Bologna
e il viaggio
del Nonturismo
La guida sotto la superficie
Una recensione
di
ANDREA ALOI
“Bologna, deviazioni inedite raccontate dagli abitanti”, a cura di Wu Ming 2, uno dei componenti dello storico collettivo di scrittura, si aggiunge sullo scaffale alle tante guide, classiche o meno, della piccola metropoli. Ce n’era bisogno? Il “sì” è convinto: pubblica Ediciclo e sono 160 pagine per 17 euro, benissimo spesi se vi solletica l’idea di viaggiare nel cosmo urbano felsineo con ciceroni che ne sanno a pacchi e vi potranno accompagnare verso normalità inaspettate, indomiti alberi da record, acque segrete, ecosistemi umani che visite affrettate o percorsi obbligati non vi permetterebbero mai di frequentare. Piccoli viaggi dentro e fuori mura, per cambiare ottiche, trovare anime amiche.
Come questa nuova Guida, Bologna è speciale. È meticcia, per geografia e storia, per vocazione inclusiva che fa breccia su un certo retrogusto provinciale, da paesone in braccio a campagna e dolci colline, vena local ormai in via di sbiadimento tra migrazione interna e proiezione europea delle élite cittadine. Rimane in larghe fette del pueblo una sazietà non disperata - come da invecchiata ammonizione del cardinal Biffi contro l’edonismo felsineo -, la presunzione di poter bastare a se stessi, in virtù di conti in banca pingui, imprenditoria sveglia e buona amministrazione, sotto le Torri data per scontata, perché il Comune in dialetto è la Cmóṅna, la res è pubblica. E c’è un’altra Bologna, non sempre distinguibile dalla precedente, brulicante di iniziative, associazioni, spirito solidale e cooperativo, un humus con radici nella grande partecipazione popolare alla Resistenza, nelle lotte sociali e civili a cavallo di Otto e Novecento e del secondo dopoguerra. Una Bologna pragmatica e febbrile, città-laboratorio (il compromesso storico è nato qui, a cavallo dei Cinquanta e Sessanta, con Giuseppe Dozza sindaco e Giacomo Lercaro arcivescovo), nobile sede d’Università libera seminatrice di idee, critica, dissenso, già prima del ’77 di Radio Alice e Andrea Pazienza, col cuore di via Zamboni che si fa Traumfabrik, fabbrica dei sogni esistenziali e rivoluzionari (altri direbbero eversivi). L’Alma Mater Studiorum incarna la duplicità bolognese, l’attrito secolare tra stanziali e gente di passo, che, se appena può, rimane e non è solo affetto verso i portici, i mattoni rossi delle case e la ghiotta cucina.
Bologna. Deviazioni inedite raccontate dagli abitanti
a cura di Wu Ming 2
Ediciclo editore - collana Nonturismo
Euro 17,00
Giusto la tavola è diventata ancor di più il perno su cui ruotano le ondate del turismo, Bologna è ormai tappa quasi immancabile del tour italiano, forte di un centro storico dei meglio conservati al mondo e di alcune emergenze artistiche e architettoniche notevolissime. E il sollazzo papillare, per le folle a spasso nel “nido” urbano medioevale, si traduce in accrocchi di locali e in taglieri suino-caseari a predominanza di parmigiano reggiano, crudo, culatello e autoctona mortadella, ben nota altrimenti come bologna. Bene, la Guida di Wu MIng 2, ovvero Giovanni Cattabriga, sta altrove, in nome del “Nonturismo” conclamato in copertina. Obiettivo centrato, con qualche lacuna e alcuni limiti, per così dire, prospettici, diretti responsabili delle lacune stesse: il mondo antagonista e inconciliato, extraistituzionale, l’universo dei centri sociali regala pensieri e schiude orizzonti, ma non può pretendere di racchiudere in sé tutto quanto di “autentico” serpeggia a Bologna dall’alto al basso, dalle istituzioni ai quartieri.
Il fil rouge della Guida, ideata da Sineglossa, è la Resistenza, una parola che non ha sopra polvere, si lucida a nuovo ogni volta che un “No” o un “Basta” suona giusto e vero. Il libro la declina in quattro forme e relativi minuziosi itinerari, dalla Resistenza delle piante alla Resistenza della cultura, per passare alla Resistenza senza dimora e infine alla Resistenza alla paura, affidandosi, nei vari luoghi toccati, alle comunità di cittadini attivi sul territorio. Loro raccontano, Wu Ming 2 cuce di classe.
