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SAN PELLEGRINO
IN ALPE
E UN MUSEO
DI PICCOLE COSE

di ELISABETTA SALVATORI

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San Pellegrino in Alpe è il paese più alto dell'Appennino tosco emiliano, una terra fuori mano, più su non si va, chi ha paura del vuoto ha l’impressione di ruzzolare.


Ascolta il racconto di Elisabetta Salvatori:

Ci sono poche case su un unica strada, che segna il confine tra le province di Modena e Lucca. Quella strada, per la gente di lì, divide tutto in due mondi: lombardo e tosco, che le persone vengano da Modena o Bologna, non importa, tutti lombardi.



L’edificio grigio e scarno che si vede arrivando è il santuario, è lì dal medioevo, comprende chiesa, canonica e quello che un tempo era l’ospitale e oggi è un museo.

Anche il santuario, è diviso in due, si vede bene dal tracciato sul pavimento, e i santi che riposano in un urna di vetro dietro l’altare, Pellegrino, il santo del viaggio e Bianco quello dell’accoglienza, hanno la testa nel modenese e i piedi nella lucchesia.

Due santi amatissimi, i devoti, ancora oggi, vanno lassù per scrivergli qualcosa, accanto all’urna ci sono le penne, i fogli e un cesto dove ognuno lascia il suo biglietto. Terra marcata dal sacro, ma anche terra di motociclisti, pastori e funghi.



Nel dopoguerra, un giovane prete garfagnino, don Luigi Pellegrini, venne mandato lassù.

Don Pellegrini, prete di san Pellegrino, nel nome c’era il destino che lo legava a quella terra. Aveva la stessa età e la stessa testa dura di don Milani. Di quei preti che non stanno chiusi in sacrestia. Uno, sui monti, nel nulla, ci fece una scuola, l'altro, un museo etnografico.



Don Pellegrini in un museo non c'era mai entrato e non era tra i suoi progetti allestirne uno, quello che gli premeva era coinvolgere i ragazzi in un attività che li facesse stare insieme. Propose una raccolta di ferro vecchio per le missioni: venderlo e mandare il ricavato in Africa.

Ma la raccolta prese una svolta inaspettata, maneggiando quegli oggetti, tutti fatti a mano, i ragazzi ricordavano di averci visto lavorare i nonni, di averne avuti di simili in casa, si accorsero del valore che c’era in quella roba vecchia che aveva il potere di evocare,. Potevano disfarsene e perdere le loro storia, o custodirlo per tramandarla.



Qualcosa venne destinato alle missioni, ma poca roba, con il resto venne allestito il museo. 12 sale. Fu un lavoro di anni, i ragazzi e don Pellegrini fianco a fianco. Don Pellegrini attraverso il museo visse la sua vocazione di prete. È una storia dove si incastrano destini, mestieri, misteri, voci, viaggi. E' il racconto di un paese ma soprattutto di un epoca di cambiamento, che percorse, e riguardò tutti i paesi.

Oggi il museo Etnografico don Luigi Pellegrini è diventato provinciale.






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