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Ulisse,
eroe per forza

Cronaca diaculturale
di un viaggio che non finisce mai

Una recensione di
MATTEO COSENZA

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Che cosa è la diacultura? "Un modo di raccontare l’antico: facciamo che gli antichi vivano il nostro mondo e partecipino alla nostra cultura". Un'impresa impossibile, si sa, ma se poi ci scrivi su tre piccoli e preziosi libri e non sembri un illusionista viene da chiedersi se questa operazione non sia molto di più di un divertissement.

Intendiamoci, in questa produzione di Gigi Spina, filologo classico di vasta esperienza e riconosciuto valore, c’è anche il divertimento, suo e di noi che leggiamo, ma non ci vuole troppa fantasia per capire che i suoi lavori così spiazzanti (anche per essenzialità e purezza) non sarebbero possibili se alle spalle non ci fosse la vastissima produzione scientifica di una vita.

Il fatto in sé non mi sorprende perché lo conosco appunto da una vita, quando mezzo secolo fa un suo collega della Federico II, lo storico Franco Barbagallo, responsabile della cultura della 'Voce della Campania', mi propose di farlo collaborare: "È bravissimo, è brillante, è un corsivista straordinario…". Infatti.





Siamo al terzo titolo di questa trilogia della 'diacultura', il primo fu "Il segreto del Tuffatore", a seguire, in un anno significativo, "L’isola degli dei. Procida capitale della Diacultura", e ora "Odissea 4.0, Nessuno ricorda Ulisse" (pagine 74, euro 12, Liguori Editore), dove quel 4.0 rende anche plasticamente la significativa temerarietà dell’operazione, anticipata, va ricordato, da un primo racconto diaculturale (Ulisse, il navigatore) che fu preparato per l’edizione di 'Galassia Gutenberg' del 2007, e che fu letto da Cristina Donadio. Miracoli della diacultura, che "più che ricezione (ricevere, accogliere il passato) punta a sviluppare una cultura diacronica, accumulata nel tempo e attiva, dinamica, i cui strati quasi non si riconoscono più: vale l’ultimo come risultato arricchito, nel presente, dei vari strati del passato".

Perché se Bute racconta il segreto del "Tuffatore" mentre gli dei, calati dall’Olimpo dove ormai sono troppi, agiscono nelle strade di Procida, qui è Ulisse il protagonista, l'io narrante. Il quale finalmente vuota il sacco e racconta la 'sua' verità con tanto di rimproveri a Omero che dopo l'Iliade gli cucì addosso un vestito che oggi gli risulta più che stretto. L’astuto (ma anche su questo aggettivo, polýtropos, ha molto di ridire) confessa: "Feci sapere a Omero che a me bastava anche apparire per l’ultima volta nel XXIII libro, tanto me ne aveva già fatto fare di cotte e di crude, potevo confondermi nella massa epica, nel collettivo di re guerrieri che avevano conquistato Troia. Uscivo di scena in bellezza… No, Omero si mise in testa di comporre un sequel dedicato solo a me… E così venne l'Odissea e cominciarono i miei guai. Perché l’invidia è una brutta bestia. Perché non si può accettare che di tanti ritorni solo uno diventi famoso. Diventi metafora. Diventi addirittura andata. Verso l'immortalità con la complicità dell'Alighieri".

Correspondence Album Cover


Odissea 4.0
Nessuno ricorda Ulisse

Gigi Spina
Liguori Editore
Euro 12

Gigi Spina consente al nostro eroe di smontare pezzo per pezzo il racconto di Omero (dal cavall..ino di Troia al suo peregrinare, al ritorno a Itaca, al cane, al dialogo con Penelope, al segreto del letto rivelatore, alla morte dei Proci, all'esilarante confronto tra il Nostro e l'Eduardo di "Napoli milionaria" zittito ogni volta che inizia a ricordare le sue vicissitudini belliche…) fino a rinfacciargli la colpa di non averlo fatto morire. Ulisse diventa diaculturalmente contemporaneo quando sospira: "Se dovesse capitare, un giorno, di morire, se mai capiterà, visto che ormai sono un mito. Ecco come mi piacerebbe metterlo in scena". E qui l’autore cinefilo entra in campo: "Vorrei morire come in un film, prodotto negli USA, altrimenti finisce che il film lo firma Veltroni: All that epic! Giunto all’ultimo giorno, mi guardo allo specchio e pronunzio la fatidica frase: Si va in scena, ragazzi, e per l'ultima volta tendo l'arco e scocco la freccia, che come la piuma in Forrest Gump o la foglia di Mr. Nobody finisce su una nave abbandonata al largo di Lampedusa, piena di migranti".





Ma cos’è quella freccia? La risposta di Spina-Ulisse riscalda i millenni con un fuoco mai spento: "È la freccia della xenia, dell'ospitalità, di cui sono ormai esperto. E allora tutti, dall'isola e sulla nave, mi applaudono, e quelli della nave si preparano a sbarcare e quelli dell'isola ad accogliere, e non c'è polizia, non c'è legge o decreto che tenga. Le case si aprono, gli sbarcati ringraziano, parte la musica, il brano che accompagna la mia dipartita: Bye Bye Friend, Bye Bye Happiness: insomma la potete ascoltare su spotify, forse con un altro titolo, ma quella è".





Il "viaggio" non ha mai fine e la ricerca di un tempo mai perduto prevede sempre un nuovo porto da raggiungere. Quando si fa legare all’albero della nave, è Penelope che prende il comando: "È lei la regina, sa bene cosa significa navigare: Non comandare navi, non conquistare paesi, non visitare musei, non fare shopping in posti esotici. Alzate le vele, compagni, e tornate ai remi, ci vuole uno sforzo comune. Poi comandò. 'Per seguire virtù e conoscenza' ".




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