Le vie del mago
Il mondo di Stadera
caleidoscopi in Purgatorio
Una recensione di
GIGI SPINA
Gli antichi Greci, per dire che ‘raccontavano’, usavano un verbo che è all’origine della parola ‘diegesi’ - il racconto appunto. Parola che è diventata vocabolo tecnico nell’analisi di un testo letterario. Il verbo era (trascritto alla meglio) dieghéomai, composto da una preposizione iniziale (il preverbo diá) e da eghéomai, che vale ‘conduco, guido’ - ricordate l’egemonia? Il preverbo vale, in questo caso, un attraversamento ‘da … a’, un percorso.
Per i Greci, dunque – ricordiamo che parliamo di culture nelle quali la scrittura non era esistita da sempre – il raccontare, cioè il mettere a parte altri di proprie esperienze e conoscenze, era sentito come la condivisione di un percorso, di un cammino già sperimentato, che veniva quindi riproposto e descritto, fatto vedere grazie alle parole: come l’attraversamento di uno spazio, di un territorio.
Questa è la prima impressione che dà la scrittura di Paolo Birolini, e non credo solo perché sullo sfondo di questo magico attraversamento si staglia, anche se mai nominata, la Sirena Partenope, demone fondatrice di Napoli e propiziatrice di scudetti. Siamo a Napoli, dunque, nell’area orientale, a Stadera.
Birolini sceglie la posizione, la postura narrativa, direi, a partire dal titolo e dal sottotitolo: "Le vie del mago. Guida sentimentale al Purgatorio", cui fanno da premessa le Prime indicazioni logistiche. In un recente film, "Rapito", di Marco Bellocchio, abbiamo sentito riaffiorare e pronunziare la parola Limbo, uscita da tempo dall’immaginario religioso: quel non-luogo, quella denominazione potenzialmente atopica che sembrava lasciare indefinita la stessa onnipotenza divina. Una sorta di non-finito, in attesa di manutenzione e successiva destinazione a regime. No, il limbo non si poteva raccontare, e quindi Birolini ci riavvicina al Purgatorio, che ricordavamo come una montagna alta e bruna, ma che lo scrittore ci invita ad attraversare a piedi, assicurandocene una guida appassionata e coinvolgente.
"Le vie del mago.
Guida sentimentale al Purgatorio"
Paolo Birolini
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E all’inizio non può che esserci un incrocio, "perché è sempre dagli incroci che si parte", un po’ come si comincia sempre da Omero. Eppure Altan ha fatto spesso chiedere a uno dei personaggi delle sue famose vignette quale fosse il senso dell’andare: «Da dove veniamo, dove andiamo, ma, soprattutto, perché ci siamo mossi?", oppure: "Ci chiediamo da dove veniamo o dove andiamo, ma perché non ci chiediamo mai dove siamo?" (o qualcosa del genere, vado a memoria). Ora, come si sa, gli incroci sono pericolosi: si può incontrare un Edipo e finire uccisi, ma si può anche decidere di affrontare una nuova vita, come in Cast Away di Robert Zemeckis. Il bivio, invece, è un incrocio a due varianti soltanto. Ercole ne era esperto. Il bivio serve per reggere l’elastico di una fionda e orientare la direzione. Insomma, il bivio è una scelta apparente, tant’è che, una volta abbandonato, ci si può tornare con una carta di riserva ucronica, cioè con la storia controfattuale: cosa sarebbe successo se avessi scelto l’altra strada?
L’incrocio da cui ci fa partire Birolini, guida diegetica, è luogo e metafora: luogo reale, vissuto e sofferto in prima persona, fatto di nomi, toponimi, personaggi in carne e ossa; ma anche materiale malleabile, caleidoscopio continuamente nutrito da frammenti di sentimenti, i più diversi, fino alla conclusione delle tre giornate in cui l’autore suddivide il percorso. Un Cammino di penitenza, dunque, che si apre, nella prima giornata, con lo scorrere continuo di acqua e immagini in movimento (Prima giornata. Fiumi e cinema), prosegue nella seconda con un cambio drastico di scenario, in levare (Seconda giornata. Senza fiumi il mondo) e finisce con un orizzonte che John Ford/David Lynch in "The Fabelmans" di Steven Spielberg non riuscirebbe a definire se in alto o in basso (Terza giornata. La via per le Puglie).
Il percorso penitenziale del ricordo e del presente incalzante, dell’altrove da comparare si è intanto snodato con il rigore descrittivo della guida, intervallato, a ristoro della stanchezza di ogni giornata, da tre entracte, una sorta di zoom su luoghi e persone che certificano, in qualche modo, l’autorevolezza dell’autore, testimone oculare. Ma non vanno sottovalutate le targhe/titoli che troviamo a ogni svolta e cambio di passo durante le singole giornate. Li lascio alla curiosità di lettrici e lettori, dico solo che vanno da nomi in coppia a elenchi in asindeto, a sentenze quasi proverbiali. Inequivocabili.
La prosa poetica di Paolo Birolini continua a condurre, a guidare, anche quando si chiude il libro o si spegne il kindle. Offre anche ai ricordi personali di ciascuno gli strumenti per leggere la propria vita e proiettarla verso gli incroci del futuro. Non so se verso un Paradiso. Sicuramente verso un’ansia, un’attesa di magia. Come promettono spesso fiumi e ponti. Come la Ninfa che Birolini evoca alla fine. O come le Sirene di Pontelungo - le quattro Sirene scolpite a fine Ottocento da Carlo Monari– sistemate a inizio e fine del ponte che porta all’aeroporto di Bologna, da dove si vola per l’altrove, ovunque esso sia.
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