La prima cosa che mi è venuta incontro appena uscita sul piazzale del piccolo aeroporto nel buio delle 22 ora locale, è stato l’odore dell’aria. Intenso di terra e di vegetazione, dominante su quello del vicinissimo mare, ma indecifrabile.
Ci è voluto poco però, il giorno dopo e con la luce del sole, a svelare il mistero: Chios è l’unico posto del Mediterraneo dove gli alberi di lentisco producono la mastica, una resina odorosa che da secoli e secoli gli abitanti coltivano, raccolgono, trasformano e rendono disponibile per svariate preparazioni cosmetiche, terapeutiche e alimentari.
A Chios mi sono lasciata portare da amici che da quasi vent’anni battono le isole greche più sconosciute e complicate da raggiungere e, come spesso faccio per un film o un libro, non mi ero andata a leggere niente prima della partenza. Avevo solo un elenco di spiagge imperdibili e questa gioia quasi infantile di fare una vacanza finalmente all’estero e in quella Grecia che - non c’è niente da fare - è sempre sorprendente, amichevole e generosa per noi italiani che pratichiamo mari e spiagge (e parcheggi) affollati e a pagamento.
Ma andiamo con ordine.
Chios fa parte delle isole Egee e si trova di fronte alla Turchia; il suo porto omonimo dista da quello di Cesme solo 9 miglia nautiche e con il traghetto la breve distanza si copre in poco più di un’ora. È la quinta isola greca per grandezza, ha una superficie di quasi 850 chilometri quadrati, 240 chilometri di coste e ben 90 spiagge censite.
Il suo capoluogo Chios, l’unica vera città dell’isola, conta più della metà dei suoi circa 50mila abitanti mentre il resto della popolazione è disperso in una sessantina di piccoli borghi e villaggi su tutto il territorio.
Con queste premesse è facile intuire che l’isola offre una natura pressoché incontaminata che alterna a sud le coltivazioni della mastica e la macchia mediterranea e diventa a nord più aspra e montuosa ma mai brulla. Percorrendola, necessariamente con l’auto perché non vi sono servizi di linea se non intorno alla città, si resta davvero stupiti di attraversare un ambiente così poco antropizzato dove anche le strade di grande collegamento non sono denominate o numerate e il navigatore è costretto a dire, per esempio: “gira a destra per restare sulla odos (strada) Kalamoti – Armolia”.
La prima cosa da fare, e l’abbiamo fatta, è visitare il Museo della Mastica. In questo museo che ha solo pochi anni, attraverso gli allestimenti, i video e tutti i materiali esposti si entra nel fantastico mondo della mastica e si conosce anche la storia antichissima dell’isola.
Abitata già nel Neolitico, Chios ha conosciuto le dominazioni degli Ioni, poi dei Greci, dei Persiani e dei Macedoni. Sono seguiti i Bizantini, che costruirono il Monastero di Nea Moni - che all’inizio dell’anno 1000 contava tremila monaci - e poi i Veneziani e i Genovesi, che segnarono dal 1346 al 1566 il periodo di maggior splendore dell’isola con la famiglia Giustiniani.
Con l’ultima dominazione, quella Ottomana, l’isola raggiunse i centomila abitanti ma perse progressivamente autonomia politica ed economica, e quando nel 1822 i patrioti chioti si unirono a quelli della Rivoluzione Greca i Turchi li punirono inviando una flotta di soldati irregolari che si resero protagonisti dell’uccisione di 25mila persone, episodio immortalato nel quadro Il massacro di Chios di Eugène Delacroix, conservato al Louvre.
L’episodio fu talmente atroce che perfino le principali potenze europee alzarono la loro voce, con il risultato che la repressione terminò e l’isola si avviò a una ripresa. Ma purtroppo il terremoto del 1881, che viene continuamente citato anche per spiegare perché tanta parte del patrimonio architettonico sia andato distrutto, rase quasi al suolo l’isola, che poi riuscì a diventare greca solo nel 1912 (per approfondire la lunga e travagliata storia dell’isola torna utile l’unico sito che la ripercorre in italiano, pur con qualche strafalcione, e che non si occupa solo di spiagge, hotel e ristoranti: http://www.giustiniani.info/chios.html).
