Liguria
la memoria
delle valli
Mondine e bestassi
racconti durante la veglia
Una recensione
di
DONATA BONOMETTI
Immaginate di trovarvi in una stalla, durante la veglia. È il momento della sera in cui gli anziani raccontano, arricchendo di memorie la piccola comunità. Racconti dei paesani che sono partiti, con la scure in spalla, ogni inverno, per andare a potare i pioppi in Lombardia, dove, dormendo all'aperto, li svegliava la brina gelata. E delle donne che, a maggio ,lasciavano la valle per diventare mondariso e degli uomini salpati per la Sardegna per diventare bestassi, quelli che sulle spalle si trascinavano giganteschi tonni, dopo la mattanza. E quei tonni pesavano come una vacca. (Non si dimentichi l'origine di Carloforte, nel sud dell'isola, cittadina fondata dai genovesi di Pegli e dove ancora si parla e ci si nutre alla genovese).
Le donne alternavano la monda del riso al lavoro come serve nelle case dei signori genovesi. Un'attività che preoccupava i parroci della valle, perchè d'estate, al loro ritorno nei paesi, "portano molti abusi cittadini". Avevano 17 anni, a volte 13... Povere mondine con i piedi nell'acqua per giorni, chine per settimane dopo settimane, una vita "gramma" la definisce una testimone, "con tanto rigore che appena ci tiravamo su qualcuno gridava "Giu la schiena". Dormivamo tutti insieme nei pagliai. Sembravamo zingari".
La memoria ritrovata.
Andare e venire in una valle appenninica:
dalle mondine alle maestre di montagna
di Paolo Giardelli
Pentàgora edizioni
Euro 20,00
Durante la veglia si parla spesso di questo incessante abbandono di amici e parenti che vanno via per mesi dalle loro case, per fame. E l'economia di quella comunità si basava proprio su quel continuo movimento, che si chiama emigrazione. Che da regionale diventerà anche transoceanica.
Alla veglia ci si scalda al fuoco delle tradizioni, che attenuano l'asprezza della quotidianità, rappresentata anche da quel pane per i boscaioli cosi duro da essere chiamato lustra-campane.... E ci scappa pure un sorriso amaro per il soprannome evocativo. Alla veglia nella stalla, si fila, facendosi luce coi lumini a petrolio. Le donne tessevano con l'arcolaio. Lavoravano la tela di lino, confezionavano biancheria, e le camicie che indossavano gli uomini..
L'antropologo genovese Paolo Giardelli conta cinquant'anni di studio passati ad ascoltare una polifonia di voci, altrimenti destinate all'oblio, i racconti degli anziani-anziani che trasmettevano vissuti del secolo scorso, dei nipoti che ricordavano usanze di casa e via via invecchiando le trasferivano ai piu giovani, insomma un viaggio transitando tra alcune generazioni, utilizzando la memoria e la viva voce, perchè ancor più dello scritto, del documento scritto (pur importante per verificare e confermare il racconto) è stupefacente ascoltare le testimonianze, cogliere le sfumature nella voce e ricostruire cosi vite intere. Siamo tutti attorno al fuoco della veglia..
Paolo Giardelli è cultore delle tradizioni liguri, su cui ha scritto numerosi libri, e ha iniziato con la sua tesi di laurea negli anni '70 a raccogliere fonti orali partendo dalla Valbrevenna, andando su per le montagne della Liguria, le valli appenniniche, a "stanare" gli abitanti e farsi raccontare. E raccontare ad altri. Raccogliendo centinaia di tradizioni orali supportate da fonti storiche, archivistiche e di cultura materiale.
Cinquant'anni di antropologia culturale tra la gente, di ricerca sul campo, di passione e attenzione verso i movimenti minimi e le parole a mezza voce di chi fa la storia di tutti i giorni ma dalla grande Storia è omesso e presto dimenticato: su questa filigrana, nella lunga indagine dedicata alla Valbrevenna, una valle stretta e conservativa alle spalle di Genova, Paolo Giardelli dà la parola alle donne e agli uomini che tra cento mestieri ne hanno percorso le strade, e costruisce un modello di geografia umana esemplare e degno di essere messo alla prova in ogni valle dell'Appennino e delle Prealpi..
