ABBADO E MUTI
LA LEGGENDA
DI UNA SFIDA
Muti e Abbado, una rivalità obbligata dai destini incrociati a Milano, Vienna, Londra, Berlino. Caratteri e gusti diversi, diversa l’estrazione sociale. Abbado, milanese freddo di poche parole; rampollo di un’influente famiglia, musicisti da generazioni. Muti è figlio della media borghesia del Sud, napoletano talentuoso, più giovane di otto anni. Mentre arriva a Milano con il treno degli emigranti, imbacuccato e barbellante nel freddo padano, Abbado è a Vienna a frequentare costosi corsi di musica. Attratto dal Novecento europeo, stravede per Mahler. Il suo mito è Furtwangler. Ne diverrà il successore dopo Karajan. E la vedova del carismatico musicista tedesco riuscirà nella non facile impresa di emozionarlo lontano dal podio: “Con i Berliner avevamo in programma un concerto a Ginevra. E lei mi scrisse una lettera: 'Come successore di mio marito la invito ad abitare in casa mia…' Ecco, essere definito il successore di Furtwangler: una cosa che mi rimarrà dentro per sempre”.
Muti è un verdian-mozartiano estremista, ama la cantabilità del Settecento napoletano, levità e ironia, che si impose in tutto il mondo e soprattutto formò Mozart. Al decadentismo di Mahler, non a caso detestato da Toscanini, preferisce Bruckner, la vibrante e mistica spiritualità che alimenta la prodigiosa forza delle sue vertiginose correnti ascensionali. Il suo mito è Toscanini. Nel 1996 la Scala festeggia il cinquantesimo anniversario del concerto toscaniniano per la rinascita del teatro. Renata Tebaldi, che in quella storica sera del '46 venne definita "voce d’angelo" dal 'tiranno' parmigiano, è l’ospite d’onore. Emozionata e raggiante incorona Muti: “È l’erede di Toscanini, ha una forza interiore perentoria e dolce allo stesso tempo, vigori vitalissimi e abbandoni morbidi, un gesto stupendo. E come Toscanini ha un carisma immediato”.
Insomma, due mondi diversi, due protagonisti destinati al successo e all’incomunicabilità. In più di cinquant’anni di una carriera che li ha visti trionfare negli stessi luoghi, Scala, Londra, Vienna, non c’è una fotografia che li ritragga insieme. Nel 1971 la Scala diretta da Abbado invita Muti a condurre “I Puritani”. Chissà che i due fuoriclasse non trovino un’intesa… Macché. Dopo un’infelice prova generale il Riccardo furioso se ne va sbattendo la porta. Cos’era successo? Loro tacciono. Un vecchio attrezzista ricorda Muti esasperato per non riuscire a parlare dei problemi tecnici con un Abbado sempre sfuggente.
Per tre anni sono attivi entrambi a Londra contemporaneamente e i due 'amici' riescono nell’impresa di non vedersi mai. Abbado guida la London Symphony, Muti la Philarmonia orchestra. Enzo Biagi nel ‘79 li intervista, separatamente, ovvio. Muti va in onda per primo e per prima cosa rivela che sotto la sua bacchetta “la Philarmonia, per opinione comune, è considerata la migliore orchestra d’Inghilterra”. Béccati questo, amico Claudio.
Nel ‘93, in giugno, Abbado compie sessant’anni. Vado a intervistarlo ad Alghero, nella sua casa-grotta nascosta nella macchia mediterranea. Gli consegno tre locandine zeppe di firme augurali raccolte dalla professoressa Attilia Giuliani, la Tilla, presidente fondatrice del Cai: Club abbadiani itineranti. Uno scricciolo con l’argento vivo addosso, capace di partire all’alba di un febbraio ghiacciato con una Panda senza catene e ma quali gomme invernali per andare a Berlino, salutare l’idoleggiato Claudio intento a una prova, e alle otto di sera essere di ritorno a Milano. “C’è anche la firma di Muti”, mi aveva detto la sempresorridente ‘pasionaria’ abbadiana consegnandomi il malloppo.
Eccoci dunque accolti dal maestro Claudio e subito curiosi di vedere l’effetto che fa l’augurio del ‘rivale’. “Questa rivalità non esiste, è una vostra invenzione giornalistica” - dice Abbado. - “Avercene di musicisti bravi come Riccardo. Io l’avevo invitato a venire alla Scala, avremmo lavorato insieme. Ma lui preferì restare al Maggio Fiorentino”. Il giorno dopo a Milano incontro un collega: “Muti è stato raggirato dalla Giuliani”, dice ridendo. “Insieme ad altri appassionati d’opera lo ha aspettato all’uscita dal teatro. Lui ha firmato di corsa decine dei soliti autografi. Stamattina ha scoperto d’aver fatto gli auguri ad Abbado. Telefono a Muti. “Così ha detto Claudio? Ricorda male!”. Punto e a capo.
