Ferrovie
del Messico
fra Asti e Kahlo
Un libro magico
e un premio mancato
Una recensione di
MASSIMO CECCONI
Le vicende di Magetti Francesco detto Cesco, di anni 23, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, si consumano tra l’8 e il 12 febbraio del 1944. Nel mezzo scorre un fiume in piena lungo più di 800 pagine di affabulazioni fantasmagoriche, assolute, appaganti dal punto di vista sia letterario che narrativo.
Gli aggettivi per definire la complessità del lungo racconto di Gian Marco Griffi si affardellano scompostamente: fecondo e facondo, picaresco e magico, opulento e appagante, poderoso e portentoso, struggente e consolatorio, comico e tragico in una compostezza narrativa che rimanda a una grande opera letteraria.
Siamo in Monferrato, epicentro Asti con le sue vie e le sue piazze, tutt’intorno paesi e villaggi ognuno dei quali declina una sua peculiarità tra realismo assoluto e fantasia sfrenata. Siamo anche alla fine della Seconda guerra mondiale dove si consumano il rancore sordo dei nazifascisti e le imprese disperate e improvvisate dei partigiani, in un inverno faticoso da vivere e da interpretare. Una grottesca concatenazione di eventi fa sì che sia il Führer stesso a impartire l’ordine di realizzare con estrema urgenza una dettagliatissima mappa ferroviaria del Messico per individuare l’esistenza di una favolosa città chiamata Santa Brigida de la Ciénaga dove, qualcuno sostiene, sia nascosta un’arma risolutiva per le sorti della guerra.
Questo bizzarro ordine rotola tragicomicamente sino al Comando della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti dove il milite Cesco Magetti viene inopinatamente incaricato di redigere la carta. Inizia qui una ricerca spasmodica di informazioni e documenti che Magetti intraprende di malavoglia anche per via di un devastante mal di denti che lo costringe, per il terrore di sedersi sulla poltrona di un dentista, a ingoiare medicinali vari, grappe e vini diluiti con l’Idrolitina Gazzoni.
La scoperta che presso la biblioteca di Asti esiste, ancorché concessa in prestito, una provvidenziale copia del libro Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en Mexico, scritto da Gustavo Adolfo Baz e illustrato da Eduardo Gallo, innesta un turbinio di vicende che costituisce la centralità del racconto all’interno del quale si tuffa e riemerge, in un gioco continuo di flashback, la nutrita schiera di personaggi che l’autore trae dalla sua fantasia o dalla storia. A mo’ di esempio, uno scrittore messicano di nome Gustavo Adolfo Baz (1852-1904) è esistito veramente ma nulla sembra avere a che fare con l’autore della nostra Historia.
"Ferrovie del Messico"
Gian Marco Griffi
Laurana editore
22 euro
Lo sfavillio del racconto si avvale, tra i numerosissimi altri, della tormentata vicenda della bibliotecaria Tilde Giordano e della sua tata Anna, di Epa, cartografo samoano, del frenatore poeta oppiomane alcolizzato Edmondo Bo, di Lito e Mec, becchini avventurosi e sagaci del sorprendente cimitero di san Rocco, da cui Cesco acquisisce informazioni preziose per la sua impossibile ricerca. Ci sono poi i giovani impegnati nella Resistenza come Ettore e Nicolao, il tribolato don Tiberio il cui Dio è in sciopero, lo sventurato Firmino e il sognatore Steno, le due Marie e la sventurata Giustina, vittima sacrificale della guerra.
La ineluttabilità del male è qui rappresentata dall’Obersturmbannführer delle SS Hugo Kraas, anche impegnato in una improbabile partita di golf, e il colonnello Ganci della Sicherai, pervaso da irrefrenabile sadismo. E che dire del conte bibliofilo Cesare Cocchi Renani degli Obertenghi che primeggia in un capitolo capolavoro di alchimie letterarie, spasso ed erudizione?