Ma dicevamo della mastica, che si produce solo a Chios e solo nella zona sud dell’isola, che infatti viene chiamata Mastichochoria. Un microclima unico, mite in inverno e molto secco d’estate, un processo antico di selezione delle piante che ha portato alla varietà Pistacia lentiscus var.Chia . Questa e il laborioso sistema di coltivazione ed estrazione della mastica sono i tre segreti di questa resina. Usata per preparazioni terapeutiche e cosmetiche, ma anche addizionata a bevande e prodotti alimentari, la mastica è oggi la bandiera commerciale di Chios ma anche, al sud, l’elemento che domina il paesaggio.
Questi alberelli bassi con la chioma tondeggiante e sempreverde, sostenuti da tronchi multipli esili e nodosi, sono piante bisognose di poche cure, che possono vivere fino a cento anni e cominciano a distillare la loro resina solo dopo cinque o sei anni. L’estrazione della mastica, perfettamente spiegata al Museo, è un processo con molti e faticosi passaggi e ogni albero produce in media in un anno non più di 150-180 grammi di resina.
Nel 2014 la coltivazione della mastica è stata riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio Immateriale dell’Umanità e l’anno dopo l’EMA l’ha ammessa tra le erbe medicinali, specificamente indicata nel trattamento dei disordini gastrointestinali e delle ferite cutanee.
Ma se gli alberi di mastica accompagnano il visitatore lungo le strade, le tamerici (salmastre ed arse, come direbbe il poeta) caratterizzano quasi tutte le spiagge, e la conquista della loro ombra naturale è stata per tutta la vacanza una costante delle spedizioni sulle varie baie contribuendo in maniera determinante anche alla classifica delle spiagge più belle.
Classifica che alla fine è stata molto difficile da stilare, avendo trovato quasi ovunque accessi al mare di grande bellezza, acque fresche e cristalline, spiagge poco affollate e spesso servite da docce pubbliche e spogliatoi. In alcuni casi la presenza di ombrelloni pubblici e l’eventuale vicinanza di un punto ristoro assicurava la fornitura di lettini a fronte di una consumazione a piacere, per esempio un classico greek frapés che può durare ore e non costa più di 3 euro.
Giusto per citarne qualcuna, le tre insenature di Mavra Volia coi suoi ciottoli neri
o le spiagge gemelle di Didima alle cui spalle tra la vegetazione crescono il timo e il finocchietto. Le acque veramente turchesi della piccola e raccolta Agia Irina, purtroppo l’unica spiaggia affollata di gente e di rifiuti,
o quelle cobalto di Salagona e della vicina Anghella. Le commoventi teleferiche per il trasporto delle consumazioni di Vroudilia e di Apotika
e poi tutte le insenature della costa centro-occidentale dell’isola, un po’ più difficili da raggiungere e quasi sempre con un tratto finale di sterro, ma belle, selvagge e quasi sempre vuote: Trachili, Giani, Elinda, Trigani.
In questi giri quotidiani per mettere la bandierina su quante più spiagge possibile, pur avendone una letteralmente sotto casa, in località Lilikas, che non aveva nulla da invidiare a quelle più blasonate, abbiamo visitato i piccoli borghi medievali. Pyrgi,
famosa per le sue case decorate con una tecnica di intarsio su intonaco, dove abbiamo intercettato i festeggiamenti di un grosso grasso matrimonio che coinvolgevano tutto il paese, Mestà con le sue case in pietra e Olympi con le sue grotte.
Ovunque in questi piccoli borghi, abitati ognuno da poche centinaia di persone, un’atmosfera quieta con gli anziani fuori dai bar e le anziane coi bambini fuori dalle case che aspettano il doveroso saluto dai passanti, Yassas, salve, una cura amorevole per le piante, tanti cartelli con la scritta Polietai, vendesi, e anche tante case abbandonate, diroccate o chiuse da anni e anni.
Ancora più quiete le visite al monumento più importante e famoso di tutta l’isola, il Monastero di Nea Moni, incluso tra i siti patrimonio dell’Umanità, dove ci hanno fatto coprire fino ai piedi non solo per entrare nel monastero ma anche per girare la grande area con i suoi ruderi, e al Monastero di Moni Moundon, le cui chiavi sono affidate a Georgios,
un abitante della zona che parla solo greco e che abbiamo dovuto cercare casa per casa, e alla Basilica di Panagia Krina, accompagnati, su appuntamento, da una dipendente del Museo di Chios che ci ha gentilmente e appositamente aperto la chiesa senza nulla a pretendere.