Questo lungo lavoro dello studioso è diventato un libro. Si intitola "La memoria ritrovata. Andare e venire in una valle appenninica: dalle mondine alle maestre di montagna". Citazione d'obbligo perchè le donne sono le anime, in perpetuo movimento, di quelle valli. Le mondine, le carbonaie da legno, le levatrici, le postine, le maestre di montagna. Queste ultime dipendevano economicamente e professionalmente dal sindaco del paese dove insegnavano, e immaginatevi i ricatti nei loro confronti da parte di sindaci non sempre onest'uomini. Il 'Corriere della Sera' si occupò di una maestra inseguita dalla maldicenza che si buttò nel fiume, con le tasche piene di sassi, lasciando scritto che non la seppellissero in quel luogo perchè le ingiurie l'avrebbe seguita anche sotto terra. E chiedendo che esami autoptici confermassero la sua verginità. Come fu riscontrato. Si chiamava Italia Donati. Tra le sue colpe quella di indossare un grembiule rosso. Che alla fine appunto riempi di pietre. Erano gli ultimi anni dell'Ottocento.
La mia prozia, Carlotta Trevisani Scarpetta, classe 1899, potrebbe entrare a pieno titolo in questo excursus sulle donne educatrici di paesi valligiani negli anni Venti. Insegnava in Vallecamonica appena diplomata e quindi a Gardone Alto, abitando vicino al Vittoriale di D'Annunzio. Medaglia d'oro per lei perchè per anni si alzava all'alba per andare a prendere i suoi alunni nelle cascine, altrimenti destinati ad occuparsi degli ulivi. E quando è morta ha lasciato la sua casa al Comune perchè diventasse alloggio dei suoi scolari oramai anziani.
Paolo Giardelli tiene a ricordare un'altra usanza delle valli. Per denaro le donne allattavano i bambini rimasti orfani in brefotrofio, ma alla fine se li tenevano con sè, questi piccoli sventurati, e li allevavano come e meglio dei loro stessi figli. Ne è prova quel tesoro di umanità (ancora custodito si spera da qualche parte della ex Provincia di Genova), il cosiddetto Archivio degli Esposti, dove le mamme, prima di abbandonare i loro figli perchè impossibilitate a crescerli, consegnavano un orecchino, una moneta o una immaginetta o un indumento tagliati in due, perchè erano segni di riconoscimento se mai fossero riuscite a ricongiungersi con le loro creature.
Alcuni di questi bimbi, che le famiglie non riuscivano a mantenere, finivano a lavorare sui monti. "Chiamati bastardi ma rispettati". Va detto con dolore. Il rimanente, diventati orfani a tutti gli effetti, transitavano nel vicino manicomio e lì finivano la loro vita iniziata da sani e conclusa da malati in qualche modo "indotti".
Torniamo al patrimonio che ci consegna Giardelli e alla carrellata di personaggi. Gli artigiani, gli ambulanti, i mestieranti. Gli specializzati come gli uomini abilissimi nel segare il legno con il resegone e trasformarlo, e che costruivano con fatica e perizia le teleferiche per trasportare i tronchi. La lincia, le chiamano qui i vecchi. E ancora l'erborista o erburattu che andava su per i monti per cercare le erbe utilizzate in varie occasioni, il calderaio riparatore di pentole che la scrittrice Camilla Salvago Raggi ricorda così: "Lui paziente, rattoppava con pezze che fissava con chiodi piatti, ben smussati. E non mancava di farsi merito presso la proprietaria della pentola, cosi diceva galante: "Non dovrete tagliarvi queste belle manine..."
E ancora i gelatai. Venivano con la mula con due carapille (barilotti) con il ghiaccio dentro. Niente coni o coppette. Il presunto gelato nel bicchiere o nella conca delle mani. Era acqua gelata con un po' di latte. Una festa. E infine (ma sono solo risibili citazioni, il libro consta di oltre 400 pagine, ci trovate un mondo...) tocca a quelli che andavano a remundà i murruin, a mondare i gelsi, rievocando l'origine remota dell'allevamento del baco da seta, risalente ai monaci basiliani che svelarono il segreto fino ad allora gelosamente nascosto dai cinesi. Di solito era una contadina esperta a porre le minuscole uova nere in un pannolino bianco, che custodiva poi sul seno perche stessero al caldo e a temperatura costante. Eccole di nuovo, le donne.
Vorremmo in finale aprire una finestra sulla Valbrevenna turistica. È una attrazione soprattutto riservata ai liguri, per le loro escursioni domenicali; ma val la pena di citare un micro borgo, Tonno di Valbrevenna, che io ho conosciuto 30 anni fa, allora abitato da nonna Candida e da uno zuinoto di sessant'anni (Tonno contava mille abitanti alla fine dell'Ottocento perche si coltivava il grano) e che negli ultimi tempi ha conosciuto il recupero di una architettura rurale antica grazie anche agli appassionati, prima gli stranieri poi gli italiani. Per tutta la valle chiesette, mulini ad acqua non tutti restaurati e infine il Castello di Senarega, borgo ben abitato e curato, traccia non da poco del XV secolo relativo al dominio dei Fieschi, e che è diventato foresteria.
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