Il toccante film del 1977 diretto da Ettore Scola, attraverso le vicende private di Antonietta, una casalinga interpretata da Sophia Loren, e di Gabriele, ex radiocronista dell’Eiar in aspettativa, che nel film ha il volto di Marcello Mastroianni, offre uno spaccato storico sulla Roma di fine anni trenta, quella del massimo consenso al regime fascista ma anche quella che stava per entrare in una guerra devastante. La giornata particolare raccontata nella storia è il 6 maggio del 1938, giorno della visita di Adolf Hitler a Roma. Tutta la città è scesa nelle strade per salutare il Fuhrer, tranne poche persone. Fra queste poche c’è Antonietta, che deve sbrigare alcune faccende domestiche. Quando un uccellino scappa dalla finestra, per tentare di riprenderlo Antonietta si accorge della presenza di Gabriele, rimasto anch’egli nel palazzo, e gli chiede aiuto.
Nasce così, quasi per caso, una forte intimità fra i due, che finiranno per raccontarsi l’un l’altra le proprie miserie e le proprie amarezze. Gabriele, che era sul punto di suicidarsi, per un attimo pare sollevato dalle sue angosce, dovute anche a una condanna al confino che pesa sulla sua testa a causa della sua omosessualità, all’epoca considerata reato e che egli confessa anche ad Antonietta. Nonostante questo, il calore e la complicità che nasce fra l’uomo e la donna saranno talmente intensi da portarli comunque a fare l’amore insieme. Alla fine di quella strana giornata, però, ciascuno ritornerà alla propria vita precedente e al proprio destino.
Il film è interamente girato all’interno dei palazzi Federici, un enorme complesso di case popolari costruito nel 1931 in viale XXI Aprile, poco distante da Piazza Bologna. Si tratta di un’enorme struttura in stile razionalista ideata dall’architetto Mario De Renzi, che comprende 29 scale e circa 450 appartamenti: una vera città nella città. Fra le curiosità del film, c’è anche da sottolineare la presenza, nel ruolo di una delle figlie di Antonietta, di Alessandra Mussolini (di cui, nella vita reale, Sophia Loren è la zia), la nipote del Duce, che finisce così, sorprendentemente, per partecipare a un’opera in cui, al di là dell’intimismo della vicenda narrata, risulta piuttosto evidente la finalità critica nei confronti del regime fascista.
Film del 1983 di e con Alberto Sordi, narra le vicende di una città e dei suoi abitanti, famosi e meno famosi, visti attraverso gli occhi di “Zara 87”, alias il tassinaro Pietro Marchetti, il protagonista, che si trova a trasportare sconosciuti finendo per entrare in contatto con le loro vicende umane e le loro storie. Lo schema di racconto scelto da Sordi non è nuovissimo ed è, in fondo, una sorta di aggiornamento agli anni ottanta di vecchi escamotages narrativi, se pensiamo ad esempio a pellicole come “L’ultima carrozzella”, film del 1943, un’opera in cui Aldo Fabrizi interpretava anche lui un vetturino, in quel caso di una carrozza a cavalli, in giro per Roma per trasportare avventori sconosciuti, professionisti e soubrettes, finendo coinvolto nelle loro vicende.
Oltre ai normali clienti, Pietro Marchetti si troverà a caricare sulla sua Fiat Ritmo anche diversi vip, in una Roma che si presenta come capitale del cinema e della politica nazionale. E’ il caso di Giulio Andreotti, che interpreta se stesso in una scena del film e sale su quel taxi, così come ci sale Silvana Pampanini, matura diva ormai fuori dalle scene che il Marchetti-Sordi scambierà per Sylvia Koscina, facendola molto adirare. C’è poi Federico Fellini, che il tassista accompagna a Cinecittà, dove Fellini ha un appuntamento proprio con Alberto Sordi, in un incontro a cui Marchetti assisterà, con uno sdoppiamento del regista-attore, che a quel punto appare nel doppio ruolo di se stesso e del suo “sosia tassinaro”.