I nuclei forti del potere bolognese hanno da poco iniziato a riflettere sullo smodato consumo di suolo a favor di cemento e la conseguente, spesso sconcia politica urbanistica. I gestori politici, ingolositi a lungo dagli oneri di urbanizzazione a carico dei costruttori, un po’ hanno fatto autocritica, intanto i casermoni sono stati innalzati e le aree sono state ristrutturate, non sempre decentemente. Così si renda grazie ai resistenti verdi, protagonisti di undici tappe di pianura con una puntata in collina a Monte Donato, da percorrere a piedi, in bus o bicicletta. Il via è nella periferia ovest, dalla ghiacciaia di via Bertocchi, vicino al fiume Reno, nel quartiere Barca. Sita nella villa di campagna del cardinal Lambertini, oggi è una collinetta con tanti alberi e una grande quercia che ci è cresciuta sopra, l’antico parco se lo sono già mangiato i palazzi circostanti e a un certo punto il proprietario della ghiacciaia aveva deciso di “ristrutturarla”. Come? Tagliando le piante, con attenzione particolare alla quercia, alta, incombente. Pericolosa? Il comitato residenti, del tutto contrario, coinvolse il Comune e fu organizzata una prova di trazione “che consiste nel legare un cavo intorno al tronco dell’albero per vedere fino a che punto può resistere. La quercia non si mosse di un millimetro”, racconta la Guida. E la ghiacciaia con quercia adesso è lì, offre la sua preziosa vegetazione spontanea ai bambini, agli animali e alle nuove piante. La biodiversità sta nel disordine, lo sapevate che “due terzi delle specie, in un bosco, si reggono sul legno marcio, un terzo sul legno verde”?
Altro verde difeso, altre storie, dai bagolari salvati di via Marzabotto ai prati di Caprara, vicino all’Ospedale Maggiore, e relativo bosco al confine settentrionale dei prati, dove scorrono il torrente Ravone e la canaletta Ghisiliera: anche lì minacce cementizie, proteste e molti giochi ancora aperti. Un’altra oasi verde presa di mira è il parco Melloni, zona Saragozza, oasi perché ultimo baluardo di una tenuta avita. Il piano di ampliamento del 1889 prevedeva l’edificazione in loco di una “città giardino”, traduzione: palazzate. Analoga storiaccia, aggiungiamo noi, in Cirenaica, quartiere san Donato, dove nella zona della Ferrovia ex Veneta piani urbanistici agli inizi del secolo scorso prevedevano un parco. Lettera morta, due sfilze di condomini hanno violentato l’area. Ci sono però anche buone notizie, l’associazione “La collina agricola” a monte Donato, appena fuori città, ha riunito coltivatori e amici, fanno la raccolta pubblica della frutta, tutelano il verde, organizzano lezioni per bambini e genitori su come si fa il vino, sulle varie specie vegetali. Saltiamo al quartiere Savena, direttrice della via Emilia verso San Lazzaro. Il giardino di Villa Paradiso è rinato col Centro Culturale e Sociale e ospita tre giorni a settimana le Cucine Popolari, una gemma della solidarietà bolognese, sfornano pasti gratis e non mancano i “clienti”, che poi sono gli umani residui e scarti di lavorazione del nostro sistema. Il sogno di Roberto Morgantini, ex sindacalista, e dei volontari di Civibo di far nascere una Cucina Popolare in ogni quartiere poco alla volta si sta realizzando, già quattro “mense” sono lietamente operative.
E poi c’è Eta Beta, associazione di artigiani e artisti di mano pregiata allo Spazio Battirame, con quattro ettari di orto urbano, c’è il Pilastro, zona non più reietta, forte di luoghi d’incontro e di comunità: la biblioteca Spina, la casa Gialla, la Fattoria Urbana, Ca’ Solare, il circolo Arci, ben alloggiati in fabbricati rurali in disuso. C’è il canale Navile da fiancheggiare in bici o a piedi lungo l’alzaia che usavano i cavalli per tirare le barche, chilometri di verde recuperati con la buona volontà e ingenti donazioni. Un grazie allora agli amici che hanno resistito e recuperato un pezzo di Bologna, un applauso a Giorgio Ventura, proprietario di un negozio di elettrodomestici a Casalecchio che ha aperto il portafogli e ci ha messo 175.000 euro.
