Il gigante
delle Alpi
In un libro di Stefano Ardito storia, personaggi e miti del Monte Bianco
Una recensione
di
CARLA CHELO
(immagini tratte dal volume)
Un aggettivo ricorre spesso in questo libro per descrivere le ascensioni e le nuove vie aperte sulle rocce: elegante. Per chi non è un esperto di arrampicate è una parola significativa, spiega una delle qualità richieste agli scalatori, invisibili ai più ma apprezzate dagli appassionati. 'Monte Bianco, il gigante delle Alpi' è l’ultimo libro di Stefano Ardito, uno dei più esperti e appassionati scrittori di montagna (un centinaio di guide, un romanzo e altre “biografie” di montagne mitiche come 'Everest, una storia lunga cent’anni') ed è una rassegna completa e chiara di storie, conquiste, disastri, innovazioni, rischi, eroi e protagonisti dell’alpinismo mondiale. Perché il Monte Bianco, a differenza dell’Everest e degli altri ottomila, grazie alla sua posizione nel cuore dell’Europa ha affascinato il genere umano molto prima e molto più a lungo.
Non è la montagna più alta del continente,(a seconda di come si calcolano i confini dell’Europa, il primato potrebbe essere del monte Elbrus, sul Caucaso, 5642 metri). Ma è il luogo dove l’alpinismo è nato. La sua conquista risale al 1787, grazie allo scienziato svizzero Horace Bénédict De Saussure (il prozio del fondatore della linguistica moderna Ferdinand de Saussure) ma sono secoli che la montagna con i suoi ghiacciai e le cime oltre le nuvole incanta locali e viaggiatori.
Non a caso tra gli inventori del mito del Monte Bianco non ci sono svizzeri, francesi o italiani ma dei britannici. È una spedizione a cavallo organizzata nella prima metà del settecento da un gruppo di nobili che comprende William Windham e Richard Pococke, un viaggiatore stravagante, ama vestirsi da arabo e lo fa anche ai piedi del Monte Bianco. Siamo negli anni del Grand Tour, ma questo è un viaggio in armi, come quelli già compiuti in Africa: i britannici si sentono tra nemici in mezzo ai valligiani cattolici del luogo, anche se le guerre di religione sono finite da secoli. Quando si accampano non lontano da una chiesa va loro incontro il parroco locale per invitarli a cena. I racconti e i diari della spedizione contribuiranno ad accrescere curiosità e nuove spedizioni. Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein, sarà tra i primi visitatori della montagna e l’eco delle impressioni suscitate dal viaggio finirà tra le pagine del suo capolavoro.
di Stefano Ardito
Laterza Editori
Euro 24,00
Ardito, con precisione ed equilibrio, ripercorre tutte le imprese più significative sul gigante d’Europa, con un lavoro da specialista per specialisti, ma non dimentica le storie che hanno reso celebri famiglie, guide e rifugi del posto. Come la storia d’amore tra Jean Esteril Chatelet e Isabel Straton. Lui è una guida locale che per imparare l’inglese è andato a lavorare in Gran Bretagna, lei è una ricca e nobile cliente. Dopo aver scalato tante cime insieme s’innamorano, decidono di sposarsi e di stabilirsi ai piedi del Bianco dove gestiscono un hotel. La punta Isabella ricorda questa romantica storia d’amore.
Il libro pone sul tappeto anche un’altra questione delicata: quelle dei confini. Attualmente la vetta è in Francia, ma quella divisione non è mai stata definita, potrebbe essere il frutto di una delle prime mappe del Bianco che sul punto conteso spostarono di qualche chilometro il confine. Questione che, curiosamente, sembra non essere più stata aperta, nemmeno dopo la seconda guerra mondiale quando i confini tra Francia e Italia vennero in piccola parte cambiati. Più spazio occupano la questione della riduzione dei ghiacciai, insieme alla necessità di tutelare l’area con un parco e norme meglio definite che limitino lo sfruttamento selvaggio di una delle zone più delicate e colpite dal mutamento climatico, come avviene sull’Everest
Poi ci sono le conquiste, una dopo l’altra, di cime e pareti che fino a pochi anni prima parevano non solo inaccessibili ma inavvicinabili. Secondo la definizione di Mummery il loro destino è quello di essere definite "Una cima inaccessibile, la salita più difficile delle Alpi, una facile ascensione per signore”. Tra le centinaia e centinaia di nomi citati impossibile non ricordare il medico Michel Payot: introduce l’uso degli sci, che cambieranno per sempre le alpi; o l’impresa di Joseph Vallot col suo osservatorio meteorologico ad alta quota ancora funzionante.
Passa per il Monte Bianco l’epoca dell’alpinismo romantico e quella delle imprese sponsorizzate e spettacolari, delle corse alle cime, sempre più cime in sempre meno tempo, sostenute e vigilate da elicotteri, aerei, tecnologie sempre più affidabili. E ogni periodo ha i suoi eroi. Ma quello che più impressiona è il numero spaventoso di vittime. Leggendo queste pagine si ha l’impressione che in qualunque periodo la metà o più degli scalatori più dotati, di quelli in grado di aprire nuove vie sia spinta da una febbre del rischio che termina con la morte, dopo un volo, per sfinimento, per una banale distrazione, perché colpiti dai sassi o abbandonati nel ghiaccio. Tra 50 e 100 sono le vittime annuali sul Monte Bianco e non consola che solo il 5 per cento di questi siamo alpinisti esperti.
Le pagine conclusive sono dedicate a Walter Bonatti, uno scalatore che di questa montagna è uno dei simboli, e che dopo aver compiuto le imprese più estreme si è dedicato a raccontare i suoi viaggi nelle zone più inesplorate del mondo ed è morto nel suo letto accanto all’amore dei suoi ultimi anni. Il suo sterminato archivio è ora raccolto al museo della montagna di Torino.
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