DA ANGELI E DEMONI A BELLISSIMA

CENTO FILM PER RACCONTARE ROMA — 14

27 marzo 2021

(66) Roma a mano armata

di Umberto Lenzi

Gli anni Settanta sono un momento d’oro per il “poliziottesco”, un genere cinematografico che ha avuto, fra i suoi interpreti, due re incontrastati. Il primo è stato Maurizio Merli, il biondo dagli inconfondibili baffi, reso famoso dal suo eterno personaggio del poliziotto dai modi spicci, vendicatore solitario dei torti della società, uomo senza macchia e senza paura, a difesa del bene. Il secondo è stato Tomas Milian, a volte apparso anche lui nel ruolo di buono, del collaboratore di giustizia, volgare però dal cuore d’oro, altre volte capace di impersonare il cattivo della storia. Entrambi, in ogni circostanza, erano adorati dai loro numerosi fan. Così, nel 1977, il regista Umberto Lenzi decide di mettere insieme i due attori e di girare il film “Roma a mano armata”, pellicola che risulterà uno dei maggiori successi al botteghino di quell’anno.



La vicenda, in parte frammentata in varie sottostorie, narra di una serie di crimini, di rapine, di omicidi, di sequestri che hanno luogo nella Capitale, presentata come una città in mano a bande di criminali, capaci di compiere sia piccoli furti sia efferati delitti. Dietro a molti di questi c’è lo zampino degli uomini del Gobbo (Tomas Milian), un macellaio che lavora al mattatoio di Testaccio. Per cercare di smascherarlo, farlo confessare, sgominare la sua banda mettendo così fine alla lunga scia di crimini, il commissario Tanzi interpretato da Maurizio Merli andrà spesso oltre il limite consentito dalla legge. La cosa curiosa è che pare che Tomas Milian e Maurizio Merli si odiassero davvero, anche fuori dal set. La leggenda vuole che durante una delle scene, quella in cui Milian e Merli hanno una colluttazione e Tomas Milian doveva fingere di prendere a calci un Maurizio Merli caduto a terra, i calci furono veri e ben assestati, al punto che il regista interruppe le riprese per placare gli animi, riprendendole solo il giorno dopo.

È gran parte di Roma che viene coinvolta nelle scene del film, quasi a indicare che nessuna zona della città è esente dal pericolo criminale, né la Roma bene né quella più malfamata: si va dal Tiburtino a Parioli, dal Coppedè all’Acqua Acetosa a Collina Fleming, alla Portuense. E poi ancora Garbatella, corso Francia, via del Governo Vecchio con un rocambolesco inseguimento sui tetti del centro storico, via Palmiro Togliatti, Il Quadraro, il Parco degli Acquedotti, via Trionfale.



(67) Bellissima

di Luchino Visconti

Il cinema raccontato dal cinema. Questo film del 1951, diretto da Luchino Visconti, è uno squarcio sulle (poche) luci e le (tante) ombre della Cinecittà che ha reso grande Roma in quegli anni. Con un’intensa Anna Magnani nel ruolo di Maddalena Cecconi e un Valter Chiari alias Alberto Annovazzi, all’epoca sex symbol del cinema non solo nazionale (chiedere ad Ava Gardner e a Lucia Bosè, due fra le sue tante affascinanti partner, per conferma), in quello di una sorta di diavolo tentatore, descrive la realtà dell’Italia del secondo dopoguerra, fatta di sogni e di illusioni che proprio il mondo del cinema incarna ed esalta, nascondendo prima e palesando poi l’altra faccia della medaglia, fatta di cinismo e di meschinità.



Tutto nasce da una trasmissione radiofonica in cui si annuncia che il regista Alessandro Blasetti (che appare nella pellicola nel ruolo di se stesso) sta cercando una bambina per un film. Maddalena Cecconi, donna dall’esistenza misera, vissuta fra i palazzi del Pigneto, corre a portare la figlia ai provini, sognando così di poter permetterle una carriera artistica e una conseguente scalata sociale che a lei era mancata. Ad alimentare queste illusioni contribuirà anche un aitante assistente di Blasetti, Alberto Annovazzi, che millanterà di poter garantire la parte alla bambina, in cambio di 50.000 lire. Non contento, Annovazzi inizierà anche una tresca con la donna, nonostante lei sia sposata. Il gossip dell’epoca parlò di una tresca continuata anche fuori dal set, che ha coinvolto non solo i personaggi cinematografici, ma anche i due interpreti: Chiari e la Magnani.

