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Donne
e scienza
quel lungo
cammino

Parità, la fatica
di un traguardo

Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS

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Le donne sono stupide. Poi hanno un mucchio di altri difetti, fanno figli, mancano di rigore e razionalità, non amano la matematica, tutte buone ragioni per tenerle lontane dalla scienza. Ma soprattutto, essenzialmente, stupide: così il giurista Giacomo Menochio, in quel di Padova nel sedicesimo secolo, per difendere la filosofa e speziale-farmacista Camilla Erculiani dalle accuse di eresia che le aveva rivolto la Santa Inquisizione, non trovò di meglio che affidarsi all’opinione comune per cui le donne erano ignoranti e stupide, e quindi il loro pensiero ne usciva ridicolizzato…

Sono due scienziate a raccontarcelo, Maria Pia Abbracchio e Marilisa D’Amico, due carriere parallele e distanti, l’una nella farmacologia, l’altra nel diritto costituzionale, due eccellenze nel panorama italiano, che hanno fatto tutta la fatica che può fare una donna per imporsi e ottenere riconoscimento. E che si sono voltate indietro, a vedere che fine avevano fatto le donne nella scienza. (“Donne nella scienza – La lunga strada verso la parità”, ed. FrancoAngeli, euro 20,00).

Correspondence Album Cover


Donne nella scienza
- La lunga strada verso la parità

di Maria Pia Abbracchio
e Marilisa D'Amico

FrancoAngeli editore
Euro 20

Siamo certe che non serva essere donne per essere prese per mano dalla scrittura di Abbracchio e D’Amico, alla scoperta di un “mondo che non c’è”, quello delle scienziate. Tenuto fuori dalle Accademie, o anche dalle scuole, al massimo – se assistite dalla fortuna familiare – aiutanti dello scienziato di famiglia, padre o marito che fosse.

Andava forte nella seconda metà dell’Ottocento l’idea del dott. Edward Hammond Clarke, che le donne le aveva studiate bene, soprattutto quelle che volevano fare corsi di studio: non era solo per le mestruazioni, che le rendevano inaffidabili, le donne proprio non erano in grado, perché con lo studio le loro condizioni di salute si deterioravano orribilmente. "Cervelli mostruosi e corpi deboli -scriveva -, attività cerebrale abnormemente attiva, digestione difettosa, pensiero sfuggente e intestino costipato". Insomma, rutti e flatulenze… Dopotutto erano gli anni delle donne barbute e delle donne cannone: anche le donne studiose avrebbero fatto bella figura al Circo Barnum.





Era toccato a una donna, Mary Corinne Putman – che aveva studiato in Pennsylvania e alla Sorbona, e che aveva grandi e moderne idee su come realizzare al meglio dei corsi accademici – arrivare nel 1876 con le prove scientifiche inconfutabili (tabelle, statistiche, parametri fisiologici) che smantellavano le tesi della minorità femminile delle scienziate. Anche in “quei momenti”: durante le mestruazioni non c’erano affatto variazioni significative sulla salute, la forza fisica e l’agilità femminile. Piuttosto le donne erano più sane proprio “quando erano istruite, impegnate mentalmente e fisicamente attive”.

Arrivederci mister Clarke? Non proprio… A Putman andò un premio importante per le sue ricerche, ma il pregiudizio è assai più duro a morire. E ancora negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso – raccontano le autrici – “le ragazze non erano ritenute adatte a fare il chirurgo, l’ortopedico o il dentista, perché ritenute non abbastanza forti fisicamente”. Per questo negli ospedali i baroni sono sempre baroni. Per le baronesse servirà ancora qualche anno…





Ma le donne, si sa, hanno sempre un rovello. E poi sono facili all’autocritica. E sensibili alle critiche. Morale: “Ma davvero le donne sono naturalmente meno portate per le scienze, soprattutto per quelle definite ‘dure’ (matematica, informatica, fisica, chimica e ingegneria, le cosiddette scienze STEM), rispetto agli uomini? E questa minore attitudine, se esiste, è davvero correlata a diversità biologiche tra maschio e femmina?”. “Se queste differenze fossero scritte nel DNA – concludono Abbracchio e D’Amico – potremmo smettere di preoccuparcene e occuparci d’altro”. Mica poco.

Le nostre autrici offrono una ampia disamina sullo studio delle neuroscienze sul cervello e il midollo cerebrale di uomini e donne, decenni di studi. Vorremmo riassumerlo con le parole di Rita Levi Montalcini, e chiuderla lì: “In generale le donne sono dissuase dal seguire una carriera scientifica fino ai livelli più alti. Questo comporta uno spreco di talento umano perché la differenza tra uomo e donna è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente represso, nell’altro incoraggiato”.





Alla ricerca delle radici, le nostre studiose scoprono che i nomi delle donne che fecero le imprese sono cancellati, mai scritti, fantasmi. Persino in epoche recenti o recentissime. Come le suore che per prime mapparono il cielo per il Catalogo Astrografico (assoldate per caso, perché il loro convento era vicino al telescopio della Specola Vaticana), o le programmatici dell’ENIAC, che realizzarono i primi computer. Storie da leggenda, uscite dalla polvere solo negli ultimi anni. Di nome in nome, di storia in storia: quanto c’è da scoprire del lavoro delle donne nella scienza? Indietro, indietro, indietro… fino al 415 dopo Cristo: è allora che Ipazia venne assassinata, direttrice della Scuola di Alessandria, inventrice del planisfero, filosofa, docente amatissima, ma soprattutto scienziata e donna.

Lo studio di Abbracchio e D’Amico ci conduce all’origine delle discriminazioni e poi – un paio di millenni dopo - alla svolta della Costituzione e delle Costituenti, al principio d’uguaglianza e alle leggi, ai mille nodi ancora da affrontare per una parità effettiva. Si parla di pandemia, di PNRR, anche di intelligenza artificiale (che tra le più esposte vede ancora le donne, quelle lontane dalle scuole). Si parla, infine, della fatica che hanno fatto due donne per liberarsi dai pregiudizi e raggiungere i loro traguardi: Maria Pia Abbracchio e Marilisa D’Amico. La loro testimonianza, oggi che entrambe sono prorettrici all’Università degli Studi di Milano. Senza pudori.




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