La Roma che dal film arriva allo spettatore è dunque filtrata sia attraverso le vicende di quei suoi abitanti che fruiscono di “Zara 87” sia attraverso i vetri della Ritmo del tassinaro, una macchina che apparentemente sfreccia nelle strade della Capitale in scene che, nella realtà, furono tutte girate in studio col sistema della retroproiezione. Anche la casa in cui abita Marchetti, apparentemente collocata al centro di Roma, non è davvero al centro di Roma bensì all’interno del borgo storico di Ostia Antica. Dunque solo pochissime immagini furono davvero girate nella Città Eterna, come ad esempio quella in cui viene consegnato un neonato, realizzata a Subaugusta (quindi a due passi dagli studi di Cinecittà), o quella dell’hotel dell’emiro, girata al Cavalieri Hilton.
Nonostante il titolo, di straniere vere a proprie nel film non ce ne sono affatto. In questa commedia del 1958 diretta da Claudio Gora, le presunte straniere sono infatti tre giovani e bellissime ragazze milanesi, giunte in treno nella Capitale per trascorrere alcuni giorni di svago durante le festività di Pasqua. Ottimo pretesto per dare vita a vicende romantiche fatte di giochi degli equivoci, in un tour fra le bellezze di Roma, sperando così di ripetere il successo avuto pochi anni prima da film come “Vacanze romane” e “Tre soldi nella fontana”.
La vicenda è esile e collaudata: le tre belle meneghine si spacceranno per ciò che non sono, ovvero le tre straniere annunciate dal titolo, al fine di venire meglio corteggiate e scarrozzate gratuitamente per la città da tre intraprendenti pappagalli locali. Il gioco riuscirà perfettamente per un po’, salvo poi venire scoperto, scatenando la rabbia e la bonaria vendetta dei tre corteggiatori capitolini, prima di arrivare all’immancabile lieto fine.
A dirla tutta, però, il titolo del film non racconta una bugia: nella realtà le tre donne sono effettivamente tre straniere. Se non i loro personaggi, lo sono infatti le loro tre interpreti: la francese Yvonne Monlaur, Françoise Danell e Claudia Cardinale, che come molti sanno è nata a Tunisi.
Ovviamente il film presenta la classica Roma da cartolina ripresa nelle sue bellezze del centro storico, dal Vaticano al Lungotevere, dall’Aventino a Trastevere al Colosseo, con una puntata anche all’osservatorio astronomico di Monte Mario.
Il curioso eroe di questa pellicola del 1955, diretta da Mario Monicelli, è Alberto Menichetti, ovvero Alberto Sordi, un uomo timido e complessato che vive ancora in casa con le vecchie zie ed è ossessionato dal timore di mettersi nei pasticci, finendoci, paradossalmente, proprio a causa delle sue paure. Del cast fanno parte anche Franca Valeri nella parte della vedova De Ritis, segretamente interessata ad Alberto, Giovanna Ralli, una bella parrucchiera a cui lui non ha il coraggio di fare la corte, Mario Carotenuto, Leopoldo Trieste.
Alberto, dunque, finirà per cacciarsi nei guai proprio per il modo maldestro in cui cerca di evitarli. Ad esempio, quando vuole disfarsi di alcune polveri esplosive conservate in cantina da uno zio anarchico e da lui ritenute compromettenti e pericolose, proprio nel momento in cui tenta di sbarazzarsene viene fermato dalla polizia, che da quel momento lo terrà sott’occhio. Finirà così per essere accusato di un attentato al quale è del tutto estraneo, rivelando durante l’interrogatorio un animo meschino, che lo porta ad accusare ingiustamente i suoi conoscenti pur di scagionarsi, inclusa la vedova De Ritis, che aveva testimoniato il falso per cercare di aiutarlo.
