Per chi è bloccato nelle cantine di Mariupol senz’acqua, elettricità e cibo, il problema principale è sopravvivere, e il domani è, letteralmente, il giorno dopo. Sta a noi, che non siamo in quelle condizioni estreme, cominciare da ora a pensare al domani dell’Ucraina e della sua popolazione, in primo luogo all’ambiente. La devastazione causata dalla guerra è enorme: dai danni all’agricoltura e le infrastrutture, con conseguenze enormi per l’approvvigionamento alimentare, la deforestazione e la contaminazione dell’acqua, all’inquinamento provocato dalla proliferazione di mezzi pesanti e armi chimiche, per finire con la potenziale catastrofe di un incidente alle centrali nucleari se non di un uso di armi nucleari anche solo tattiche. Le mine inesplose sono una delle cause maggiori di questo disastro ambientale.
Sabato scorso il president ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che le forze russe, ritirandosi dalle loro postazioni attorno a Kyiv, stanno lasciando dietro di sé un gran numero di mine, oltre ad un gran numero di vittime civili, anzi stanno perfino minando i cadaveri non ancora raccolti abbandonati per strada. Il problema è serio ed urgente, e Zelensky fa bene ad avvertire i suoi concittadini che non è ancora il momento di tornare a casa. Il guaio è che l’urgenza non è solo momentanea. Lo sa bene il Ministro degli Interni Denys Monastyrsky, che oltre all’enorme numero di munizioni e mine inesplose usate contro l’Ucraina, molte rimaste sotto le rovine, ricorda che ci sono anche le mine che gli Ucraini stessi hanno piantato su ponti e aereoporti per impedirne l’uso ai Russi.
Negli otto anni della guerra finora limitata alle
zone orientali dell’Ucraina, sono già morti
2000 civili a causa delle mine. Il costo umano è
evidentemente molto alto. Ma soprattutto in un paese
come l’Ucraina, dove l’agricoltura è importante per
l’economia, le mine causano ingenti danni ambientali: in
primo luogo il degrado del suolo, perché rendono
impossibile l’accesso ai terreni, poi la perdita di
biodiversità per la presenza di tossicità. Danneggiano
la stabilità del terreno distruggendone la struttura, e
facilitano così anche l’erosione del suolo. Questa
contaminazione, ha detto
Sarah Njeri, del King’s College a Londra in un
convegno delle Nazioni Unite a Ginevra, introduce un
terzo livello di vulnerabilità ambientale oltre a quello
della guerra e del clima, perché interagisce con
l’eco-sistema e aggrava il degrado,
provocando crisi alimentari.
L’agricoltura di
paesi come l'Afghanistan, l’Angola, lo Yemen, il Chad,
l’Iraq, l’Ethiopia, lo Zimbabwe, l’Eritrea, la Somalia,
il Sudan, il Sudan del Sud, il Congo e il Niger è stata
profondamente danneggiata dalle mine. Un grande problema
è, come ha riconosciuto il ministro ucraino
Monastyrsky, che “ci vorranno anni, non mesi, per
disinnercarle.” Gli Ucraini ci stanno sorprendendo
anche in questo campo. Mentre lanciano l’allarme a
Brovary, a poco più di 20 kilometri da Kyiv, hanno
già disattivato 650 mine in Irpin, un’altra cittadina
nelle vicinanze della capitale, secondo il Kyiv
Independent. Non è poco, ma ci sarà molto più da
fare e per molto tempo.
Dovremmo saperne qualcosa anche noi Italiani, che
ancora abbiamo nel nostro sottosuolo
25.000 bombe d’aereo inesplose. Sono lì dal 1945.
L’anno scorso ne è stata disinnescata una di 220 chili
in provincia di Ravenna, mentre 50 famiglie di Sasso
Marconi e 5000 persone a Monterotondo sono state
evacuate per il ritrovamento di ordigni inesplosi nelle
vicinanze. Quelli sono stati messi lì dagli Alleati.