Non è solo la Roma di Cinecittà quella che appare nell’opera di Visconti. Roma è presente con le sue atmosfere quasi in ogni scena. Come detto, la casa della protagonista è nella zona popolare del Pigneto, all’epoca ancora non toccata dall’attuale “movida”, per la precisione in via Alberto da Giussano 4, come viene detto esplicitamente nella pellicola. Effettivamente, guardando le inquadrature dei palazzi e delle finestre della casa, ci si rende conto che è proprio questo l'indirizzo in cui vennero girate le scene ambientate a casa Cecconi. Non distante, in quella che un tempo era l’arena dell’ex cinema Preneste, sono state girate invece le riprese della scena della proiezione all’aperto di un film. La lunga parte ambientata al ristorante, quella in cui i protagonisti pranzano insieme, è girata al “Biondo Tevere”, un locale storico aperto fin dai primi del novecento sulla via Ostiense, non distante dalla Basilica di San Paolo e tutt’ora esistente. Ed è davvero dalla parte posteriore del ristorante che i due scendono sull’ansa del Tevere, come si può capire dalla visione del Gazometro che fa da sfondo alle immagini.



(68) Angeli e demoni

di Ron Howard

Dopo il successo di tre anni prima con “Il codice Da Vinci”, il regista Ron Howard, nel 2009, torna a realizzare un film tratto da un romanzo di Dan Brown, chiamando nuovamente Tom Hanks a interpretare il ruolo del professor Robert Langdom, protagonista della saga semi-esoterica. Stavolta il professore deve vedersela con la setta degli Illuminati, che seminano terrore a Roma durante i giorni del conclave.

Com’è nello stile dei romanzi di Brown, in una sorta di caccia al tesoro per solutori più che abili, con importanti indizi disseminati tra i principali monumenti della città, il professor Langdom si trova a fare una sorta di inquietante giro turistico della Capitale per sbrogliare l’intricata matassa d’intrighi e complotti segreti che potrebbe portare persino all'esplosione dell’intera città. Una città che viene ripresa nella sua elegante bellezza e nei suoi punti artisticamente e storicamente più noti e importanti, da piazza Navona, a San Pietro, dal Lungotevere a Castel Sant’Angelo.



Non tutte le scene sono però state girate dal vivo, nei reali luoghi descritti nel film. Tra la curiosità della pellicola c’è infatti il diniego che il Vaticano e la Diocesi di Roma opposero alla richiesta della troupe di effettuare delle riprese all’interno delle chiese di Santa Maria del Popolo e Santa Maria della Vittoria, oltre che nella Biblioteca Vaticana e a Piazza San Pietro. Non si trattò di ragioni tecniche, bensì di ragioni ideologiche, filosofiche e religiose, vista la pessima figura, al limite del demoniaco, che la chiesa cattolica fa quasi sempre nei romanzi di Dan Brown.

“Forniamo spesso le nostre chiese a produzioni che hanno compatibilità con il sentimento religioso, ma non quando il film agisce in una linea di fantasia che va a ledere il comune sentimento religioso, come è successo con Il codice Da Vinci. Nel caso di Angeli e demoni non c'erano neanche i presupposti per chiederci permessi” disse all’epoca don Marco Fabi, responsabile dell'Ufficio Stampa della Diocesi romana, a chiarimento dei motivi di quel no. La Biblioteca Vaticana fu perciò sostituita con riprese all’interno della Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta, mentre piazza San Pietro venne interamente ricostruita a Los Angeles, grazie all’opera di alcuni ottimi scenografi.



(69) Brutti, sporchi e cattivi

di Ettore Scola

«Oh aho, ma 'ndo vai? Oh! Ma 'ndo vai, oh!? Ma 'ndo vai, oh ahooo!? Vojo annà 'ndo me pare, pensa pe' te!». Sembra un canto tribale quello scritto da Armando Trovajoli per fare da colonna sonora di “Brutti, sporchi e cattivi”, il film diretto da Ettore Scola nel 1976. Ed è in effetti una società tribale e violenta, senza morale, senza nessuno spiraglio di luce e senza bellezza, quella descritta nella pellicola. La periferia romana, il sottoproletariato che popola le baracche ai margini della città, non ha più nemmeno un briciolo di quella vena di poesia, di orgoglio e, in fondo, di speranza di riscatto che appariva nei racconti e nelle opere cinematografiche realizzate da Pasolini del decennio precedente.

