ABBADO
E L'OASI
SARDA
Il 26 giugno 1993, Claudio Abbado compiva 60 anni.L’occasione per fargli un’ampia intervista, secondo il direttore Eugenio Scalfari. Ampia? Difficile, quasi impossibile, Abbado più che restìo era contrario alle interviste. Telefonai alla figlia, Alessandra, e alla di lei madre, prima moglie del maestro, la Cavazzoni, fondatrice del Vidas. Sorpresa: il maestro accettava "molto volentieri", sottolineò la figlia, che si disse un po' stupita dal quel quasi entusiasmo paterno. Dunque, in una meravigliosa giornata ventosa e nitida, arrivo ad Alghero, dove il maestro a partire dal 1968 si nascondeva in una casa bianca quasi invisibile, sommersa dall' intrico di bouganvillee viola, rosse e color arancia ("Una rarità"), di palme, albicocchi, pini e da una stupefacente siepe di ibisco rossi. Il maestro mi stava aspettando, lo intravvedo làggiù... o mi sbaglio? No no è proprio lui, in calzoncini rossi da bagno, maglietta di cotone azzurra e scarpe da barca. Dico: buongiorno maestro, come sta? Grazie dell’intervista… Lui, ilare ma serio serio, fa no no scuotendo il capo e mi agghiaccia:"Allora due cose: la prima è che qui non c’è nessun maestro, ci sono due persone, una si chiama Claudio e fa il musicista, l’altra Vittorio, che fa il giornalista ma che oggi non intervisterà nessuno. Adesso andiamo a vedere uno spettacolo meraviglioso".
E Claudio mi trascinò in una scarpinata dal ritmo rossiniano, lungo la costa di Fertilia, nel tratto tra le Bombarde e la torre del Lazzaretto. Camminava spedito, Abbado, i capelli al vento, gli occhi scuri orientaleggianti che fissavano, felici come davanti a una partitura dell'amato Mahler, l' oggetto del suo entusiasmo totale: i nove ettari di macchia mediterranea tra i quali si muovevano, cauti e veloci, i giardinieri comandati dal professor Marras. dell' Università di Sassari, il sovrintendente del progetto di recupero ambientale. Lui e Abbado parlottavano di lentischio, mirto, rosmarino, corbezzoli, palme nane.
"Siamo a duemilacinquecento piante collocate", diceva il professore Marras. "E arriveremo a 7000", gioiva Abbado, estatico e impolverato da capo a piedi, subito schizzato via a controllare lo scavo per le condutture d'acqua, le colonnine rosse anticendio, l'impianto sovrastante la cisterna interrata. "Pian piano, la macchia di vegetazione tornerà com'era prima che la devastassero", spiegava "riducendola a una discarica. Ripulirla è stato un lavoro enorme: nove camion di detriti e spazzatura. Adesso restringeremo queste piste a sentieri pedonali con accesso al mare. Accesso libero, a tutti, ovviamente. E pensare", soggiungeva Claudio con la voce un po' incupita, "che mi hanno trattato da speculatore. Èuna cosa indegna, inaccettabile. Da Alghero m'è piovuto addosso di tutto, ostacoli, accuse, boicottaggi. L' altro ieri hanno appiccato fuoco a un tratto di macchia, duemila metri quadrati distrutti. Èstata ritrovata la lattina usata per innescare le fiamme. Evidentemente il nostro intervento ha mandato all'ria i progetti cementizi di qualche speculatore. E invece qui non si costruirà più nulla, nemmeno un centimetro cubo".
La scarpinata paradisiaca era finita. A mezzogiorno, davanti a un sarago al forno e a una bottiglia di Vermentino, Abbado si era riconfortato apprendendo che il Rettore dell' università di Sassari, il professor Giovanni Palmieri, era sceso in campo per spiegare come l' università, alla quale Abbado aveva affidato l'intervento sulla costa, tutto avrebbe potuto fare, fuorché favorire operazioni speculative. Arrivarono in tavola anche ricotta affumicata e vino rosso, un uvaggio di Cannonau e Cabernet. Poi a un certo punto, il maestro, mosso a pietà dalla mia faccia per nulla allegra, reduce dalla telefonata con la quale avevo avvertito il direttore che l’intervista con Abbado non c’era, cambiò registro e acconsentì a una piccola incursione nei ricordi.
La Milano dell'infanzia, in via Fogazzaro ("Con il mio compagno di giochi Guido Crepax"); la mamma arrestata per aver nascosto un bimbo ebreo; la Milano dei Navigli, poi il liceo classico 'Berchet' e il Conservatorio. Quel concertino in casa Toscanini ("Suonai Bach, emozionatissimo davanti al grande vecchio"); quelle sere alla Scala, lassù in Loggione:"Ho visto dirigere i grandissimi, Furtwangler e Mitropoulos, Guarnieri e De Sabata". Poi gli studi a Vienna, il primo concerto alla Scala ("La Seconda di Mahler, nel '65"). La Scala di Paolo Grassi, la Milano del Sessantotto, la stagione di una città "che aveva una fortissima spinta culturale". I concerti nelle fabbriche, le tournée in tutto il mondo, i dischi, la creazione della Filarmonica, le prime mondiali di autori contemporanei. Poi Londra, la London Simphony. E infine il gran giorno, i Berliner che lo eleggono a successore di Karajan: "Siamo sulla stessa lunghezza d' onda, abbiamo lo stesso modo di amare la musica. E poi stare a Berlino è davvero entusiasmante, è una capitale di cultura, tre teatri d' opera, sette orchestre sinfoniche, mostre, musei".
Nel tardo pomeriggio, mentre incominciavano ad arrivare auguri, pacchetti e fiocchetti e bigliettini di auguri da tutto il mondo, gli consegnai quelli dei loggionisti scaligeri: tre fogli zeppi di firme raccolte dalla professoressa Tilla Giuliani, scatenata capopolo degli "Abbadiani itineranti". E c'era anche la firma di Riccardo Muti, il rivale! "Quando la smetterete voi giornalisti di giocare a Coppi e Bartali con i direttori d' orchestra?" si lamentò Abbado. Poi: "Riccardo è una persona squisita e un grandissimo direttore. Avercene, come lui". Annotato l’elogio al "rivale" corsi a dettare il pezzo. E Muti? Muto.
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