EZIO BOSSO
COSÌ SVANÌ IL SOGNO
DELLA MESSA VERDIANA
Lui aveva deciso di dedicarsi a Verdi: e Busseto di farlo Bussetano. Così Ezio Bosso, il 23 febbraio del 2019, aveva ricevuto dal Sindaco, Gian Carlo Contini, la cittadinanza d’onore. Festa di emozioni, in un Teatro Verdi gremito intorno a questo giovane uomo nato per fare musica: e al di là delle opinioni, tutte rispettabili, di tale levatura artistica e morale da lasciare un segno indelebile già al primo ascolto. Aveva un sogno - dirigere Messa da Requiem di Verdi - svanito ottanta giorni dopo la festa bussetana, il 14 maggio. “Erano le undici e quaranta di sera”, ricorda Anna Maria Gallizio, sua compagna per quattordici anni, poi divenuta amica indispensabile tornata al suo fianco come assistente, l’unica persona di fiducia. “Non potrei vivere senza di lei”, diceva Bosso.
È il 2011, l’anno orribile che trasformerà in un Calvario gli ultimi dieci anni di vita: Ezio subisce un intervento al cervello e di lì a poco i medici scopriranno l’insorgenza di un’inesorabile malattia progressiva. Lui si rivela un grande uomo di dimensioni etiche e morali degne di un seguace della Stoà, uno stoico, controllava le emozioni: libere poi di deflagrare interiormente durante i concerti. Quando il medico lo informa per filo e per segno della situazione, reagisce in maniera da rivelare tutto sé stesso: “Ascoltata la sentenza, con il medico parliamo dell’immortalità della musica, che è tenuta in vita dall’uomo mortale nel corpo ma partecipe spirituale indispensabile con la sua arte a perpetuare la creatività. E di colpo mi appare Anna Maria. Una tragedia! Ne soffrirà da morire, come farò a dirglielo? Ero disperato”. Era un’evocazione dolorosa. E vi fu un attimo di silenzio a rischio di commozione. “Ezio era un uomo speciale e in certi momenti anche molto ingombrante”, dice con voce pacata la signora Anna Maria: “Un uomo dal carattere forte. Ma è stato un rapporto meraviglioso e porterò sempre nel cuore il suo sorriso. Ecco, il sorridere e vivere la vita con amore, entusiasmo e saldezza morale: è questo che mi ha insegnato Ezio con il suo esempio”.
Ezio Bosso, ovvero la condanna alla feconda in-felicità del predestinato a ridare vita alle partiture dei grandi musicisti, e a scrivere la musica che gli scorreva dentro: “È un fiume carsico”, diceva con un’immagine efficace, “che ha bisogno di riemergere”. La musica, questa Dea lunatica e possessiva, l’aveva avvinto a sé, taciturno bambino di quattro anni. “Avevo poco da dire e molto da sentire: accucciato ai piedi di mio padre ascoltavo sinfonie e opere sbracciandomi al ritmo dell’orchestra”, scherzava Bosso: “Mi chiedevano ‘a cosa vuoi giocare?’. Io, pronto: ‘A dirigere i dischi’”. Di estrazione popolare, genitori entrambi operai alla Fiat e amanti della musica, per lui ci saranno il Conservatorio, il contrabbasso, lo studio della composizione-direzione d’orchestra a Londra e a Berlino. Il pianoforte fu prima vittima della malattia, Ezio aveva due dita inerti. Ma la sua è una vita da dispensatore di felicità. Memorabili concerti, tre a Parma, e quelle due splendide serate a Busseto, con la Quinta e la Settima dell’idoleggiato Beethoven, esecuzioni registrate da Rai 3 per il programma “Che storia è la musica”. E a Busseto il desiderio di verdianità prorompe fortissimo. La Giunta Contini azzecca l’idea della cittadinanza, si parla di una possibile sede per Bosso e la sua orchestra nelle Antiche Scuderie di Villa Pallavicino. Poi tutto si dissolse. Restano vivide e sonore le emozioni dei concerti di Bosso. Con la sensibilità e sensitività di sciamano e la spiritualità del gesto, Ezio preparava l’orchestra sua adorante e ci portava in volo nella purezza dei beethoveniani cieli stellati soprastanti un’umanità bisognosa d’amore.
Ricordo una Sesta di Beethoven da brividi profondi. Ezio ora chiedeva dolcezza, ora una “fioritura profumata” a viole e violoncelli. Mentre i contrabbassi avrebbero dovuto far sentire “un sordo sarcasmo” contro la “tracotanza degli ottoni” e dei contrabbassi. Ed ecco che il Maestro posava la bacchetta; ora bisognava far consonare insieme la luce liquida e perlacea dell’oboe con il delizioso e romantico soffio amorevole e asmatico dei flauti. Poi il borbottio prendingiro e pettegolo dei fagotti annunciava un cambio di scena: lì il primo corno ha un “a solo” difficile, deve ribadire che sì, la natura in un giorno d’estate risuona di teneri pigolii e dei cucù scherzosi come gli allocchi. Ma l’idillio agreste può finire da un momento all’altro: ed ecco dunque il corno, voce annunciante misteriosi arrivi, selve selvagge percorse da fremiti oscuri. Il maestro Bosso sembrava un Titano e la progressiva umiliazione del corpo rendeva titanico anche il movimento delle braccia e delle bellissime mani dalle dita levigate con la musica e i lievi calli dovuti alla spinta manuale della carrozzina. Prove severe, anche otto ore in un giorno e mezzo. Sempre sull’orlo del baratro. Ezio via via stava sempre peggio, Anna Maria sempre pronta a intervenire non bastava più a dargli sicurezza, il male cominciava a sovrastare lo spirito.
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L’ultimo incontro di persona a Roncole, la sera della cittadinanza bussetana. Maestro nel creare un’atmosfera cordiale, Ezio aveva certi momenti nei quali, sotto lo sguardo premuroso di Anna Maria, traspariva l’inquietudine di chi è consapevole di un futuro a breve raggio. Ai saluti, Ezio era stato molto affettuoso con me e mia moglie Simonetta. E guardando il busto del Grande Roncolese, aveva sussurrato: “Almeno dirigere la sua Messa, e poi… Requiem”. Anima delicata, Ezio Bosso. Le telefonate diradarono, il tono della voce più sottile. E un messaggio whatsapp ripetuto: “Ciao Vittorio, amico Illuminato dalla Musica”.
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