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Il suicidio
degli oligarchi

di ANNA DI LELLIO

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È dall’inizio della guerra che si sente dire: “Solo gli oligarchi possono fermare Putin”, oppure “il popolo russo no, ma gli oligarchi si ribelleranno”.

Il mantra è lo stesso. La realtà è un po’ diversa. Un paio di oligarchi si sono detti contrari alla guerra, ma non sono in Russia e non sono in auge. Uno è stato catturato dalle forze ucraine e resta in mano loro, abbandonato da Putin. Quello che si collocava più a occidente perché proprietario della squadra del Chelsea ha cercato di fare il mediatore di pace ma è rimasto vittima di un tentato avvelenamento. Altri tre si sarebbero suicidati, uno in Inghilterra, il secondo a Mosca, il terzo in Spagna, questi ultimi due dopo aver ammazzato la famiglia. Sono morti misteriose, e misteriosamente coincidono con la guerra in Ucraina.

Cominciamo dai fatti più recenti. Lunedi scorso, il vice presidente della Gazprombank
Vladislav Avayev è stato trovato morto, con una pallottola sparata in bocca, nel suo appartamento multimilionario di Mosca. La moglie e la figlia diciottenne erano nello stesso appartamento, uccise da colpi di arma da fuoco. Omicidio-suicidio, hanno detto gli investigatori russi, causato da una disputa famigliare sulla custodia della figlia. Pare una di quelle storie quotidiane di femminicidio in Italia.

Martedì è stata la volta di Sergei Protosenya, trovato impiccato nel giardino della villa multimilionaria affittata a LLoret de Mar in Catalogna per le vacanze di Pasqua. Protosenya era il direttore finanziario della compagnia petrolifera Tarkosaleneftegaz e di quella del gas Novatek. La moglie e la figlia di 13 anni sono state trovate morte squarciate in casa. Un coltello e un’accetta erano in giardino. Anche in questo caso gli investigatori sospettano un omicidio-suicidio. Il giorno dopo il ritrovamento si è perfino svolta una manifestazione, a Lloret de Mar, di protesta contro il femminicidio.

Qualche giorno dopo l’inizio della guerra, il 28 febbraio, Mikhail Tolstosheya, nato in Ucraina ma residente da quasi vent’anni in Inghilterra sotto il nome di Mikhail Watford, è stato trovato impiccato nel garage nella sua villa multimilionaria in una proprietà del Surrey dove molto tempo fa abitò anche il generale Pinochet. Watford aveva fatto la sua fortuna nel business del petrolio in Ucraina. Era stato molto amico di Boris Berezovsky, trovato morto impiccato nel 2013 nella sua villa multimilionaria nel Berkshire in Inghilterra.

Berezovsky, un insider del Kremlino al tempo di Yeltsin e in un primo tempo sostenitore di Putin, ne era diventato critico ed era entrato nella lista di persone di cui la Russia aveva chiesto l’estradizione. I media sospettarono si fosse suicidato perchè depresso per la peraltro costosissima perdita di una causa contro Roman Abramovich.

Tutti conosciamo meglio Roman Abramovich appunto, l’oligarca il cui yatch megagalattico spesso rovina il paesaggio del Mare Nostrum l’estate e il cui denaro finanzia una delle squadre di calcio più famose del mondo, il Chelsea. A febbraio fu vittima di un tentato avvelenamento dopo un incontro con delegati ucraini a Kyiv, incontro organizzato per cercare una mediazione diplomatica alla guerra.

Vagit Alekpérov, il president di Lukoil e uno degli uomini più ricchi della terra, si è dimesso prima del previsto dal suo incarico dopo aver criticato la guerra in modo blando, auspicando solamente la pace. Prima di lui Mikhail Fridman, fondatore della grande società internazionale LetterOne, aveva criticato la guerra. Fridman, di origini ebraiche e ucraine, è uno dei finanziatori del memorial di Baby Jar. Le sanzioni gli hanno estremante complicato la vita e il business, perché è molto difficile sbrogliare gli intrighi finanziari nei quali è coinvolto tra l’est e l’ovest. Con lui, anche Oleg Deripaska e Oleg Tinkov si sono schierati per la pace. Nessuno di questi vive a Mosca.

Chi sono questi personaggi ricchissimi, intrallazzatori transnazionali, oggi a rischio della borsa e della vita? E che potere avevano o hanno su Putin? Ci aiuta a capire un saggio coinciso ed eccellente di Stanislav Markus, professore della South Carolina University. Secondo Markus ci sono oligarchi e oligarchi. Quelli che rischiano di più oggi sono quelli che hanno meno legami con Putin, la prima guardia insomma, quelli che si arricchirono negli anni '90 arraffando proprietà dello stato sovietico e che continuano ad essere molto ricchi ma con meno influenza sul Kremlino. Più importanti sono i fedelissimi, gli amici di Putin, quelli che vengono dalle fila del KGB e da San Pietroburgo, tipi come Yuri Kovalchuk, noto come il banchiere di Putin, oppure Gennadi Timchenko, o anche i Rotenberg. Dopo di loro vengono gli “siloviki”, leader dei servizi di sicurezza, polizia ed esercito, noti anche come “silovarchs”: tra loro Igor Sechin, capo della Rofsnet, sempre per restare nel petrolio.

Sembra chiaro che una rivolta di quelli che contano è poco probabile, ma che invece le morti improvvise e violente di alcuni oligarchi dal peso economico enorme ma politico quasi zero indichino altri trends. Per il momento si parla di suicidi e femminicidi. O così dicono le polizie locali. Ma se a LLoret de Mar, a 70 km da Barcelona, arrivasse un detective tipo il Melchor Martin di Javier Cercas in Terra Alta e Indipendencia, insomma uno con il senso di giustizia di Jean Valjean e la determinazione ad eseguirla dell’ispettore Javert, forse sapremo cosa è veramente successo almeno ai Protosenya.


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