Bisogna aggiungerci le mine, le granate e le bombe a
mano inesplose, e infine le munizioni di armi pesanti
lasciateci dai Nazisti. In alcune zone alpine ci sono
ancora bombe con gas asfissiante risalenti alla Prima
Guerra Mondiale.
Ci fa buona compagnia l’Egitto,
dove continuano a morire o essere mutilati i malcapitati
che incappano nelle vecchie mine della battaglia di
El Alamein nel 1942 e dove solo quattro anni fa
hanno creato un centro per le protesi nella regione più
affetta dal problema. Del resto nel mondo si stima che
ci siano
100 milioni di mine inesplose, di cui 10 nella sola
Cambogia. Sono cifre interessanti, se si pensa che le
mine anti-uomo sono proibite dalla cosiddetta
Convenzione di Ottawa, conclusa nel 1997 ed entrata
in vigore nel 1999, grazie ad una mobilitazione
transnazionale che ha visto la partecipazione, tra le
figure più famose, anche di Diana Spencer. Sono 164 i
paesi che hanno firmato la Convenzione, e l’Ucraina è
tra questi. Ha ratificato la Convenzione nel 2005. Non
è così per la Russia, ma neanche per gli USA, Cina,
Israele,
India, Pakistan e Corea del Sud.
Il Kosovo fu completamente
contaminato da mine inesplose durante la guerra del
1999. L’esercito jugoslavo dopo la guerra mise a
disposizione una mappa dei 600 campi che aveva minato ma
non ci fu nessuna mappa ad indicare dove si trovavano
ordigni inesplosi piazzati dalle forze speciali e
paramilitary serbe o dall’UÇK, il gruppo armato
albanese. Il tasso di fallimento delle bombe lanciate
dalla NATO è stato dal 10 al 20%, e quindi quelle
inesplose e rimaste nel terreno sono un pericolo. Ma nel
2001 le Nazioni Unite dichiararono il Kosovo paese
finalmente privo di mine. Fu un successo rapido, e
chiaramente molto insolito. Ed è così che Kosovo è
diventato un centro di formazione di personale sminatore
dove a Peja/Peć opera la
MAT (Mine Awareness Trust), che da non
profit è si è trasformata nel 2010 in una organizzazione
“sorella” della Praedium Consulting Malta, una società
che si occupa di mine inesplose. Dal MAT sono passate
migliaia di persone ad imparare tecniche di sminamento.
Non è che in Kosovo sono ci
siano supermen per ottenere risultati così positivi e in
così poco tempo. Il disinnescamento di mine può avvenire
solo in quello che gli esperti chiamano ambiente
"permissivo" o "semipermissivo", cioè dove si può
lavorare senza rischio. Nel Kosovo il dopoguerra fu
decisamente un periodo sicuro, ma attualmente in
Ucraina, come in Syria e Iraq, si combatte ancora. Ciò
che si può fare, in mancanza di pace, è comunque
identificare il terreno contaminato grazie a metal
detector ma anche cani addestrati. È anche un lavoro di
prevenzione, perché entro un paio di anni dal conflitto
la ricrescita della vegetazione nasconde le mine alla
vista e le rende estremamente pericolose.
Una volta entrati in un ambiente “semipermissivo” la fase iniziale dello sminamento riguarda la messa in sicurezza di infrastutture essenziali come le centrali elettriche, le scuole, gli ospeali, i serbatoi d’acqua, un lavoro che i Kosovari hanno fanno con i Kurdi in Syria dopo il ritiro di ISIS dal nord del paese. Purtroppo fu un lavoro temporaneo perché ISIS recuperò i territori sminati. Non ci sono mai scorciatoie per lo sminamento. “L’ambiente, ha detto Inger Andersen, Direttore Esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente appunto, "è sempre una vittima del conflitto. Sempre. Lo abbiamo visto in molti conflitti, indipendentemente da come cominciano o come finiscono. E quando l’ambiente è una vittima della guerra, la gente soffre – non per poche settimane o mesi, ma molto tempo dopo che il conflitto è finito.”
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