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CARNEPLASTICO
E AEROVIVANDE
LA CUCINA
FUTURISTA

Marinetti ai fornelli, ma fu
un Manifesto di scarso successo

Una recensione
di FABIO ZANCHI

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Una provocazione. Un’eresia, per chi si nutra secondo i canoni dello stile alimentare e di vita italiano. Eppure, il tono è perentorio: “Crediamo anzitutto necessaria: a) L’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana”. La ragione? “La pastasciutta agli italiani non giova. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo”.

Ma c’è di più: la pastasciutta sarebbe responsabile di “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”. Infine arriva l’ammonimento: “Ricordatevi poi che l’abolizione della pastasciutta libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso”. Parole che sembrano appena sfornate, in questi tempi di sanzioni legate alla guerra in Ucraina. E invece.

Invece sono le linee guida del Manifesto della cucina Futurista, autore Filippo Tommaso Marinetti, che insieme al poeta anarco-futurista Fillìa (Luigi Colombo) nel 1931 raccolse le proprie fantasie gastronomiche, riproposte oggi da Harpo edizioni.

Il Manifesto nacque in occasione di una cena il 15 novembre 1930 a Milano, nel ristorante “Penna d’oca”. Quella che sembrava una rivoluzione limitata a un piatto, in realtà aveva un’impalcatura teorica più complessa. Fra le varie proibizioni, Marinetti invitava a far sparire dalla tavola forchetta e coltello, per favorire il “piacere tattile prelabiale”. Fondamentale “l’uso dell’arte dei profumi per favorire la degustazione” e soprattutto “l’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola”.


“La cucina futurista”
di Filippo Tommaso Marinetti

Harpo Editore REPRINT
Euro 18,00
 

Tolta di mezzo la pastasciutta, i futuristi spalancano le porte alla chimica. Favorita dalla necessaria strumentazione della cucina, che dovrà essere dotata di ozonizzatori (per dare il profumo di ozono a liquidi e cibarie). Lampade a raggi ultravioletti (contro il rachitismo dei bambini…), elettrolizzatori, mulini colloidali (per la polverizzazione delle farine), dializzatori. Mai usare, raccomanda Marinetti, la pentola a pressione, perché distrugge le sostanze attive presenti nei cibi.

Insomma, i futuristi entrano in cucina e mandano tutto all’aria, da quel fatidico 1930. La loro rivoluzione, naturalmente, non può che sovvertire anche e soprattutto il linguaggio. Nascono nuove parole, che trovano alloggio nei fantasiosi menù. Dove si parla di Carneplastico, autore il pittore Fillìa (trattasi di grande polpetta cilindrica, di carne di vitello, ripiena di undici diverse verdure, da disporre verticalmente nel piatto, cosparsa di miele, secondo un disegno molto fallico).

C’è poi l’Aerovivanda (frutti e verdure da mangiare con la mano destra, mentre con la sinistra si accarezza una tavoletta su cui ci sono strisce di carta vetrata, velluto e seta, in grado di provocare sensazioni accessorie a quelle del gusto, mentre camerieri spruzzano sulla nuca di ogni commensale un “forte profumo di garofano”).





Non è finita. Nel vocabolario futurista il cocktail viene rinominato “Polibibita”, mentre il dessert è ribattezzato “Peralzarsi”. Per sua e nostra fortuna il Fernet rimane Fernet. Ai combattenti viene proposto un menu che comprende Pesce coloniale al rullo di tamburo, Carnecruda squarciata dal suono di tromba e, per finire, “Scoppioingola, duroliquido costituito da una pallottola di formaggio parmigiano macerato nel marsala”. Prosit.

Nella cena che si tenne l’8 marzo 1931 alla taverna Santopalato di Torino, le cronache raccontano che il menu comprendeva un piatto riservato ai giornalisti. Si chiamava Porcoeccitato (Le cochon excité). Sempre da un giornale del tempo risulta che Marinetti, quando già aveva diffuso il proprio Manifesto, venne pescato e fotografato in una trattoria, mentre si gustava un bel piatto di spaghetti.




Se le proposte gastronomiche dei futuristi non hanno fatto troppa strada, non così è stato – a quanto pare – per le loro teorie sui rapporti tra uomo e donna, che occupano la parte finale del volume edito da Harpo. “Come si seducono le donne” è il saggio scritto da Marinetti nel 1916 mentre era ricoverato in ospedale. Ne fa parte un “Manuale del perfetto seduttore”. È un catalogo perfetto del luogo comune, assai diffuso tra i bar Sport e lo spirito di caserma, che per decenni ha plasmato l’educazione sentimentale nel nostro Paese e che ancora oggi purtroppo stenta a lasciare il passo a un’etica più rispettosa.

Bastino alcune citazioni: “Se il divano è propizio, la donna è vostra”. “Una signorina che si rispetta (sic) ha per lo meno tre fidanzati in tempo di guerra”. “Il cervello è un motore aggiunto e inadatto al chassis della donna che ha per motore naturale l’utero. Il cervello sforza, sfascia e deforma la donna che lo porta”. È detto tutto.




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