Milano
non dimentica
Bombe e vita quotidiana
cronache da una guerra mondiale
Una recensione di
FABIO ZANCHI
Milano non dimentica. Non può. Del resto, come potrebbe? Sono numerose le case, le vie, numerosi i quartieri in cui si possono vedere i segnali della guerra, per fortuna risalenti a tanti anni fa. In centro città non è difficile vedere ancora le frecce bianche e nere, con la scritta “R”, che indicavano i rifugi antiaerei. In pratica degli scantinati profondi, dove la gente si affollava al suono delle sirene. Ci sono ancora, a distanza di anni, alcuni ruderi provocati dai bombardamenti. Uno degli ultimi lo stanno cancellando proprio in queste settimane. È all’incrocio delle Cinque vie, proprio alle spalle di piazza San Sepolcro, dove nel marzo del ’19 nacquero i Fasci di combattimento: nel cuore di Milano, a poche centinaia di metri dal Duomo.
Oppure ci sono, del tutto integri, i rifugi. Il più conosciuto è in piazza Grandi, 24 stanze in cemento armato, proprio sotto la colossale fontana. Nel cortile di Palazzo Isimbardi, in via Vivaio, sede della Provincia, c’è un passaggio segreto che porta alla Prefettura e alla torre delle sirene: quelle che davano l’allarme in caso di attacco aereo. In via dell’Annunciata, sotto un palazzo signorile immerso nel verde, pochi sanno che c’è un altro enorme rifugio: ben conservato, ha una porta blindata e le panche per ospitare le persone. Infine, ci sono monumenti come quello che si trova in piazza a Gorla, che ricorda la strage dei 184 bambini della scuola elementare Francesco Crispi, distrutta dalle bombe nell’ottobre del 1944. Alle porte della città c’è poi Monte Stella, che i milanesi chiamano la “montagnetta”: alta 45 metri, è il frutto dell’accumulo dei detriti causati dai bombardamenti che la città subì tra il 1942 e il 1943. Un’altra montagnola fu costruita a Parco Lambro. Come dimenticare?.
Bombe su Milano.
Ottobre 1942
i testimoni raccontano
di Ugo Savoia
prefazione di Stefano Rolando
Castelvecchi editore
Euro 15,00
A rinforzo della memoria è uscito un prezioso libro, edito da Castelvecchi, scritto da Ugo Savoia, a lungo capocronista del Corriere della sera. Si intitola “Bombe su Milano - Ottobre 1942, i testimoni raccontano”. I testimoni che Savoia è riuscito a scovare sono importanti perché, a distanza di anni, in tempi come i nostri avvelenati dai miasmi delle guerre attuali, ricordano con efficacia e immediatezza la paura, l’assurdità di quella vita, la pesantezza di quei giorni, la fame, gli incubi di ottant’anni fa. Giorni lontani, ma sempre troppo vicini.
Impressiona la nitidezza dei ricordi. “Mi ricordo il 24 ottobre 1942 – racconta Piero Bassetti, classe 1928, imprenditore e primo presidente della Regione Lombardia – con quei tubetti esagonali che piovevano dal cielo con il loro carico di fosforo e incendiavano tutto ciò che toccavano”. Marco Garzonio, giornalista e analista junghiano: “Abitavamo in via Bellezza, al numero 11: io, mio padre, mia madre e mia sorella, di cinque anni più grande. Del bombardamento dell’ottobre ’42 ho un ricordo netto: le sirene, la corsa verso il rifugio, le discussioni fra i miei genitori, perché mio padre voleva andare in fretta mentre mia madre perdeva tempo nel decidere che cosa portare con sé”. Erano giorni terribili. Lo rammenta Luca Beltrami Gadola, costruttore, giornalista: “Paura? Avevo una fifa blu. Anche se non veniva colpita casa tua, sentivi la terra che tremava, il rumore delle bombe con quelle piccole eliche in coda che ne producevano il sibilo tipico prima dell’esplosione: non so perché, ma l’odore della città era diverso tra centro e periferia”. “Per noi di Lambrate – ricorda Delfina Franzetti, di 82 anni – i veri rifugi per chi abitava qui erano i campi. I muri delle cascine non davano nessuna sicurezza. Facevamo una vita di stenti, ma non ho fatto tanta fame. Mia mamma preparava la minestra con l’erba raccolta nei campi. Poi c’era qualcuno che aveva qualche uovo, qualcun altro aveva il latte. Ci si scambiava ciò che si era riusciti a recuperare”.
La fame. Ecco l’altro tema, oltre alla paura. Natalia Aspesi, grande firma di Repubblica, lo ricorda bene: “Non avevamo cibo a sufficienza, come tutti a Milano, tranne chi poteva accedere al mercato nero, pieno di meraviglie troppo costose per noi. In quegli anni ero magrissima, sempre affamata: le tessere annonarie erano molto avare, e noi non avevamo conoscenze in campagna dove avremmo potuto recuperare un pollo, delle uova”. E quando il cibo non mancava, aveva uno strano sapore, come racconta Dino Savoia, classe 1939: “Ho ancora nella mente i sapori del pane e del latte: il pane era una specie di pancarré grigio che all’interno era sempre verdastro e ammuffito, mentre il latte era molto trasparente, e spesso sapeva di acido”..
Tra i testimoni di quei giorni c’è Carla Trezzi Fantini, nata a Milano nel 1907. “Sono l’ultima telegrafista di Milano - dice – e dei bombardamenti ricordo tutto. Un giorno scattò l’allarme delle sirene, e tutti noi corremmo giù al rifugio, compresi i direttori. Io ero insieme alla mia collega Lidia. Sentimmo la bomba sopra di noi e realizzammo che l’esplosione aveva bloccato la porta. Non potevamo uscire. Lidia scoppiò a piangere. Io la rincuorai dicendo che presto sarebbero arrivati i pompieri a salvarci. Dopo un’ora eravamo fuori”. Il tono del racconto di Carla Trezzi è quello di una donna indomita, che ne ha viste tante: “A un certo punto mi stancai e mi rifiutai di correre ogni volta a cercare riparo. Paura? Beh, insomma, ogni tanto quando passava Pippo con il buio… In alcune ore la città era deserta; ma guardi che non l’ho mai vista chiusa o deserta come è stato durante la prima ondata di Covid nella primavera del 2020”.
In questo libro di memorie non c’è soltanto la voce di chi ha vissuto l’incubo dei bombardamenti. Da cronista sopraffino, Ugo Savoia ricostruisce in modo minuzioso la vita quotidiana della Milano tartassata dalle bombe, recupera particolari sui dati dell’anagrafe, della programmazione dei cinema, sui cartelloni teatrali dalla Scala al Lirico al Gerolamo. Divertente la sezione dedicata alla piccola pubblicità e alle offerte di lavoro o alle inserzioni a scopo matrimoniale. C’è anche una timeline della città, con gli avvenimenti dal 1931 al 1940, arricchita da chi – più d’uno – spinge il proprio racconto ai giorni della Liberazione e alle emozioni provate all’arrivo dei partigiani e successivamente degli alleati, o in piazzale Loreto dove furono esposti i corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti.
Non mancano, nei testimoni di allora, richiami al presente: “Non appena ho visto case e ospedali bombardati a Kiev, a Mariupol, a Karkiv, ho sentito come un filo che mi tirava lo stomaco – dice Marco Garzonio – mi riportava alle montagne di macerie che per anni hanno accompagnato la mia infanzia tra Porta Vigentina e Porta Romana”.
Milano non dimentica. E questo libro è importante perché aiuta, con sobrietà ed efficacia, a non dimenticare.
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