Abbattere
la cultura
un crimine
di guerra
di ANNA DI LELLIO
C'è un accanimento russo, durante l'invasione, anche contro le ricchezze culturali ucraine.
Forse Putin pensa che una volta abbattute le manifestazioni fisiche di quella cultura
nessuno potrà dire che sia mai esistita. L'ultimo episodio è la distruzione della casa giovanile di
Tchaikovsky era di famiglia. Ma nella lista di crimini su cui sta indagando il procuratore della
Corte Penale Internazionale (CPI) c’è anche la distruzione del patrimonio culturale.
(Nella foto accanto: la stazione di Chernihiv)
Pochi sanno che la città di Chernihiv, nel nord dell’Ucraina, ha un
centro storico così bello e importante da essere candidata alla lista
del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Ci chiediamo quindi perché le
truppe russe l’abbiano bombardata dato che non è nel Donbass né sulla
costa del Mar Nero. Non solo. Anche dopo aver annunciato il loro ritiro
dal nord per riconcentrarsi nelle aree sudorientali del paese, hanno
continuato a bombardarla, come ha denunciato il
sindaco. Il sospetto è che Putin abbia voluto attaccare Chernihiv
proprio perché città preziosa per la cultura e storia ucraine, di cui
nega l’esistenza.
Chissà se per lo stesso motivo è stata
distrutta la casa dove ha abitato Tchaikovsky a Trostyanet quando
aveva vent’anni nel 1864, e dove ha composto l’overture della sua prima
sinfonia, La Tempesta. Forse Putin pensa che una volta distrutte le
manifestazioni fisiche della cultura ucraina, nessuno potrà dire che
sia mai esistita, né potrà dimostrare che Tchaikovsky era di famiglia
ucraina al tempo dell’impero Russo.
Questo è un altro dei tanti errori di calcolo di Putin. Perché non
siamo piú nell’impero Ottomano, che distrusse impunemente la maggior
parte dei più di duemila siti religiosi della comunità armena, lasciando
il resto al vandalismo dei governi turchi suoi successori. Nella lunga
lista di crimini su cui sta indagando in Ucraina il procuratore della
Corte Penale Internazionale (CPI) Karim A.A. Khan, c’è anche la
distruzione del patrimonio culturale. È di questi giorni
la pubblicazione su RIA Novosti, agenzia giornalistica statale della
Russia, del testo, “Cosa
dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina”. Il piano include la totale
cancellazione della cultura e storia ucraina, che ovviamente è iniziata
già da oggi.
Dalla
Convenzione dell’Aja del 1954, colpire deliberatamente, danneggiare
e distruggere siti religiosi o di interesse storico e culturale di un
paese è considerato crimine di guerra. Ogni sito marcato da uno scudo
blu è sotto la protezione della Convenzione. Dal 1998, con lo Statuto di
Roma e l’istitutione della CPI, è anche un crimine contro l’umanità e
genocidio. La
giurisprudenza è molto chiara sulla questione.
La giustizia internazionale ha fatto enormi passi avanti dalle guerre
jugoslave, dove per la prima volta la Corte Internazionale Penale per
l’Ex-Jugoslavia (ICTY) ha emesso sentenze relative alla distruzione
del patrimonio culturale come parte di una campagna di pulizia etnica. A
questo proposito basti ricordare la distruzione del ponte di Mostar da
parte di truppe croate, il bombardamento del centro di Dubrovnik e la
devastazione del patrimonio culturale e religioso della Bosnia da parte
delle truppe serbe. Più recente è la prima condanna solo per crimini
contro il patrimonio culturale: nel 2012
Ahmad Al Faqi Al Mahdi,
membro di Ansar Eddine, gruppo associato ad Al Qaeda nel Maghreb, è
stato condannato a nove anni dalla CPI per aver distrutto siti religiosi
e storici a Timbuktu, in Mali.
Putin non sa o non si è accorto che l’UNESCO è
rimasto in contatto quotidiano con le autorità ucraine fin dal primo
giorno della guerra. Contemporaneamente, il Paul Getty Trust, che opera
nel campo dell’arte a livello globale, ha lanciato un ammonimento sui
pericoli che la guerra rappresenta per l’eredità culturale ucraina.
Entrambe queste due potenti organizzazioni hanno offerto assistenza
all’Ucraina, in primo luogo monitorando ogni incidente in cui un sito
religioso o storico è stato attaccato, danneggiato o distrutto, e
raccogliendo le prove del comportamento criminale delle truppe russe in
tempo reale.