Tutta la vicenda si svolge in una Roma molto cinematografica, dove il termine non è da intendere nel senso di falsa, inautentica, ma sta a indicare la scarsa coerenza geografica nei luoghi frequentati dai protagonisti, spesso molto distanti l’uno dall’altro. È un elemento indifferente ai fini della narrazione, ma spiazzante agli occhi di un romano che dovesse riconoscerli. Perché se l’abitazione di Sordi è collocata in via Montevideo in zona Parioli e il suo luogo di lavoro nei pressi del giardino zoologico, quindi relativamente vicino alla casa, è curioso che il bar dove il protagonista si ritrova spesso con i suoi colleghi, anche nella scena iniziale, dopo avere assistito con loro a un incidente in piazza Lituania, cioè sempre ai Parioli, sia il chiosco ancora oggi esistente in piazzale Appio, adiacente a via Sannio e all’attuale palazzo della Coin, cioè dall’altra parte della città. Come dall’altra parte della città è piazza San Cosimato, a Trastevere, dove Alberto si reca a ricercare un pacco.
Ventiquattresimo film dell’intramontabile saga di 007, realizzato nel 2015 da Sam Mendes con Daniel Craig nel ruolo di James Bond, la spia inventata dalla penna di Ian Fleming e portata al primo successo cinematografico da Sean Connery, “Spectre” catapulta l’agente segreto più famoso del mondo nella Città Eterna. L’arrivo a Roma è giustificato dalla volontà di presenziare ai funerali di Marco Sciarra, un capo criminale che lui stesso aveva inseguito a Città del Messico per ucciderlo e con la vedova del quale, interpretata da Monica Bellucci, egli avrà un inevitabile flirt.
Film del 1962, diretto da Vittorio Caprioli e interpretato da Franca Valeri che ne ha scritto anche la sceneggiatura; unico nella quale l’attrice milanese risulti essere protagonista e non comprimaria. Attrice milanese, sì, eppure capace, nonostante l’antica differenza di spirito fra lombardi e capitolini, di cogliere l’animo della piccola borghesia di Roma, creando personaggi comici ma credibilissimi, come quella Sora Cecioni che somiglia molto alla protagonista di questo film. Personaggi che anche chi è nato a Roma apprezza, a differenza di quanto accadrà, anni dopo, a un altro meneghino che tenterà di fare il romano in diverse pellicole, risultando però piuttosto grottesco e impacciato nel suo finto romanesco: Adriano Celentano.
Dopo complesse peripezie che porteranno Bond in giro per il mondo, da Londra a Città del Capo a Tangeri, al deserto africano, a un rifugio tra le nevi delle Alpi, il bene come sempre riuscirà a trionfare e il male verrà sconfitto – anche se non del tutto, per poter lasciare spazio agli ulteriori film della saga – con l’ovvio happy end, che porterà l’agente segreto a festeggiare con l’immancabile “Bond girl” d’ordinanza, che in questo film ha il volto della francese Léa Seydoux.
All’epoca della realizzazione del film, diverse arre di Roma rimasero interdette al transito per giorni, creando una sorta di effetto attesa tra i romani per l’uscita sugli schermi di una pellicola che aveva sconvolto il traffico della città per intere settimane. Sono infatti numerosi i luoghi della Capitale che appaiono in “Spectre”, non solo all’interno del centro storico della città. C’è il Museo della Civiltà Romana all’Eur, che nel film è presentato come cimitero. C’è la Villa di Fiorano, sull’Appia Antica, elegante dimora della vedova Sciarra. Ci sono poi i forsennati inseguimenti che Bond effettua a bordo della sua Aston Martin, attraversando Trastevere, il Gianicolo, via Nomentana, il Lungotevere, piazza Navona, Ponte Milvio, la Fontana di Trevi, via della Conciliazione, in una sorta di adrenalinico giro turistico, ad oltre trecento chilometri orari.