di Fausto Delegà
Era la vallata del fiume Kamp uno dei luoghi che, sin dai primi anni del mio arrivo in Austria, mi aveva ispirato. Mi ricordava il Mincio
mantovano nella sua parte collinare. Luogo ideale per andare a “caccia”, vegetale e senza armi, di un rampicante che in risotti e frittate
risulta imbattibile. Il suo nome potrebbe risultare leggermente inquietante: Humulus lupulus, con quel lupulus finale che
però nulla ha a che fare con il magnifico canis re dei boschi.
Si tratta invece del fine e mitico creatore, con le sue infiorescenze femminili, dei toni amaricanti nelle birre. Quegli amari che, in decine
di variazioni, restano spesso tra i segreti più nascosti per i creatori della bionda, scura o rossa bevanda.
Noi lo chiameremo amichevolmente «Luppolo selvatico». Interessanti e curiosi sono poi i suoi tanti nomi dialettali:
- luvertin in Piemonte,
- bruscandoli in Veneto,
- urticiòns in Friuli,
- luertis in dialetto Lombardo
Un rampicante fratello della canapa e appartenente alla stessa famiglia, quella delle cannabacee. Il fusto si sviluppa annualmente e in inverno secca e scompare. Le radici posso rimanere nei terreni e germogliare per quasi trent’anni. Vegetale dalla forza dei suoi germogli incredibile e che ama stare sulle rive e nelle lanche dei fiumi. In questi habitat cresce potente arrivando ad altezze di sei, sette metri, e arrampicandosi dove può.
Noi però preleveremo, per goderne a tavola, solo i primi 15 cm apicali della pianta e solo quando arriverá ad essere al massimo ad un metro
di altezza da terra; nel mese di aprile normalmente. Vicino all’acqua corrente dei fiumi il Luppolo… ingrassa. Il gambo rampicante si colora
di violaceo nei terreni a lui adatti e la sua linfa diviene ricca di inulina e “luppolina”, sostanza gialla e resinosa che
si arricchisce di sfumature amarognole più o meno marcate a seconda dei “terroir” in cui vive la pianta, e a seconda della cultivar
a cui appartiene.
Con queste “luppoline” concentrate all’interno dei suoi coni fioriti dona carattere amaricante alle birre contrastando il dolce dell’orzo e conferendo
alle birre il gusto che in molti amano.
Nel nostro caso però, intendo nel selvatico alimurgico a scopo alimentare, a noi piace scegliere solo le cime, le sommitá della pianta, quelle sorrette dal fusto più carnoso, più colorato di viola, quello che dopo 10 minuti di raccolta incolla le dita e profuma le mani ricordandoci che questi sono gli aromi che vogliamo ci regali poi in padella.
É lí che ama accompagnarsi, dopo brevissima lessatura a vapore — 3 minuti — con burro, aglio in presenza molto discreta e moderata, infine un pizzico di noce moscata, Sale e pepe q.b. Da quel momento bastano 5 minuti di cottura in padella e poi può tuffarsi in un risotto, accompagnarsi a uova per una frittata o essere consumato come verdura in purezza. In questo caso solo per gli estimatori più preparati e amanti del suo sapore di salso e di minerali buoni.
La sua variante color verde chiaro nel gambo, molto più “magra”, di solito cresce più distante dall’acqua. Sempre meno aromatica di quella a gambo viola e da recidere alla prima coppia di foglie. Oltre rimane fastidiosa al palato. Non é facile confondere il Luppolo con altri vegetali rampicanti non commestibili, proprio per la sua caratteristica unica di avere il gambo ruvido e peloso. Poi, se fatto rotolare tra le dita, il gambo del Luppolo risulterá sempre spigoloso, mai liscio.
Un possibile concorrente é il Tamaro — Tamus Comunis — dai gambi super lisci, mai pelosi e dall’apice incurvato. Leggermente tossico se consumato. Le sue foglie comunque sono completamente diverse rispetto a quelle del Luppolo.
Un paio di stivali robusti possono fare la differenza nelle zone di raccolta spesso ripide. Che l’amaricante sia con voi.