Al 30 marzo, l’
UNESCO ha registrato la distruzione di 29 siti religiosi, 16 edifici
storici, 4 musei e 4 monumenti in Ucraina. A Chernihiv sono 5 i siti
colpiti. Una dozzina di siti sono stati distrutti a Kharkiv, dove il
memoriale dell’Olocausto è stato danneggiato. Non si sa nulla di
Mariupol e di Kherson, città occupate dai Russi, quindi la lista
potrebbe allungarsi di molto. Certamente il bombardamento del teatro di
Mariupol, che ha molto scioccato l’opinione pubblica internazionale per
il fatto che è stato colpito nonostante fosse un rifugio di civili, è da
considerare anche vittima della guerra in quanto sito culturale. Per
il momento restano intoccati i due siti che sono della lista del
patrimonio mondiale dell’UNESCO: la cattedrale di Santa Sophia e il
complesso monastico di Kyiv-Pechersk Lavra.
Ovviamente il rischio è
maggiore per siti che si trovano in aree insicure, per esempio il Museo
Nazionale della Storia dell’Ucraina a Kyiv, situato vicino a tre chiese
ma anche vicino alla sede dei servizi di sicurezza e della polizia di
frontiera. Però non è chiaro perché sia stato distrutto il
museo di Ivankiv, a 80 kilometri da Kyiv, un museo piccolo, ma
ricco di folk art e soprattutto dei lavori di una delle artiste più
squisitamente ucraine,
Maria Prymachenko, a quel che sembra nota anche a Picasso per la sua
immaginazione e creatività. Nella lezione della storica dell’arte
Kseniia
Konstantynenko, presentata un paio di settimane fa nel quandro degli
incontri culturali tra Roma e Kyiv, si parla di Maria Prymachenko,
contadina autodidatta, come delle maggiori espressioni di un’arte per
così dire autoctona, immersa nella luce e nei colori della campagna
ucraina. Si sono salvati solo un paio di dozzine dei suoi quadri dopo
l’incendio del museo di Ivankiv.
Il 17 marzo il direttore generale
dell’UNESCO, Audrey Azoulay, avrebbe scritto al ministro degli esteri
russo Sergei Lavrov per ricordargli gli obblighi della Russia, che come
l’Ucraina ha firmato la Convenzione dell’Aja del 1954. Non sembra che il
messaggio sia stato ben recepito, perché la distruzione continua
indisturbata, o disturbata solo dalla difesa che gli Ucraini riescono a
mettere in campo. Ma non mi stupirei se quella lettera finisse nel
dossier del procuratore della CPI come prova che le autorità russe erano
a conoscenza dei crimini di guerra commessi dalle truppe e non hanno
fatto nulla per fermarle e punire i responsabili.
Sarebbe comunque una sorpresa se i Russi
fossero sensibili ai richiami di chi ricorda loro che il patrimonio
culturale dell’Ucraina va rispettato. Il fatto è che non riconoscono che
l’Ucraina sia un paese, che ci sia un popolo ucraino con una storia e
una cultura distinta dalla loro. Ergo, se non esiste patrimonio
culturale ucraino, quello che c’è va distrutto intenzionalmente per
occultare le prove della sua esistenza. Lo stesso accadde più di venti
anni fa in Kosovo. Si è parlato molto e giustamente dei siti di maggiore
interesse della Chiesa Ortodossa Serba, che dopo la guerra del 1998-99
dovettero essere protetti dalle truppe NATO, mentre siti minori e meno
noti, abbandonati dalla popolazione serba in fuga, furono attaccati e
distrutti dagli Albanesi. E lo stesso vale per i siti religiosi serbi
danneggiati da Albanesi durante i disordini del marzo 2004. Tuttavia è
importante distinguere questa distruzione criminale, commessa per
vendetta, dalla meno nota ma deliberata e
organizzata distruzione dell’eredità culturale degli
Albanesi in Kosovo.
I primi edifici che le truppe serbe si
preoccuparono di distruggere nel 1998 e nel 1999 furono le moschee.
Almeno 207 delle 609 esistenti in Kosovo furono distrutte o subirono
danni ingenti. Seguì la distruzione della maggioranza di 500
kulla, letteralmente torre, tradizionale casa di
pietra albanese. Il bazaar di Peja/Peć e il centro cittadino di epoca
ottomana di Gjakova/Djakovica andò tutto in fumo. È importante notare
che queste distruzioni avvennero in aree dove non si combatteva, non
furono un danno collaterale della guerra. L’archivio storico centrale
della comunità islamica del Kosovo a Pristina fu messo a fuoco da truppe
serbe poche ore prima dell’arrivo della NATO, e dopo l’accordo sul
cessate il fuoco.
La distruzione di tutti questi siti storici
significa, secondo la conclusione raggiunta da due esperti indipendenti,
Andrew Herscher e Andras Riedlmayer, consultati dalla
ICTY, che ci fu il tentativo programmato di distruggere un’intera
popolazione come entità culturale definita una popolazione della quale i
nazionalisti serbi hanno sempre negato l’identità autonoma. Come fanno i
Russi con gli Ucraini.
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