Nel 1992 e nel ’93 il ‘divino Claudio’ dirige i Wiener e i Berliner in due formidabili concerti alla Scala. In molti si aspettano che Muti, per dovere di ospitalità, assista ai concerti. Nossignori, sono eventi organizzati dalla Società del Quartetto, la Scala - fa sapere - si limita ad affittare il teatro. Toccherebbe dunque ad Abbado invitare il maestro scaligero. Non accade. Ma la cosa positiva è che Abbado accetta la proposta di Carlo Fontana, il sovrintendente dell’ultima stagione d’oro della Scala, per tornare a dirigere finalmente un’opera a Milano, un ‘Fidelio’ di Beethoven. Ipotesi che naufraga subito: Abbado pone come condizione che lo spettacolo sia prodotto da Berlino, orchestra compresa. Il che significherebbe un mese di lavoro a Milano del complesso produttivo più costoso al mondo e uno smacco per gli orchestrali scaligeri.
Come non bastasse, c’era stata anche la rottura tra Abbado e Vienna. Con i Wiener e la Staatsoper Muti ha una frequentazione iniziata nel ’71 al Festival di Salisburgo su chiamata di von Karajan. Un rapporto che diventa innamoramento artistico autentico, che la leggendaria orchestra della capitale dei valzer ribadisce ancora più volentieri per punzecchiare Abbado. Il portavoce viennese, il professor Resen, rilascia interviste nelle quali definisce Muti “il più grande direttore del mondo”. A Milano, i nostalgici del taciturno e affascinante Abbado decidono di passare all’attacco. Convinti che Muti si opponga al ritorno del rivale, scrivono lettere ai giornali, organizzano raccolte di firme. La Scala è in ambasce: il 7 dicembre del 2000 si apriranno le celebrazioni del Bicentenario verdiano 2000-2001. Figurarsi se i contestatori si faranno sfuggire l’occasione. Muti e Fontana escono allo scoperto, rivelano i sei inviti recapitati ad Abbado - tre di Muti e tre di Fontana - ricevendo una sola risposta, negativa, dal suo segretario, Dewitte. L’ultima supplica di Muti è pubblicata in prima pagina dal Corriere della sera. Ma senza alcun risultato. Si arriva al 7 dicembre del 2000 in un clima esasperato.
Nell’estate di quell’anno Abbado ha dovuto subire un intervento chirurgico pesantissimo che lo ha riconsegnato alla vita in condizioni impressionanti. Magrissimo, il volto scavato dal dolore, il fisico quasi incorporeo. I suoi sostenitori incolpano la Scala di averlo invitato sapendo della sua impossibilità a muoversi. È un’assurdità. Ma i ‘pasdaran’ passeranno comunque all’attacco la sera del 7 dicembre 2000. Muti dirige il “Trovatore” eliminando il Do acuto della famosa cabaletta “Di quella pira”. Verdi non l’aveva scritto, era entrato nella prassi esecutiva per dar modo al tenore di sparare un acuto che fa impazzire i melomani eccitati da quel tuonante atletismo vocale. Dal loggione piovono fischi, buuuuu! E una voce sovrastante: “Questo non è per i cantanti o per l’orchestra, ma è proprio per il direttore musicale!”. Che risponde: “Non trasformiamo il Bicentenario verdiano in un circo”. La platea applaude il maestro, il loggione rumoreggia. La voce del gentiluomo emette un raffinato insulto: “Maestro, lei è un deficiente”.
Nel 2005 Muti viene sfiduciato dai dipendenti scaligeri che con ottocento ‘sì’, due ‘no’ e due astenuti lo costringono alle dimissioni. Nell’ultima stagione i due rivali-amici-nemici si scambiano tacite cortesie. A Busseto, Giuliana Allegri, presidente della ‘Do.re.music’, scuola gratuita per ragazzi, propone di invitare Abbado, da sempre impegnato ad aiutare i giovanissimi musicisti. Alessandra, la figlia, è entusiasta dell’idea. Ma dopo un paio di giorni telefona delusa: “Claudio ringrazia ma ha deciso di non intervenire. 'Riccardo, mi ha detto, è cittadino onorario di Busseto, ha fatto di Verdi una ragione di vita. Non posso invadere il suo territorio' ”.
L’ultima ignota carineria tra due grandi artisti entusiasti di un’intensa e graditissima mancata frequentazione.
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