La passione
di Tina
Anselmi e la politica
una donna della Repubblica
Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS
Per il 25 aprile la Rai manderà in onda una fiction sulla storia di Tina Anselmi, “Una vita per la democrazia”, tratta dal racconto biografico scritto con l’amica Anna Vinci e pubblicato da Chiarelettere. Questa la notizia nuda e cruda, ma in realtà perché la storia di questa esponente democristiana arrivasse in tv ci sono voluti anni. La partigiana. La donna che aveva condotto in porto la Commissione d’inchiesta sulla P2, una delle più tribolate e complesse che abbiano scosso il Paese. La ministra che aveva retto dicasteri fondamentali. E per niente noiosa. Eppure negli equilibri generali non basta essere pubblicamente plauditi da tutti per avere la strada spianata alla Rai…
In attesa di vedere Sarah Felberbaum impersonare Anselmi sullo schermo, è tornato in libreria il libro da cui è tratta la storia: la prima edizione è infatti del 2006 (Tina Anselmi morirà dieci anni dopo), e la prima firma è quella della protagonista, accompagnata da quella di Vinci che ha ricostruito tassello su tassello la vita dedicata alla politica della partigiana di Castelfranco Veneto. Un racconto in prima persona, dove i luoghi sono importanti quanto le persone, perché riportano ricordi e battaglie, foto di gruppo da cui non si prescinde.
Questa edizione ha un elemento in più: la prefazione di Dacia Maraini, che aggiunge il suo ricordo sulla “Tina dai movimenti goffi e l’ironia festosa” scoperta in un viaggio in Cina insieme a Emma Bonino, che ce la rende subito complice. E che sottolinea delle memorie di Anselmi alcuni passaggi che sono specchio della sua attività. A partire dal rapporto con le donne (da sindacalista Cisl se ne era subito occupata, tra i primi capitoli quello sulle mani “lessate” delle operaie delle filande). “Devo dire, e penso di non essere smentita, che da subito mostrai interesse per le tumultuose rivendicazioni delle femministe, e sempre ebbi una sollecita attenzione alle istanze a me più distanti – scrive Tina Anselmi -. Credo che se noi, amiche e compagne di tante battaglie, ci fossimo fermate e guardandoci negli occhi ognuna avesse raccontato all’altra gli errori della propria parte politica, la storia del nostro Paese sarebbe stata diversa. Ma così non fu”.
Che amarezza profonda leggere oggi queste parole così oneste e lontane dalla politica che stiamo vivendo, persa ormai ogni capacità critica e dialettica, persa pare la bussola della democrazia.
Storia di una passione politica
Tina Anselmi con Anna Vinci
Chiarelettere Editore, 2023 Euro 16
Nel libro c’è la storia del nostro Paese, perché la sua vita da protagonista ha coinciso – dal 1943 alla fine - con il divenire dei maggiori avvenimenti: prima a guidare un dicastero, ministra del Lavoro nel ’76; il rapimento Moro - politico cui lei era molto legata; la P2 e le minacce… Eppure annota: “Non ho mai sentito la politica come rinuncia, ero convinta che avrei potuto sposarmi e avere bambini”.
Poiché quest’anno, quando ce n’è più bisogno che mai, il 25 aprile della Rai (su Raiuno e su Raiplay) sarà nel nome di Tina Anselmi, è giusto rileggere soprattutto quelle pagine del libro che hanno segnato la sua storia. E la nostra storia.
“Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane come tante nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. […] Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e la libertà”.
Il racconto di Anselmi, che per la clandestinità passa “dal nome di un cane” (Tina non è un diminutivo) a quello di un arcangelo (Gabriele, una staffetta dopo tutto), assomiglia a tanti ascoltati nelle voci della Resistenza: i racconti son quelli, di tremenda normalità, di vita che ti conduce, di riflessioni che non hanno terze vie. Cambia, nell’uno o nell’altro, l’ambientazione geografica, il chiuso delle città e lo spazio delle aie delle cascine, ma sono le stesse le lacrime soffocate in famiglia. Cambia stavolta soprattutto che invece di cori di uomini, è Tina che parla con l’amica. - “Tu avresti il coraggio di fare la partigiana?” – Risposi di si.
Nel racconto di “Gabriella” staffetta partigiana che fa le segnalazioni di notte agli aerei alleati, c’è molta riconoscenza verso tutti quelli che aiutavano senza chiedere niente (le notti nelle stalle, le luci nei campi). “Tra i contadini – scrive - vorrei ricordare le donne che veramente sono state di un coraggio incredibile. Una tra tante, Maria Trentin, vedova con sei figli, che rischiava la vita ogni giorno pur di ospitarci, di proteggerci. E ci invitava alla sua tavola, che certo aveva poco da offrire. Eravamo un po’ tutti suoi figli. Credo che la presenza numerosa delle donne abbia segnato profondamente lo spirito della Resistenza, ammorbidendola nei suoi eccessi, riconducendola a una dimensione famigliare che qui in Veneto trovò terreno di coltura, in quanto eravamo tutti un po’ parenti e abituati ad aiutarci. […] La gente sentiva da che parte stava la verità”.
Come in tutti i racconti delle partigiane e dei partigiani l’orrore e il sangue sono evocati, mai raccontati: eppure Tina Anselmi, dopo aver lasciato fluire il racconto per tante pagine attraverso gli anni della democrazia e della politica, alla fine ancora lì torna. “È importantissimo non dimenticare, e non per desiderio di vendetta, non per opportunismi politici, ma perché solo la conoscenza del passato permette di non ricadere negli errori di allora”.
Avremo modo di vedere nella fiction tv quante di queste riflessioni otterranno spazio, ma resta forte la testimonianza del libro. Più forte oggi quando sembra così banale negare la storia.
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