Non è un’isola turistica, Chios, non di quelle preferite dagli Italiani, perché per arrivarci bisogna raggiungere l’aeroporto di Atene e prendere una coincidenza con un volo interno, o arrivare al Pireo e poi imbarcarsi. E non è un’isola di casette bianche e imposte azzurre, come nella classica iconografia delle isole greche, piuttosto di abitazioni e mura difensive in pietra, di torri di avvistamento di fattura genovese e anche di più recenti (e brutte) costruzioni in cemento che sorgono senza regola qua e là.
Un’isola di piccole e squadrate chiesette bianche isolate in mezzo alla campagna, di cappelline ai bordi delle strade, e di modeste, quasi surreali panchine di fronte all’orizzonte.
È anche la patria di Omero, Chios, che qui sarebbe nato sui monti del Pelineo per poi trasferirsi a Daskalopetra a insegnare, e pare che vi abbia vissuto per un paio d’anni Cristoforo Colombo, ma di entrambe le circostanze i depliant turistici parlano poco.
Ed è un’isola di antica tradizione marinara, di carattere sobrio e però splendente, che si rende gradevole per il vento mai fastidioso, per l’abbondanza di alberi di fichi (che ci hanno assicurato la fornitura di frutta fresca per tutto il soggiorno), per le cicale, che cantano ininterrotte dall’alba al tramonto, per i gatti confidenti e accattoni che distraggono l’attenzione dalle formiche giganti e dalle minuscole e sfuggenti zanzare.
Un’isola dove il kritamo, il finocchio marino, cresce sulle spiagge ciottolose insieme alle unghie di janara e ai commoventi gigli bianchi, dove la terra rossa ospita pochi olivi e dove diverse zone militari e qualche campo profughi ricordano la vicinanza con la Turchia.
Non si può lasciare questo microcosmo senza aver visitato Chios città, con le mura del Castello che custodiscono la vecchia città, un Hammam recentemente ristrutturato, ma anche tanto degrado e abbandono; e senza essere entrati al Museo Bizantino realizzato nella vecchia moschea e aver girato per la via Aplotaria, l’asse principale dell’ex bazar, con le strette viuzze ormai occupate da negozi di souvenir o di grandi marche.
Poco a sud della città, una elegante e lunga strada delimitata da alti muri in pietra custodisce le ville dei Genovesi, dominatori e mercanti, che qui si erano fatti costruire le loro dimore attorniate da giardini di agrumi, mentre ancora più a sud sulla costa la località di Karfas, nata a ridosso di una delle poche spiagge di sabbia, è diventata il centro della musica, il posto più turistico dell’isola, un’ininterrotta sequela di case, residence e hotel, di locali sul mare e vista mare, di ristoranti e lidi con servizi e pedalò dove un lettino non si paga con un frapés.
Resta il rimpianto di non esserci riusciti a spingere proprio a nord, dove tutte le guide consigliano le spiagge di Markella, Agio Gala e Nagos, e di esserci fermati alla deludente cittadina di Volissos che viene citata per il suo castello e per essere stata nei secoli passati il centro più importante di questa parte dell’isola. La strada percorsa dalla città fantasma di Anavatos,
Nel ringraziare quest’isola di cui non sapevo neanche il nome prima di partire, non posso non parlare del cibo: la buona carne anche se con scarse interpretazioni, il pesce fresco e una serie di entrée da mettere a centro tavola e disputarsi, con in cima a tutto le tiropite. Mai trovata nei menù una moussakà e per mangiarla abbiamo dovuta ordinarla a un ristorante del piccolo ma vivace villaggio di Nenita, dove una piazza allegramente affollata di greci fino a tarda sera ci ha mostrato ancora un altro aspetto dell’isola.
Qui e nel borgo di Vessa, siamo tornati due o tre volte e per quanto abbiamo potuto ordinare non abbiamo mai pagato più di quindici euro a persona, vino incluso e bicchierino offerto dalla casa. Le sedie sono sempre scomode e un unico piatto ci è dovuto bastare per tutta la serata, perché non viene mai cambiato, ma il cibo, l’atmosfera, financo le difficoltà per intendersi...tutto molto piacevole e verace.
Ci hanno raccontato amici napoletani che tanto tempo fa si innamorarono di quest’isola, acquistarono un terreno e poi edificarono una casa dove tornano ogni estate per lunghe vacanze, che qualche anno fa lo stato elargiva una sorta di bonus vacanze per incentivare gli stessi Greci ad andare in vacanza a Chios.
Non doveva essere un bonus consistente, per fortuna.
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