La città resistente della cultura è riassunta da Wu Ming 2 in una litania laica. Inizia così: “Sono un’edicola che non vuole chiudere, perché il quartiere ne ha bisogno. Sono un vecchio borgo del centro storico che non vuole lasciarsi addomesticare. Sono una stanza piena di storie che nessuno voleva conservare”. Tredici le tappe che si concludono al monumento ai Martiri di Sabbiuno, sul crinale tra le valli del Reno e del Savena, dove decine e decine di combattenti per la libertà furono fucilati e gettati in un profondo calanco. E prima si va al Pratello, quartiere senza moine di salda identità popolare, e al suo Centro Sociale della Pace, un tempo circolo Arci Pavese (cercate sul web, ne imparerete di gustose sul vecchio circolo, e “La notte del Pratello” di Emidio Clementi è un libro-chaperon da non perdere). Si continua col Centro di Documentazione Flavia Madaschi alla Salara, erede dell’esperienza del Cassero di Porta Saragozza, gestito da attivisti LGBTQ+ e inserito nel Servizio Bibliotecario Nazionale: ventimila libri, diecimila audiovisivi, periodici, manifesti. Si perlustra la zona di via Fioravanti, a lungo sede del Link, centro sociale e polo artistico-culturale di peso in città, costretto a spostarsi in estrema periferia causa profonde ristrutturazioni urbane. Qui un segno l’ha lasciato nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo pure l’XM24, spazio sociale autogestito, attualmente inseguito dagli sgomberi. Resiste invece il mercato di Campi Aperti, per coltivatori e consumatori consapevoli.
Il Memoriale della Shoa, dietro la stazione Centrale, con la sua architettura spoglia, partendo dalla Resistenza della cultura ci conduce alla Resistenza senza dimora. Il monumento presenta due parallelepipedi di acciaio scuro, uno di fronte all’altro e nello spazio in mezzo, che via via si restringe, si trova una griglia di celle rettangolari vuote. Un’occasione di riparo notturno per senzatetto. Ce n’è tanti a Bologna, entrano ed escono dal circuito della pubblica assistenza, vivono pure loro la città infestata dagli Airbnb e compagnia, dalle case tenute vuote, dagli appartamenti iperlucrativi per studenti. Wu Ming 2 ha raccolto le parole di alcuni di loro ed ecco l’itinerario consigliato in nove tappe, con il Condominio Scalo, struttura gestita insieme ai residenti dalla cooperativa Piazza Grande, la Sala Borsa in pieno centro (coperta, calda, luminosa), il McDonald’s di piazza VIII agosto, fast food economico ma soprattuto “luogo tranquillo, dove nutrirsi in pace”. La Guida si chiude coi quattro itinerari della Resistenza alla paura, nati da un progetto sulla percezione del pericolo da parte delle donne nello spazio urbano. Come per gli altri percorsi, è a disposizione un QRCode ad arricchire l’esplorazione.
Le “deviazioni inedite” sono un invito e la Guida è ricca, abbiamo sunteggiato una piccola parte. Poi chi ha tempo e spinta ne può assaporare/inventare altre ancora. Bologna è una miniera di volontà attive, di sentieri comunitari. Vi aspettano via Fondazza, social street con più di 800 membri ufficiali, per chi vuol donare e conoscere un pezzo della rete di resistenza umana cittadina c’è l’Opera di Padre Marella. E in Cirenaica, quartiere fitto di memoria resistenziale (la trattoria Da Vito non è inedita dai tempi di Guccini), il bar Tito è un social vero di carni e ossa, non fasullo. Chi è ingolosito dal Nonturismo si affidi tranquillamente agli altri libri in collana, “Giorgino- Cagliari, villaggio dei pescatori”, “Sant’Elia-Cagliari”, “Ussita-Monti Sibillini”, in attesa di deviazioni inedite, ad esempio, per Venezia, Firenze e altri must del turismo di superficie.
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