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Violenza in Ucraina
e i miti dello stupro

di ANNA DI LELLIO

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Le notizie delle violenze sessuali commesse dalle truppe russe in Ucraina sono state ricevute in Italia con sdegno per i responsabili e simpatia per le vittime, ma anche con una serie di commenti rivelatori di menti a lungo colonizzate dai classici "miti dello stupro". Ne propongo una breve lista: lo stupro è inevitabile in guerra; è impossibile punire i responsabili; le donne sono sempre vittime e gli uomini sempre colpevoli; solo un numero alto di incidenti e l’evidenza di un ordine venuto dall’alto sono prove che la violenza sessuale è un crimine contro l’umanità o di genocidio. Niente di questo è vero.

Non è vero che lo stupro è inevitabile in guerra ma è certamente molto frequente ed è solo una delle manifestazioni della violenza sessuale, crimine che nella formulazione del diritto internazionale include anche la schiavitù sessuale, la prostituzione, i matrimoni forzati, la sterilizzazione e altre forme di violenza e tortura che violano la legge della guerra. Per tutti i dettagli, si legga lo Statuto della Corte Penale Internazionale, specialmente Art. 7 (1) (g); 8 (2) (b) (XXII) and 8 (2) (e) (VI). Quindi il titolo in prima pagina de La Repubblica il 20 aprile, "Lo stupro sia crimine contro l’umanità" suona come un’esortazione incongrua, perchè lo è già dal 1998. Non è certo colpa dell’intervistata, l‘attivista Yazidi Nadia Murad Premio Nobel 2018, che nell’intervista lo dice. Sarà stata una svista della redazione. Però è grave, perchè la confusione è tanta.

La violenza sessuale è evitabile in guerra quando a combattere sono eserciti regolari, con la loro gerarchia, come quello russo per esempio, dove il controllo è ferreo e perfino gli atti di insurrezione del pensiero sono puniti. È evitabile anche perché i comandanti russi ne hanno conoscenza, dato che ne parlano i media di tutto il mondo. Perché non la fermano e la puniscono? Ma dimentichiamo i Russi per il momento. "È impossibile punire questi crimini", è il mantra ripetuto da molti a proposito della giustizia internazionale. Invece no, e soprattutto in questa guerra, perché le indagini sui crimini sono cominciate in tempo reale e sono condotte da una serie impressionante di investigatori, che vanno dai giudici della Corte Penale Internazionale all’attivista di base munito di Iphone passando per diverse intelligence, agenzie dell’ONU e organizzazioni internazionali dei diritti umani. Per la prima volta, in questa guerra conosciamo il nome e cognome di un soldato che telefona alla moglie e le annuncia che sta per stuprare un’ucraina.

La telefonata ormai famosa della giovane coppia russa è rivelatrice di un altro fenomeno. La moglie del soldato ridacchia e dà il permesso di stuprare al marito, facendosene complice. Non c’è da sorprendersi. La ministra della famiglia del Rwanda, Pauline Nyiramasuhuko, è stata condannata dalla Corte Penale Internazionale per il Rwanda per aver incitato a stuprare donne Tutsi anche il proprio figlio, tra gli altri. Non è la prima sentenza per violenza sessuale come crimine di genocidio, il cui record appartiene al sindaco Akayesu, ma è significativo che riguardi una donna, come fu nel caso della presidentessa della Republika Srpska Biljana Plavšić, durante la guerra della Bosnia, quest’ultima condannata per crimini contro l’umanità inclusa la violenza sessuale. Che le donne siano responsabili di violenza sessuale in guerra dovrebbe essere un fatto acquisito ovunque e per essere completi qui ricordiamo anche il ruolo svolto da soldatesse americane nelle torture ai prigionieri iracheni ad Abu Grahib.

Se contrariamente agli stereotipi anche le donne sono colpevoli di violenze sessuali, è vero pure che gli uomini sono vittime delle stesse violenze. Nei racconti di Stanislav Aseyev, giornalista ucraino detenuto da russi separatisti a Donetsk per due anni, si parla di prigionieri in isolamento, uomini e donne, the venivano stuprati da altri prigionieri selezionati per questo scopo. Alla Corte Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, il serbo bosniaco Duško Tadić fu il primo ad essere condannato per violenze sessuali contro uomini, poi seguito dalle condanne di diversi altri. Al campo di Omarska, Tadić costrinse un prigioniero bosniaco a staccare i testicoli di un altro a morsi. Se ci fissa sullo stupro, non si include questa tortura, che è violenza sessuale.

Recentemente un amico, uno studioso serissimo di cose antiche ma anche molto informato sull’attualità, mi ha detto: "Non si può parlare di violenza sessuale come crimine di genocidio in Ucraina se sono stati denunciati solo un centinaio o poco più di stupri". Non minimizzava la violenza, dubitava della classificazione. Riconosceva che il numero ufficiale di stupri è alto e deprecabile, ma non gli sembrava abbastanza da chiamarlo genocidio. Il suo è un pensiero diffuso, ma basato su un equivoco.

La violenza sessuale, in guerra come in pace, non è un crimine come un altro e infatti è il meno denunciato di ogni altro. Il perchè lo sappiamo. Primo, porta con sé lo stigma, cioè un giudizio sociale che svaluta la vittima, e che quindi spinge la vittima a mantenere il segreto. Secondo, la persistenza dei "miti dello stupro" (detto volgarmente, il "te la sei cercata"), scoraggia la denuncia per evitare il trauma dell’inchiesta, che continua a colpevolizzare la vittima. Per questo una stima grossolana ma efficace parla di 10 episodi di violenza sessuale per ognuno che viene denunciato. Se sono cento oggi le donne ucraine che si sono fatte avanti, va calcolato che a loro vanno aggiunte quelle che non vogliono parlare, quelle che non possono parlare perché sono state uccise, gli uomini assaliti in detenzione, gli LGBTQ di cui non sappiamo nulla, e tutti quelli di qualsiasi genere che sono stati obbligati a guardare mentre i loro parenti venivano stuprati. Perché anche quella è violenza sessuale.

È probabile che la violenza sessuale, fuori dei luoghi di detenzione dove la tortura è praticata d’ufficio, non sia stata esplicitamente ordinata. Ma è stata incoraggiata da una retorica e una politica violenta e altamente sessualizzata che appartiene al modus operandi di Putin e del suo circolo, e che definisce gli Ucraini come una non entità da assimilare o estirpare. Alle truppe incompetenti, corrotte, demoralizzate e mercenarie, le alte sfere militari hanno concesso il bottino di guerra: la licenza a fare quello che vogliono di un popolo che nella mente dei russi non esiste, e quindi è fuori dalla sfera morale che definisce ciò che è possibile fare ad un essere umano.

Secondo Lyudmyla Denisova, Ombudsperson ucraina, i soldati russi che hanno tenuto prigioniere un gruppo di giovani donne per alcuni giorni in una cantina di Bucha avrebbero detto: "Vi stupreremo fino a quando non vorrete mai più far sesso, per non farvi avere più figli ucraini". Il genocidio in corso non si basa su un piano scritto e firmato come il documento nazista di Wansee sulla soluzione finale degli ebrei, ma si sviluppa in modo fluido, ispirato dall’alto ed eseguito dal basso.


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