Luoghi, situazioni e personaggi vengono poi direttamente dal Messico come tappe di risalita di un sacro monte in cui ci si perde a rimirare anche quello che sta dietro i luoghi e le storie.
Grazie a Lito e Mec, Gustavo Adolfo Paz, Eduardo Gallo, il Professore, il glottologo italoamericano Frank Calcavecchia si affastellano visioni esaltanti, tragiche e fantastiche di un Paese di cui Cesco Magetti conosce appena l’esistenza. Per tutte, nel percorso determinato dalla ricerca della fantasmagorica città di Santa Brigida de la Ciénaga, la vicenda del bimbo rannicchiato sul ciglio della strada che si sta lasciando morire, protagonista di alcune delle pagine più strazianti del libro di Griffi. E poi le estenuanti partite di jai alai e delle relative scommesse che sono persino più significative in un gioco simile alla pelota e la comparsa di personaggi come Tina Modotti e Frida Kahlo. Come personaggio ancorché solo epistolare compare anche Norah Borges, formidabile illustratrice e sorella del più famoso Jorge Luis la cui aura splende e risplende sul libro intero anche per via di continue citazioni e riproposizioni del suo labirintico racconto El jardìn de senderos que se bifurcan.
Resta da dire dei luoghi, che danno quasi sempre il titolo ai capitoli, come l’Aquila agonizzante, un anomalo tabarin ricavato da un vecchio deposito ferroviario abbandonato, o il Dopolavoro ferroviario dove per accedere occorre conoscere la parola d’ordine (brillantemente recuperata grazie alla Settimana Enigmistica). Discorso a parte merita la Casa della curandera, nella campagna tra Casorzo e Grana, dove i protagonisti cercano conforto alle loro pene esistenziali e corporali e dove Cesco scopre l’esistenza del niente, luogo assoluto del non luogo, popolato da demoni o diavoli di quart’ordine (diavoli bagattèlli, demoni delle chiappolerie o quelli dell’insignificanza e delle stronzate, piccoli demoni da niente).
In 'Ferrovie del Messico' non manca la ricerca del linguaggio e l’invenzione di termini nuovi o la riproposizione di parole desuete (patuccare, badalucco, zerga, stibia, sagittabondo…) con omaggio esplicito all’ingegner Gadda e al suo psicopompo.
E tra i riferimenti si possono forse annoverare i poemi omerici e Garcia Marquez anche per via del piacere dell’uso della parola nel contesto di un racconto inventivo che più inventivo non si può. 'Ferrovie del Messico' è un romanzo totalizzante nei confronti del quale è assolutamente sconsigliata la lettura veloce, occorrendo leggere e rileggere i capitoli per coglierne completamente gli umori e appagarsi totalmente del piacere assoluto della lettura.
Libro potente e inusuale anche nel manufatto, che si presenta in un formato cm 12x19, altezza cm 6, per contenere un mare magnum di 816 pagine, di cui circa 800 destinate alla prima parte e una sola alla seconda parte che prelude però a nuove avventure di cui si resta in trepida attesa. Per notizia sull’autore, non alla sua opera prima, si rimanda alla postfazione di Marco Drago.
A ogni buon conto, ineccepibile lo stato di grazia della scrittura di Gian Marco Griffi che, fatto salvo qualche forse eccessivo afflato didascalico, plasma il racconto con irresistibile potenza narrativa.
La perfetta citazione finale è ospitata dalla quarta di copertina: ”Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta”. Qualche ulteriore annotazione a margine rispetto alle vicende del Premio Strega 2023, al di là di altre divertenti amenità, dove il libro di Griffi compariva nella prima dozzina ma non nella cinquina definitiva. Sorge spontanea ancorché retorica la domanda: ”Ma è possibile che un libro di tale natura venga escluso dalla Giuria del Premio?”. Le risposte sono plurime. Certo è che lo Strega ha perso un’occasione imperdibile per darsi lustro.
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