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CRETA
LE SIRENE
E UNA CITTÀ
SENZA PIUME

di GIGI SPINA

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C’era una volta una bella,
in groppa a un bianco toro,
che disse al conducente:
lasciami immantinente!
Il toro rifiutò,
a Creta la portò,
e qui le raccontò:
c’era una volta una bella … ecc. ecc.

Il mito lo conoscete: la bella fenicia Europa, la ragazza con gli occhi grandi, rapita e violentata dal toro Zeus.

Cosa dimostra, questo mito? - per voler fare come Esopo, che alla fine delle sue favolette immancabilmente sosteneva: il mito, il racconto dimostra che … ecc. ecc.

Il mito di Europa dimostra che anche un dio poteva essere un predatore seriale, e che i Cretesi, invece di abbattere il platano sempreverde di Gortyna che alcuni indicavano come il luogo della violenza, lo conservano con cartello didascalico, che è un modo di non cancellare ma ricordare senza condividere, immagino.

(foto di Gigi Spina)

E infine, sempre quel mito dimostra, a detrimento degli antichi, che se Europa avesse avuto un bastone o una bomboletta di spray urticante non sarebbe finita così.

Rimaniamo a Creta. Se ci si sposta dalla costa meridionale verso l’aeroporto di Chanià, a pochi chilometri dalla meta s’incontra l’indicazione Àptera.

(foto di Gigi Spina)

Chissà cosa sente un greco quando la nomina; non saprei, so che se chiedessi a un italiano cosa sente se nomina Crema, forse scoprirei che non sente più il dolce morbido in bocca, ma solo un nome di città, ormai muto.

Perché Àptera contiene un nome intrigante, un nome che molti conoscono per avere letto almeno una volta nella vita Omero in italiano (attenzione: ho detto Omero, non Baricco): “Le parole alate”, in greco ‘épea pteròenta’. Che poi su quell’ ‘alate’, che fa subito venire in mente la raffinatezza dell’eloquio, parole che volano alto, superano la bassezza della realtà e la catapultano verso gli splendori di un cielo azzurro; su quell’ ‘alate’ si sono consumate pagine e pagine di ricerche, per avanzare l’idea che le parole fossero ‘piumate’, ‘pennute’, quasi come frecce, capaci quindi di colpire metaforicamente un bersaglio.

Ma lascio subito questa digressione, perché sto cercando di capire cosa rimane di Àptera, proprio prima di raggiungere l’aeroporto per tornare in Italia.

E provo subito a dire: sto entrando a Spennata, chiedendomi cosa penserei se una città italiana si chiamasse così.

Perché Àptera, per l’alpha privativa che lo consente, significa proprio: senz’ali, senza piume, in una parola: spennata.

E il motivo c’è, anche se i resti del sito archeologico non sembrano conservarne tracce visibili.

(foto di Gigi Spina)

(foto di Gigi Spina)

Il motivo lo si trova mettendo insieme i testi di tre eruditi antichi, di epoche diverse, fra secondo e dodicesimo secolo: un geografo, un grammatico, un vescovo (no, non è l’inizio di una barzelletta): Pausania, Erodiano, Eustazio. Se poi si aggiunge Stefano di Bisanzio si arriva a quattro.

Il tutto nasce da una gara canora, una sfida che le Sirene - appena tre, volendo stare al numero canonico – lanciarono alle Muse, ben nove. Con l’aggravante che una delle Muse era la madre delle Sirene – anche se sul nome le ipotesi sono varie: se volete una certezza, tanto nessuno ve la contesterà mai, vi suggerisco Melpomene, ma se volete potete anche scegliere fra Calliope e Tersicore.

Come si fa a sfidare le Muse, cioè un collettivo multiculturale, da parte di tre creature ibride, per quanto versate nel canto? Pare che di mezzo, a suggerire la sfida, ci fosse Era, la moglie di Zeus, sempre in guerra col marito predatore: magari era un modo per vendicarsi di Mnemosine (Memoria), madre delle Muse. Il padre? Naturalmente Zeus.

Fatto sta che le Sirene persero e le Muse si divertirono a spennarle, come umiliazione che si aggiunse alla sconfitta.

Non solo. Le povere Sirene, confuse, pentite, si suicidarono buttandosi in mare e furono trasformate in rocce bianche, le lefkes della baia di Souda.

(foto di Gigi Spina)

Dove accadde tutto questo? Ad Àptera, naturalmente, che ancora non si chiamava così. E che fu chiamata così per ricordare la tremenda punizione.

Ora mi vengono in mente, per felice associazione, un cantante che ho amato e una sua canzone.



Voi dite: che c’entra, a parte che la canzone è bella, come le parole.

Provate a sentire: “Di colpo è sceso e s'è tuffato in mare”, “Meno male, c'è tua madre”. Insomma, come diventare, da città volatile, città spennata …

E quindi, cosa dimostra questo mito, questo racconto? Che i Måneskin non possono sfidare i 4 più 4 di Nora Orlandi? o che Orietta Berti non può cantare con Fedez e Achille Lauro?

Penso di aver dimostrato che il mito, a Creta, non dimostra più niente.

Meglio aspettare, allora, che nascano le tartarughine sulla spiaggia di Kommos.

Nell’attesa (un paio di settimane), si può recitare ad alta voce un’antica filastrocca con cui giocavano le ragazzine greche:

Tartaruga, che fai nel mezzo?
Ordisco lane e tessuto milesio.
E tuo figlio facendo che cosa morì?
Balzò dal carro nel bianco mare. (trad. di Gabriella Carbone)

Qualcosa, questa filastrocca, dimostrerà pure!






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