All’inizio del 1976, l’eco del massacro del Circeo, compiuto da tre giovani romani di buona famiglia nel settembre del ’75, in una villa sul litorale pontino, era ancora fortissimo in tutta Italia e riempiva le prime pagine di giornali e rotocalchi. A questo si aggiungeva il clima di quegli anni, che saranno in seguito definiti gli “anni di piombo”, con lotte fra fazioni politiche avverse, violenze e omicidi che venivano compiuti sia da parte di gruppi organizzati di estrema destra sia da parte di analoghi raggruppamenti di estrema sinistra. È in quel momento che Renato Savino, ispirandosi a questi fatti di cronaca, decise di scrivere il soggetto e la sceneggiatura di un film che può essere considerato una sorta di “instant movie” di cui firmò anche la regia: “I ragazzi della Roma violenta”.
La pellicola si rifà in parte ai canoni del genere poliziottesco, molto in voga in quegli anni, pur discostandosene in parte. La storia è un intreccio di due episodi: da una parte le violenze commesse da un gruppo di neofascisti romani capeggiati da Marco Garroni, un ricco e perverso pariolino; dall’altra quelle perpetrate da alcuni giovani borgatari, comandati da Schizzo. Gli atti di sadismo e i morti finiranno per esserci da ambo le parti. Garroni si macchierà anche dell'omicidio di una ragazza, seviziata e violentata senza pietà prima della morte. Braccato dalla polizia, nel tentativo di scappare, finirà con la sua auto in un burrone morendo.
Il chiaro richiamo al delitto del Circeo è bene evidenziato anche dalle location scelte dal regista, oltre alle scene girate a Roma, soprattutto la Roma periferica dei quartieri nati in quegli anni - il Nuovo Salario, Tor de’ Schiavi, Casalbruciato, il Collatino, il Tiburtino ma anche la zona di Villa Massimo, non lontano da piazza Bologna - buona parte del film è girata nei dintorni di Sabaudia. Proprio a Sabaudia, quindi non lontano dal Circeo, si trova la villa in cui Garroni violenta e uccide la sua vittima e sempre sul litorale pontino è la strada litoranea dove l’auto del protagonista finirà fuori strada.
«Cinquanta per cento Bangla, cinquanta per cento Italia e cento per cento Torpigna». È con questa frase che si presenta il protagonista di “Bangla”, film del 2019 d’ispirazione autobiografica, scritto, diretto e interpretato da Phaim Buiyan, giovane attore e regista originario del Bangladesh ma nato e vissuto a Roma, nel quartiere di Torpignattara.
E a Torpignattara nasce e vive anche Phaim, l’omonimo protagonista della pellicola, un ragazzo bengalese di 22 anni diviso fra due mondi. Perché “Bangla” è il ritratto poetico e divertente di quei romani di seconda generazione, che formano ormai un’ampia fetta della nostra città, provenienti da radici diverse anche se nati qui, più romani dei romani stessi. La famiglia di Phaim è composta da un padre sognatore, una madre tradizionalista e una sorella che sta per sposarsi con un altro ragazzo bengalese.
Come tutti i ragazzi della sua età, Phaim sogna di innamorarsi, ma intanto divide le sue giornate fra il lavoro da steward in un museo, il suo amico Matteo, pusher di Torpigna, e la band Moon Star Studio, in cui suona insieme ad altri tre amici. L’incontro con Asia (Carlotta Antonelli), una ragazza romana che gli fa perdere la testa, metterà il protagonista davanti a una scelta lacerante fra le due culture: andare via dall'Italia e partire per Londra dove la famiglia ha deciso di trasferirsi, oppure restare a Roma per rimanere con i suoi amici e con la donna che ama.
Tra street art capitolina e scorci dei palazzoni di Torpignattara, la pellicola ha una forte connotazione romana. L’incontro tra i due mondi è poi simbolicamente rappresentato, nel film, anche nell’incontro fra la periferica Torpigna di Bangla e la Roma Nord un po’ radical chic di Asia, due zone della città che nella vicenda vengono raffigurate quasi come due entità estranee, che non si conoscono l’una con l’altra e si guardano con sospetto, pur essendo vicendevolmente attratte. E così le situazioni complesse che nascono dal multiculturalismo e dalla religione musulmana di Phaim, che comporta un assoluto divieto di fare sesso prima del matrimonio, o di bere alcolici e mangiare carne di maiale, finiscono per condensarsi e risolversi nella domanda che le pischelle di Roma Nord, amiche di Asia, rivolgono al protagonista: “Tu il maiale non lo mangi, ma il cinghiale?”
Tre storie, tre città, gli stessi due interpreti in tutti gli episodi: Marcello Mastroianni e Sophia Loren. Il film di Vittorio De Sica, del 1963, è articolato in tre diversi racconti ambientati in tre città italiane: Napoli, Milano e, ovviamente, Roma. Se l’episodio napoletano (ispirato da una storia vera) narra di una coppia prolifica in cui lei, venditrice di sigarette di contrabbando, riesce, con l’escamotage di essere perennemente incinta, a evitare di essere rinchiusa in galera, e se quello milanese ci propone la tresca fra una donna altolocata e un uomo di modeste condizioni economiche, è sicuramente l’episodio ambientato a Roma, intitolato “Mara”, quello rimasto più famoso, soprattutto per una delle sue memorabili scene.
