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GENZIANA
TRADIZIONE
E SALUTE
IN UN LIQUORE

di GABRIELLA DI LELLIO
(foto d'apertura di SALVATORE COSTA)




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Dire genziana in Abruzzo è parlare di tradizione, ricordi e convivialità. Ogni scusa è buona per farsi un goccio di genziana. L’arte di farla in casa è una sapienza antica che si tramanda di generazione in generazione, perché da sempre gli abruzzesi hanno raccolto le radici in primavera o in autunno.

La pianta cresce spontaneamente sul Gran Sasso e sulle montagne intorno alla conca aquilana, e esistono diverse varianti nella preparazione del liquore. Ogni nonno ha la sua genziana: semplice o speziata, ciascuno con una propria eccezione. Pochi ingredienti sono sufficienti a preparare questo digestivo immancabile per portare a termine un pranzo in vero stile abruzzese.



La ricetta della signora Laura



La signora Laura vive ad Arischia, una frazione dell’Aquila, e da trent’anni produce il liquore di genziana secondo l’insegnamento del padre, con qualche lieve modifica.

“La ricetta di famiglia prevede un’infusione, o meglio la macerazione, delle radici di genziana essiccate nel vino bianco per almeno 40 giorni” spiega. "All’inizio si spazzola con cura la radice per togliere i residui della terra e poi si lascia in ammollo per una giornata intera. Si taglia a listarelle e si fa essiccare. Ne utilizzo 40 gr per litro. Si può anche usare la radice fresca ma in questo caso bisogna aumentare il quantitativo, più o meno 70 gr per litro. Preferisco usare il vino bianco (quest’anno ho usato lo Chardonnay) mentre mio padre usava il vino rosato. Trascorsi i 40 giorni di infusione, avendo cura di scegliere un luogo buio, fresco e asciutto dove custodire il barattolo di vetro, si filtra l’infuso e si aggiunge un chilo di zucchero e un litro di alcool”.



Il dosaggio degli ingredienti non è mai preciso perché la frequenza di esecuzione della ricetta permette aggiustamenti delle dosi.

“Le radici usate dopo il primo filtraggio possono essere riutilizzate, per farne un po' di più, unendo gli ingredienti necessari (vino, zucchero e alcool) a metà dose, e sfruttare la radice già imbevuta dall’infuso precedente. È in questa maniera che il liquore di genziana assume quel colore di cognac con il particolare sapore amaro di radice e di terra.”

“Il colore” - prosegue la signora Laura - “dipende dal tipo di vino usato ma soprattutto dal quantitativo di radice utilizzata. Trascorsi quaranta giorni è pronto ma, per assaporare al meglio, è necessario attendere alcune settimane. Il gusto varrà l’attesa” conclude soddisfatta.

La genziana speziata è differente. Si usa meno radice, 25 gr, e viene aromatizzata con una stecca di cannella, 5 chiodi di garofano, 3-4 limoni, 250 gr di zucchero e 10 chicchi di caffè per ciascun litro di vino. È più leggera e più chiara, con minor sapore di radice

 

Esistono anche produzioni aziendali come la distilleria Jannamico Michele & Figli di Lanciano (Chieti), il Liquorificio d’Abruzzo a Ovindoli o quello artigianale Terra dei Briganti a Roccamorice (Chieti).

Se la versione del centro Italia è la più diffusa, bisogna ricordare quella del Trentino, l’unica ad avere il marchio IG (Indicazione Geografica). La differenza è nel procedimento perché, in questo caso, si tratta di un vero e proprio distillato.



La fitoterapia con la Genziana



Un tempo, quando il chinino era troppo costoso e scarseggiava, per curare le febbri malariche si faceva ricorso alla Genziana maggiore o genzianella (Genziana lutea).

Il nome della pianta deriva da Gentium, un re dell’Illiria che sembra sia stato il primo, nel II secolo d.C., ad utilizzarla a scopo terapeutico e a divulgare gli effetti benefici. Veniva usata per combattere la febbre e gli stati infiammatori, per le malattie del fegato e dello stomaco, per cicatrizzare le ferite e per guarire i morsi dei serpenti. I Romani, invece, la utilizzavano per curare i disturbi dell’apparato digerente e per le proprietà vermifughe. Fu chiamata anche 'l’erba di San Ladislao' dal nome del re d’Ungheria. Una leggenda racconta che durante il suo regno il paese fu colpito da un’epidemia di peste. Per sconfiggere il flagello, essendo divulgatore della religione cristiana, il re pregò intensamente e il Signore si rivelò in sogno sotto forma di angelo. Gli ordinò di scagliare una freccia che colpì una piantina di genziana, grazie alla quale il re e i suoi alchimisti riuscirono a guarire i sudditi dalla tremenda epidemia.



La pianta ha fiori coloratissimi che variano dall’azzurro al blu elettrico dell'iconografia alpina, al viola, al giallo della genziana “lutea”. Cresce nei territori montani da 1000 a 2200 metri, nelle Alpi e negli Appennini. A renderla pregiata sono le radici carnose, che contengono la genziopicrina e amarogentina, i due principi che conferiscono il gusto più amaro esistente in natura. Per la raccolta delle radici vengono scelte le piante piuttosto vecchie, perché la crescita è molto lenta e la radice andrebbe prelevata estirpandola solo parzialmente, in modo da consentire alla pianta di continuare a vivere.

A causa della raccolta indiscriminata è diventata una specie a rischio di estinzione. Ecco perché, analogamente al genepì, viene tutelata e non può essere raccolta liberamente. Data l’importanza industriale sono stati impiantati campi di coltivazione a Palena, Cascina di Cagnano Amiterno e a Scanno. All’interno della regione, però, mancava un'associazione in grado di promuovere il consumo e diffondere la cultura; da qui l’idea di Silvio Pacioni di fondare la Compagnia della Genziana di cui è Presidente.

 





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