In questo film, quel sottoproletariato è ormai diventato la ridicola caricatura di se stesso: grottesco e goffo, rancoroso, disumano e violento, brutto, sporco e cattivo, per l’appunto. In una baraccopoli alle porte di Roma, la pellicola descrive la vita quotidiana di una sorta di famiglia promiscua ed enormemente allargata, fino a contare circa trenta persone, che campa di ruberie ed espedienti. A capo della tribù c'è Giacinto Mazzatella, interpretato da Nino Manfredi, un vecchio guercio e dispotico, ossessionato dal milione di lire che custodisce gelosamente, soldi ottenuti come risarcimento per l’occhio perso in un incidente di lavoro in un cantiere, tanto quanto tutti gli altri sono ossessionati dall'idea di rubarglielo.



A richiamare anche visivamente, oltre che idealmente, il declino e il degrado di quell’umanità che quindici anni prima era stata la protagonista di una sorta di epica sottoproletaria narrata nelle opere pasoliniane, Scola chiama a interpretare delle parti nel film proprio alcuni fra gli attori resi celebri da Pasolini: da Ettore Garofolo, già figlio di Mamma Roma nell’omonima pellicola del 1962, a Franco Merli, protagonista de “Il fiore delle mille e una notte” e di “Salò”.

Il film è girato quasi interamente a Roma, nell’attuale parco di Monte Ciocci, tra la Balduina e l’Aurelia, una zona che all’epoca delle riprese era veramente occupata da baracche piene di operai, impiegati nei cantieri di Baldo degli Ubaldi e di Boccea, aree allora in costruzione. La scena in cui la nonna va a ritirare la pensione è invece girata al Palazzo delle Poste di Adalberto Libera, in via Marmorata, ambientazione certo poco credibile per i romani un po’ pignoli, essendo via Marmorata in un quartiere di Roma decisamente distante dalla baraccopoli.



(70) Parigi o cara

di Vittorio Caprioli

Qualcuno si starà chiedendo, dopo aver letto il titolo, cosa c’entri un film così in un elenco di pellicole dedicate a Roma. E’ presto detto: la Parigi idealizzata dalla protagonista e in cui lei si recherà a un certo punto della storia, è il sogno, la fantasia, l’illusione, ma dietro a quell’illusione c’è la realtà di Roma, di cui lei è figlia, in cui vive e lavora, con un mestiere antico, il più antico fra i mestieri del mondo, che le permette di elevarsi dalle sue radici popolari e trasteverine verso il benessere e l’eleganza borghese, proprio quell’eleganza che Parigi incarna nell’immaginario dell’epoca.

Film del 1962, diretto da Vittorio Caprioli e interpretato da Franca Valeri che ne ha scritto anche la sceneggiatura; unico nella quale l’attrice milanese risulti essere protagonista e non comprimaria. Attrice milanese, sì, eppure capace, nonostante l’antica differenza di spirito fra lombardi e capitolini, di cogliere l’animo della piccola borghesia di Roma, creando personaggi comici ma credibilissimi, come quella Sora Cecioni che somiglia molto alla protagonista di questo film. Personaggi che anche chi è nato a Roma apprezza, a differenza di quanto accadrà, anni dopo, a un altro meneghino che tenterà di fare il romano in diverse pellicole, risultando però piuttosto grottesco e impacciato nel suo finto romanesco: Adriano Celentano.



Delia, il personaggio interpretato dalla Valeri, è quella che oggi chiameremmo una escort, che si muove mirabilmente in una sorta di serena doppiezza, incarnata già dall’aspetto gradevole ma algido della Valeri, quasi da zitella, accostato al mestiere di prostituta. Delia è una prostituta snob, magistra elegantiae, con modi così perbene da non denunciare affatto la sua professione. E' anche un unicum nella filmografia di quegli anni, in cui le prostitute sono quasi sempre presentate come donne psicologicamente sofferenti e bisognose di redenzione. Delia no, vive con tranquillità il suo status e anche il suo rapporto con l'illegalità, non solo in quanto passeggiatrice ma anche come fondatrice di una banda di strozzini al Testaccio. Ha un fratello che vive a Parigi (Fiorenzo Fiorentini) che raggiungerà per potersi trasferire a vivere nella città sognata. A Parigi però non riuscirà a integrarsi, decidendo alla fine di tornare a Roma.

Se la Roma che appare e viene citata nel film è principalmente quella centrale, da Testaccio a piazza Vittorio, dalla stazione Termini a piazza San Silvestro al Colosseo, all’Isola Tiberina, la curiosità è che l’abitazione in cui viene collocata la protagonista risulta essere in tutt’altra zona della città: quella di Conca d’Oro, quartiere all’epoca di recentissima costruzione. Anche altre scene sono girate in luoghi e zone di Roma più periferiche, ma che durante gli anni Sessanta venivano frequentati soprattutto dalla Roma bene, come il bar sul laghetto dell’Eur o il famoso ristorante Lo Zodiaco, sulla collina di Monte Mario.

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