Mara (Sophia Loren) è una squillo d’alto bordo, che abita in un appartamento con vista su Piazza Navona. Ha, trai suoi più affezionati clienti, un certo Augusto (Marcello Mastroianni). Ma Umberto, il nipote della dirimpettaia (interpretata da Tina Pica), seminarista, ignaro della professione della vicina di casa, se ne invaghisce. Mara dopo aver giocato a farlo innamorare quando viene a sapere che Umberto vuole lasciare la sua vocazione per lei si pente e gli confida tutto. Umberto torna perciò in seminario e Mara, per festeggiare il fatto che tutto si sia sistemato per il meglio, si esibisce in una delle scene più famose del cinema italiano: un sensuale spogliarello per il suo amico Augusto.
È dunque la Roma più tipica quella che appare nel film, la Roma del pieno centro storico e quella delle tonache che popolano la città in cui risiede il Papa. Il negozio di articoli religiosi che appare in una delle scene del film non è però in Vaticano o a Borgo, come si potrebbe pensare, dato che ancora oggi quelle zone della città pullulano di esercizi commerciali a tema, bensì a piazza della Minerva, poco distante dal Pantheon.
ACAB, acronimo anglosassone che sta per All Cops Are Bastards, cioè tutti i poliziotti sono bastardi, è anche il titolo di un film di Stefano Sollima del 2012, che narra le vicende di tre celerini: Negro (Filippo Nigro), Mazinga (Marco Giallini) e Cobra (Pierfrancesco Favino), agenti antisommossa della Polizia di Stato, diversi per carattere ma uniti da una forte amicizia, un legame che li aiuta ad affrontare il difficile lavoro che hanno scelto e le proprie situazioni private e familiari, tutte piuttosto complesse. Alle vicende di fantasia narrate del film si intrecciano alcuni reali episodi di cronaca, come la morte del poliziotto Filippo Raciti e quello del tifoso della Lazio Gabriele Sandri.
La Roma che appare nel film, è dunque la città che ruota attorno al mondo degli ultras, oltre a quello delle forze di polizia. Numerose scene sono girate nei pressi dello Stadio Olimpico e del Foro Italico, oltre a Colli Aniene, Ponte Mammolo, Casal de’ Pazzi, che fanno da cornice per i momenti più privati delle vite dei protagonisti. Il campo da rugby nel quale si dilettano a giocare dopo il lavoro è il campo della Vantaggio Rugby, nel quartiere San Basilio. Infine, la caserma in cui i tre lavorano, è, nella realtà, la sede della scuola per la formazione dei Vigili del Fuoco di Roma, all’interno della Caserma delle Capannelle.
Questo film a episodi del 1977, con la regia di Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli, che vede tra gli interpreti Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Ornella Muti, è una sorta di campionario delle meschinità umane, molto spesso prive della minima autopercezione o comunque di particolari rimorsi, e di quanto alcuni comportamenti finiscano per risultare dannosi per gli altri, amici, parenti, conoscenti e, in qualche caso addirittura mortali.
Il film completo consta di quattordici episodi, molti dei quali ambientati a Roma, anche se la cosiddetta versione televisiva, quella che fu trasmessa dalle tv italiane a partire dagli anni Ottanta e perciò la più nota al grande pubblico, ne conta solo nove. Da questa versione ridotta sono stati tagliati gli episodi intitolati Mammina e mammone, Cittadino esemplare, Il sospetto, Sequestro di persona cara, Pornodiva ed è stata anche accorciata la durata dell’episodio intitolato Autostop.
Tra gli episodi più famosi girati nella Capitale c’è Tantum Ergo, con Gassman nelle vesti di un cardinale che resta bloccato nella zona di Centocelle davanti a una parrocchia di borgata, quella di Santa Maria Madre della Misericordia, non distante da Villa Gordiani, a causa di un guasto alla propria vettura; perciò entra in quella chiesa, gestita da un prete operaio, e lì improvvisa un sermone. C’è poi Hostaria, girato alla Trattoria ai Due Ponti, in via Flaminia, nelle cui cucine Gassman e Tognazzi, nelle vesti del cameriere e del cuoco, litigano forsennatamente. C’è anche il tour notturno per ospedali capitolini di First Aid, compiuto da Alberto Sordi nei panni di Giovan Maria Catalan Belmonte, un dandy, esponente della nobiltà romana, che vagando con la sua Rolls-Royce, nei pressi del monumento a Mazzini al Circo Massimo trova un uomo gravemente ferito a causa di un incidente. Dopo aver provato a farlo ricoverare in tre ospedali (di cui uno solo, fra quelli mostrati nel film, è un vero ospedale di Roma: il San Camillo) senza trovare un pronto soccorso disponibile, il protagonista abbandona di nuovo il malcapitato, esattamente dove l'aveva trovato.
Romano è l’episodio L’elogio funebre, in cui Sordi, in un cimitero, ricorda il capocomico scomparso “Formichella”, trasformando quel momento di lutto in uno sguaiato show d’avanspettacolo. Anche l’episodio Senza parole, con Ornella Muti che s’innamora di un misterioso mediorientale, è girato a Roma, nell’Hotel Cavalieri Hilton di Monte Mario. Un tour del centro della città, partendo dalla Garbatella, è nell’episodio tagliato Mammina e mammone. E sempre a Roma, negli ex studi De Paolis di via Tiburtina, è girato Pornodiva. Infine l’episodio Come una regina, che inizia con un gelato gustato in un bar all’aperto, lungo la Passeggiata del Gianicolo, dove Sordi porta l’anziana madre prima di abbandonarla in un ospizio, è girato in gran parte nell’ex orfanotrofio della Marcigliana, un luogo affascinante e misterioso della città