DAL DIVO A FEBBRE DA CAVALLO

CENTO FILM PER RACCONTARE ROMA — 9

14 febbraio 2021

(41) In nome del Papa Re

di Luigi Magni

Film realizzato da Luigi Magni nel 1977, fa parte della trilogia di opere che il regista ha dedicato ai momenti salienti del risorgimento romano. La pellicola è ispirata dal romanzo “I misteri del processo Monti e Tognetti”, a sua volta basato sui reali accadimenti storici relativi all’ultima condanna a morte comminata dal potere temporale di Papa Pio IX tre anni prima dell’arrivo dei bersaglieri a Porta Pia. Protagonista assoluto del film è Nino Manfredi, nelle vesti del gesuita monsignor Colombo.



La vicenda è ambientata sul finire del 1867, quando a Roma avviene un atto di terrorismo, un attentato dinamitardo, che fa esplodere la caserma Serristori, nell’attuale via della Conciliazione (il palazzo in cui aveva sede la caserma esiste ancora oggi, essendo uno dei pochi della zona ad essere sopravvissuto alle demolizioni avvenute negli anni Trenta del Novecento), facendo perdere la vita a oltre venti zuavi francesi, posti a difesa dello Stato Pontificio. La contessa Flaminia, madre segreta del rivoluzionario Cesare Costa, accusato insieme ai compagni Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti di aver compiuto la strage, si rivolge allora a un giudice della Sacra Consulta, monsignor Colombo da Priverno, il personaggio interpretato da Manfredi, confessandogli che lui è il vero padre dell'arrestato, poiché il ragazzo è nato a seguito di una fugace relazione avuta diversi anni prima. Il prelato riuscirà a liberare suo figlio, ma non riuscirà a intervenire a favore degli altri due imputati, che verranno condannati a morte dal tribunale ecclesiastico nonostante la sua accorata arringa in loro difesa.

La grande contraddizione di questo film che, forse ancora meglio delle altre pellicole storiche di Luigi Magni, ricostruisce con sapienza le atmosfere della Roma della seconda metà dell’ottocento, le sue contraddizioni, la sua decadenza e i suoi sogni, è che si tratta di un’opera girata interamente in Toscana. La Roma ottocentesca ricostruita da Magni è infatti, nella realtà, Montepulciano, in provincia di Siena. Lì c’è Palazzo Ricci, dove vive monsignor Colombo e sempre lì sono stati girati tutti gli esterni del film. Tra le chicche della pellicola c’è da notare la presenza di Rosalino Cellamare, in arte Ron, nella parte di Gaetano Tognetti, in una delle rare apparizioni del cantante nelle vesti di attore. Le musiche, come in quasi tutti i film di Magni, sono firmate da Armando Trovajoli.



(42) Il Divo

di Paolo Sorrentino

La biografia di un Giulio Andreotti interpretato da Toni Servillo, messa in immagini nel 2008 da Paolo Sorrentino, è forse il film che meglio di ogni altro ci presenta uno degli aspetti più noti della Capitale, ma anche quello più criticato e dileggiato: la Roma che vive attorno ai palazzi del potere, la Roma della politica. Il titolo completo della pellicola è “Il Divo, la spettacolare vita di Giulio Andreotti” e prende spunto dal soprannome che fu dato ad Andreotti dal giornalista Mino Pecorelli, che a sua volta si ispirò alla figura di Giulio Cesare, ovvero il Divo Giulio.

Il film ci presenta l’ultimo momento di gloria del pluri-presidente del consiglio scomparso nel 2013, cioè il periodo che va dal 1991 al 1993, dall’incarico a formare il suo settimo e ultimo governo all’inizio del processo a suo carico per collusioni con la mafia. In mezzo, i momenti cruciali del tentativo di elezione alla Presidenza delle Repubblica, stoppato dagli attentati mafiosi degli anni Novanta e dallo scandalo di Mani Pulite, che travolgerà tutta la classe dirigente italiana e ridisegnerà il quadro politico nazionale, dal quale verranno estromessi i big che per quasi cinquant’anni avevano governato la penisola.



Tra gli spettatori di questo film ci fu lo stesso Giulio Andreotti, che (come riportato dal quotidiano La Repubblica, in un articolo del maggio 2008) così commentò l’opera: “È molto cattivo, è una mascalzonata, direi. Cerca di rivoltare la realtà, facendomi parlare con persone che non ho mai conosciuto”. La risposta del regista Sorrentino arrivò dalle colonne di Liberazione: “Andreotti ha reagito in modo stizzito e questo è un buon risultato, perché di solito lui è impassibile di fronte a ogni avvenimento. La reazione mi conforta e mi conferma la forza del cinema rispetto ad altri strumenti critici della realtà”.

