Albania
quel paese
sconosciuto
Il culto di Hoxa
e la transizione
Una recensione di
MASSIMO CECCONI
La maestra Nora raccontava in classe che, avendo avuto l’onore di stringere la mano a Enver Hoxha, per molti mesi non se l’era più lavata.
Siamo in Albania, nello scorcio finale del XX secolo, poco prima e subito dopo la caduta del Muro di Berlino e di tutto ciò che quel muro aveva significato nella seconda metà del secolo che qualcuno aveva ribattezzato “breve” ma che né breve, né lieve è mai stato.
Lea è una ragazzina molto sveglia che frequenta con profitto le scuole pubbliche dove, come tutti i suoi compagni, viene indottrinata da insegnanti fanatici come la citata maestra Nora. In “Libera. Diventare grandi alla fine della storia” Vera Ypi racconta in autobiografia i primi vent’anni della sua vita in un paese europeo sconosciuto ai più, dove vigeva, secondo un giudizio del governo sovietico, un regime deviazionista e nazionalista di sinistra.
Anche in Occidente poco si sapeva dell'Albania, le cui frontiere erano molto difficilmente valicabili per via di un protezionismo esasperato della propria presunta e pretesa diversità. La famiglia di Lea è considerata composta da intellettuali (i genitori sono entrambi laureati e la nonna parla un perfetto francese), quindi gente di cui diffidare. Possibili nemici del popolo. Del resto la “biografia” della famiglia non è certo immacolata, un parente molto prossimo, appartenuto alla ricca borghesia di religione mussulmana, aveva persino avuto il ruolo di primo ministro quando al potere c’era re Zog I. Quindi una famiglia che le autorità comuniste consideravano con un certo sospetto.
Ciò malgrado, la piccola Lea anela a diventare pioniere e indossare il fazzoletto rosso al collo, possiede accanto al letto una fotografia dello zio Enver (Hoxha) per il quale stravede e intona orgogliosa inni che recitano: “Salute a te, oh, Enver Hoxha, maestoso quanto le nostre montagne, profondo come i nostri dirupi”. Poco male se intorno a lei le persone fanno la fila per poter mangiare o si accapigliano per il possesso di una lattina (vuota) di Coca-Cola e se la sua famiglia si arrabatta per poter sopravvivere, cercando disperatamente contatti con altri mondi attraverso la ricezione di programmi televisivi provenienti dall’Italia e persino dalla Jugoslavia.
Lea è incrollabile nella sua fede anche quando vede, ma siamo già nel 1990, la statua abbattuta di Stalin a cui qualcuno aveva sottratto la testa. Nel dicembre del 1990 si assiste in Albania alle prime prove di libertà, che suscitano in Lea un quesito inquietante: “Come potevamo realizzare il comunismo se il socialismo non c’era più?”.
I difficili anni della transizione verso la democrazia la aiutano ad affrontare i misteri irrisolti della sua infanzia. Scopre così che quando in famiglia si diceva che un conoscente stesse frequentando l’università si intendeva che fosse internato in un centro correzionale. Se un parente si laureava significava semplicemente che era uscito dal carcere (“La mia famiglia nutriva un vivo interesse per le persone che finivano l’università”). E se aveva completato gli studi? Aveva scontato la pena.
"LIBERA - Diventare grandi alla fine della storia""
Lea Ypi
Feltrinelli
18 euro
I piccoli misteri familiari risolti vanno poi di pari passo con la trasformazione del paese, impoverito e prostrato da anni di regime. Prende corpo l’esodo di massa verso l’Occidente con meta preferita l’Italia. La crisi economica, con la conseguente perdita del potere d’acquisto delle famiglia, favorirà nel 1997 l’avvio di una guerra civile, con ampia partecipazione della criminalità organizzata, che lascerà morti sul campo e strazierà ulteriormente l’Albania.
Nell’ultima pagina del romanzo l’autrice scrive: “Il mio mondo è tanto distante dalla libertà quanto quello da cui i miei genitori avevano tentato di fuggire. Entrambi sono lontani da quell’ideale. Ma i rispettivi fallimenti hanno assunto forme specifiche e, se non sapremo capirle, resteremo divisi per sempre. Per questo ho scritto la mia storia: per spiegare, per riconciliare e per proseguire a lotta”.
Lea Ypi (1979) si è laureata a “La Sapienza” a Roma e insegna filosofia politica alla London School of Economics and Political Science. Con il suo romanzo, anche per merito della grazia ingenua di un io narrante infantile, ci aiuta a capire cosa sia successo in Albania in anni ancora molto vicini a noi, in un paese che, ancora oggi, risulta essere defilato dai riflettori della politica internazionale. Un utile contributo per capire cosa sia accaduto in Europa per via del fallimento di un progetto politico e sociale che continua invece a essere, nostro malgrado, sotto i riflettori della storia.
Chiude Lea Ypi: “Ma io non volevo dimenticare. Non perché sia una nostalgica. Non perché abbia idealizzato la mia infanzia. E nemmeno perché fossi così imbevuta dei concetti appresi da bambina da non riuscire più a liberarmene. Il motivo è un altro. Se le vicende della mia famiglia e del mio paese hanno qualcosa da insegnare, è che nessuno fa mai la storia nelle circostanze che si è scelto”.
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