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I giorni
e l'attesa

Emozioni e rabbia
in redazione e fuori

Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS

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Rivoluzione e sesso, inconcludenti, incompiuti, quasi una traccia che attraversa “Quei giorni torneranno” di Fabio Luppino (Santelli Editore, euro 12,99). Eppure è tutt’altro, è la storia di un giornale. È la storia – mai nominata – dell’Unità: fogli di appunti, di ricordi, di emozioni, di viaggi nelle guerre, di invenzioni letterarie attraverso soprattutto una serie di donne; sono loro le pasionarie, le arrabbiate, le vinte. Storie di cui non conosciamo il finale, lasciato al lettore (ma alla fine Giulia muore?).





C’è un solo lungo capitolo che svela le carte, che fa nomi e cognomi (Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Concita De Gregorio, persino Lady Diana salutata con “Scusaci Principessa”), che racconta le proprietà e gli abbandoni del giornale. Non una “storia”, un pezzo di storia: un punto di vista da dentro. Uno dei tanti possibili punti di vista, di un microcosmo perennemente a scontro e confronto. E nonostante siano trascorsi gli anni, i decenni, quella comunità che faceva il giornale continua ad avere su ciò che è stato contrapposizioni ormai quasi ideologiche più che editoriali: il titolo della discordia su Diana, ma anche le pagine sulle donne, sulle scienze, sulle religioni, “una specie di falansterio con servizi su servizi” lo definisce Luppino.


"Quei giorni torneranno"

Fabio Luppino

Santelli editore
euro 12,99

Ma lo dichiara: non vuole scrivere una storia del giornale. Mette in fila i suoi ricordi, le sue idee, le sue emozioni. Mischia le carte con invenzioni letterarie. Ricorda, suggerisce eventi e luoghi (da Spinaceto alla ex-Jugoslavia). Pagine di diario e di ricordi nel cassetto.

Le “verbose discussioni sulla linea del giornale, alla fine la linea politica, il mondo, ridotto al sesso degli angeli” ci accolgono fin dall’inizio, dominato dalla possente Giovanna, ma soprattutto da un linguaggio sincopato, affastellato, che ricorda l’ansia del giornale che deve chiudere, dell’ultima ribattuta, di un sesso perduto.





“Quei giorni torneranno” ha in copertina una foto-simbolo, cui è dedicato un breve paragrafo finale: è l’immagine scattata da un muretto da Alberto Pais – figlio di Rodrigo, che ha raccontato 50 anni di Storia di questo Paese. Alberto era uno dei “ragazzi di cronaca”, quando le foto avevano la stessa forza di un articolo, di un editoriale. E la foto racconta di due ragazzi a una manifestazione sindacale, tra i lacrimogeni, con l’ombra di un manganello. Ma quali giorni torneranno? Quelli di quell’entusiasmo, di quella rabbia, di quell’impegno quotidiano così spesso tradito?

Ginevra che in un lungo capitolo iniziale fa la sua rivoluzione, che difende chi soffre e di cui non parla più nessuno, è uno schiaffo a chi quelle cose, sì, le ha dette, le ha pensate, le ha archiviate. Plaza De Mayo, i colonnelli in Grecia, la Cambogia. Un passato sepolto. “Distruzione senza ricostruzione”. Ma anche per lei, alla fine, le lacrime davanti al mare mentre lui sgattaiola via dalla sua vita. Donne senza riscatto.





Forse, alla fine, c’è tanto che spiega questo libro in quello scorcio di pagine in cui rivendica la Costituzione, “un testo rivoluzionario” la cui attuazione finisce per diventare quasi eversiva; in cui ricorda Stefano Cucchi; in cui pubblica, omaggio alla memoria, l’ultima lettera di Lorenzo Orsetti, anarchico antifascista, andato a combattere a fianco dei curdi in Siria e a morire: “E ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia”.




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