lateralmente, là dove compare un lupo che divora un coscio di maiale. La passione, la punizione e il peccato. E si ricomincia: nel primo capitello del colonnato sono raffigurati dei cavalieri ma si nota un uomo-scimmia ripiegato su stesso che cavalca al contrario in assetto da amazzone, nella cosiddetta “posa del cavaspino”, una figura che in epoca medievale era associata a Priapo. Stranezze zoomorfe che non hanno trovato corrispettivi da paragonare: le due file di colonne sarebbero state costruite qui da maestranze diverse in epoca diversa (più recenti quelle di sinistra). Intorno al 1100, satanassi, aquile e leoni la facevano da padrone in quel Medioevo ecclesiale che tutto riporta al peccato originale. Nel quarto capitello da sinistra, strane volute spuntano dal fogliame fitto fitto e danno vita a un grande diavolo cornuto proprio al centro della scena. E per rimanere nelle “vignette”: sul pulpito appare una lastra con una sirena divisa in due e un acrobata con il sesso in bella vista contornato da serpenti. Sembra un richiamo da baccanale…



La luce addolcisce le figure spudorate e pure quelle dei serafini. È ora di uscire, il custode ci spinge in giardino. Impossibile non farsi venire in mente il prolifico Ken Follett che ne “I pilastri della terra” racconta la costruzione di una cattedrale inglese, la fatica dei maestri di calcolo e scalpello. Le notti dell’arte medievale. Il libro è ambientato tra il 1120 e il 1170, quando il Romanico in Britannia lascia il posto all’architettura gotica, ma la pietra resta la base per arrivare al cielo. Proprio come a Loro Ciuffenna, borgo benedetto da un cielo azzurro che accompagna il rientro a casa dei nuovi pellegrini.






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