La Roma presentata nel film parte dalla centralissima via del Corso, percorsa dal protagonista durante una sua passeggiata notturna, e da piazza San Lorenzo in Lucina, nella quale Andreotti aveva realmente il suo studio, per poi presentare numerosi scorci della città storica, da Sant’Ivo alla Sapienza all’Appia Antica, dove è la villa in cui si svolge la cena fra i rappresentanti politici della corrente andreottiana. Diverse scene sono però girate a Torino, a Napoli e a Gressoney, in Valle d’Aosta.



(43) Squadra Antifurto

di Bruno Corbucci

Questo è il secondo di una fortunata serie di film girati da Bruno Corbucci che hanno per protagonista il maresciallo Nico Giraldi, quello che molti, erroneamente, definiscono “Er Monnezza”. Interpretato da Tomas Milian, con l’inconfondibile voce del doppiatore Ferruccio Amendola, Nico Giraldi è l’eroe popolare di numerose pellicole uscite tra il 1976 e il 1984: un ex ladro di Tor Marancia divenuto prima maresciallo della Polizia di Stato poi ispettore. Nico assomiglia enormemente a un altro personaggio cinematografico, quello chiamato Er Monnezza, per l’appunto, ma non è da confondere con quest'ultimo. Hanno lo stesso look, lo stesso interprete, lo stesso doppiatore, ma non sono la stessa persona. Infatti Er Monnezza, soprannome di Sergio Marazzi, è un ladro collaboratore di giustizia, mentre Nico è un ex ladro diventato poliziotto. Er Monnezza è apparso in soli tre film, tutti girati tra il 1976 e il 1977, Nico Giraldi in ben undici. Ad alimentare ulteriormente la confusione fra i due personaggi è stato anche un sequel uscito nel 2005 e interpretato da Claudio Amendola, figlio di Ferruccio, intitolato “Il ritorno del Monnezza”, in cui il protagonista vestiva i panni del figlio di Nico Giraldi, ma veniva soprannominato appunto Er Monnezza, come se i due diversi personaggi interpretati da Tomas Milian fossero in realtà un personaggio solo.



Reso famoso dal suo fare scanzonato e popolare e dal suo linguaggio greve, il maresciallo Giraldi si accompagna spesso a un ladruncolo soprannominato “Venticello” che gli fa da informatore, interpretato da Bombolo, nome d’arte di Franco Lechner. È proprio in questo film che quel personaggio fa la sua comparsa, anche se in “Squadra antifurto” il suo soprannome non è ancora Venticello: viene invece chiamato Er Trippa. Ed è in questa pellicola che ha luogo una delle scene più note fra tutte quelle che hanno avuto per protagonisti Bombolo e Tomas Milian: al ristorante, quando Bombolo chiede impaziente “Ma allora ariva ‘sta pizza?” e ne riceve in risposta un sonoro sganassone da parte di Giraldi. Narra la leggenda che il copione originale prevedesse la battuta “Ma allora ariva ‘sta pastasciutta?” ma fu Bombolo a suggerire la modifica e a inventare la gag.

Roma, presente già nella caratteristica inflessione romanesca di Nico Giraldi, appare come protagonista della pellicola fin dai titoli di testa, in cui si vede una banda di criminali, che verrà poi sgominata dal maresciallo, compiere furti e rapine in varie zone del centro storico. Altre scene sono girate al Testaccio, al Quartiere Coppedè, a Prati, alle Capannelle, alla fornace di Castel Giubileo e in una bella villa della Bufalotta, su via della Marcigliana, che è stata anche la location di numerosi altri film girati tra gli anni Settanta e Ottanta. Il ristorante dell’incontro con Bombolo e della famosa “pizza” è tuttora esistente e si trova nei pressi della diga sul Tevere che è all’altezza di Castel Giubileo.



(44) Inferno

di Dario Argento

È una Roma horror e inquietante quella che appare nel film del 1980 “Inferno”, diretto dal maestro indiscusso del genere, Dario Argento, e girato in inglese. Con le musiche di Keith Emerson e l’interpretazione di una giovane Eleonora Giorgi, oltre all’immancabile Daria Nicolodi (moglie del regista romano), “Inferno” prosegue una trilogia iniziata alcuni anni prima con il film “Suspiria” e conclusa, molti anni dopo, con “La terza madre”. Tra le interpreti della pellicola c’è anche l’affascinante e misteriosa Ania Pieroni, nome che oggi non dice quasi nulla ai più, ma che all’epoca fu spesso in prima pagina nelle cronache scandalistiche, a causa di una sua chiacchierata relazione con Bettino Craxi.



La storia narrata parte dal ritrovamento de “Le tre madri”, un antico libro scritto da un misterioso architetto e alchimista. L'autore pare avesse conosciuto personalmente le tre madri dell’Inferno: Mater Suspiriorum (Madre dei Sospiri), Mater Lacrimarum (Madre delle Lacrime) e Mater Tenebrarum (Madre delle Tenebre) e che per loro avesse costruito tre dimore: una a Friburgo, una a Roma e una a New York. La vicenda si snoda dunque fra New York dove, proprio in quella che potrebbe essere la dimora della Mater Tenebrarum, vive la giovane poetessa Rose Elliot e Roma, dove suo fratello Mark, che ha stretto amicizia con la bella Sara, studia musica in conservatorio. Fra apparizioni di cadaveri, spiriti infernali, morti misteriose, il racconto si conclude con l’incendio della dimora newyorkese, in cui, con le fiamme, vanno in fumo anche i mille segreti lì custoditi.

Un film ricco di spiriti e presenze misteriose come questo non poteva che trovare la sua location ideale nel Quartiere Coppedè, un luogo di Roma che, anche senza bisogno delle immagini di Dario Argento, sembra uscire da un libro di fiabe o da un racconto gotico di fine ottocento. A piazza Mincio è ambientato l’esterno della biblioteca in cui Sara (Eleonora Giorgi) cerca il libro delle tre madri. L’interno è invece girato nell’affascinante Biblioteca Angelica di piazza Sant’Agostino, in pieno centro storico. Il bel palazzo dove vive la Giorgi è in via Po, mentre l’aula del conservatorio frequentata da Mark è in realtà l'aula magna dell'ospedale odontoiatrico George Eastman, a Viale Regina Elena. Una curiosità è che anche la New York vista nel film è ricreata quasi interamente a Roma, sempre nella zona adiacente il Coppedè, oltre che negli studi di Cinecittà.



(45) Febbre da cavallo

di Steno

Il film di Steno, del 1976, è diventato uno dei cult della commedia all’italiana, con gli indimenticabili personaggi del Pomata e di Mandrake, alias Enrico Montesano e Gigi Proietti, due amici appassionati di corse ippiche, cialtroni e truffaldini, incapaci di vincere una qualsiasi scommessa, anche quando hanno in mano i nomi dei cavalli vincenti, come quelli degli oggi quasi proverbiali Soldatino, King e D’Artagnan. È una pellicola che, curiosamente, ottenne tiepidi incassi e scarso apprezzamento all'epoca dell'uscita, ma negli anni, grazie ai molteplici passaggi nelle TV locali e nazionali, è diventato uno dei più famosi e amati film comici nazionali, con schiere di appassionati che ne citano a memoria le battute. Tanto che nel 2002 è stato girato anche un sequel: “Febbre da cavallo, la mandrakata”, diretto da Carlo Vanzina, il figlio di Steno, con Proietti e Montesano a riprendere i propri ruoli.



La storia, per chi non la conoscesse, racconta le vicende di un gruppo di amici con la passione per le scommesse ippiche, sempre pronti a inventare stratagemmi e raggiri di ogni genere pur di raggranellare il denaro necessario per la loro costosa e fallimentare passione. La sfortuna e l’imperizia li portano però a indebitarsi, nonostante Gabriella, alias Catherine Spaak, nel film moglie di Mandrake, avesse loro suggerito i cavalli poi risultati vincenti, ma su cui, per spavalderia, non avevano puntato. Vergognandosi di confessarlo, decidono allora di inventare una grossa e assurda truffa per truccare una corsa. La passione del gioco, l’ossessione per le scommesse e per il rischio, le truffe e le guasconate sono incorniciate da una Roma scalcagnata, popolata da improbabili e simpatiche figure quasi da fumetto. Come disse Nikki Gentile, l’attrice americana interprete di un ruolo minore nel film, quello di Mafalda: “Febbre da cavallo è Roma, semplicemente Roma! C'è tutta Roma in quel film”.

"Febbre da cavallo" è interamente girato nella Capitale, soprattutto nella zona di piazza d'Aracoeli, dove Gabriella gestisce il Gran Caffè Roma (un locale tuttora esistente) e quella di piazza Margana, al Ghetto, dove si trova la casa del Pomata. La scena all’ospedale, sempre con il Pomata, è ripresa al Fatebenefratelli, sull'isola Tiberina. La famosa sequenza dello spot del whisky Vat 69, l’immortale “whisky maschio senza rischio”, è girata invece di fronte alla chiesa di San Girolamo degli Schiavoni, in via di Ripetta, a due passi dall’Ara Pacis. Tutte le scene nei vari ippodromi presenti nel film sono girate interamente all'ippodromo di Tor di Valle. Anche le scene nella stazione ferroviaria di Napoli sono state effettuate a Roma, alla stazione Termini. Infine, la sequenza in cui l'auto di Mandrake si ferma senza benzina è girata sulla via Ostiense, nei pressi di Tor di Valle.

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