Fotografie di Gianni Viviani
10 set 2020
Dopo la giornata pietosa passata nella calca della Pelosa, ci siamo voluti consolare con una cenetta all'Ittiturismo Antares, attività di cui non sospettavamo l'esistenza ma che, ci avevano spiegato, è lo stesso concetto di un agriturismo, solo di pesce. Si mangia a casa di Angelo il pescatore, in una zona appartata e residenziale di Stintino, una casa borghese, senza pretese. E senza pretese, ci avverte, sarà anche la cena, cucina dell'Asinara e di Camogli, perché lui fa di cognome Schiaffino, e da lì viene la sua famiglia.
Menù variabile, dettato dal pescato quotidiano; nel nostro caso rana pescatrice in versione antipasto e secondo, zuppetta di seppie e patate e pasta allo scorfano. Siamo una ventina di commensali, tavoli da due, ben distanziati. L' atmosfera è meno conviviale di quando si poteva avere un unico tavolone, si rammarica Angelo, "ma le regole sono regole, e io, aggiunge, ero sergente". Le portate si susseguono incalzanti, saporite, abbondanti, la quantità è generosa, il vino pure.
In cucina moglie e figlia, in tandem, lavorano indaffarate e ben sincronizzate. Un affare di famiglia, con Angelo che fa la spola tra i tavoli e il passavivande, veloce a servire e sparecchiare, simpatico anfitrione, pescatore affabulatore. Porge ogni portata e nel farlo ce la racconta e si racconta: la fatica di alzarsi ogni mattina alle quattro, l'orgoglio di essersi inventato questa attività, la necessità di mantenerla prestando massima attenzione a quanto questo neo galateo Covid, ora impone. Cosa che lui fa, con precisione.
Per noi, in vacanza, un giorno vale l'altro, il calendario scandisce solo tappe e partenze, non le ricorrenze, che per gli altri continuano ad esserci: l'8 settembre, a Stintino, si celebra, si sarebbe dovuta celebrare, la Beata Vergine della Difesa, Santa Patrona. Non è un evento di portata nazionale ma in zona ci tengono. Fosse stato un anno normale, già a fine agosto sarebbero iniziati i festeggiamenti, ci sarebbero già stati i fuochi d'artificio, le processioni, diversi concerti, le sagre. Ma quest'anno, causa Covid, niente.
Unica concessione alla celebrazione, la chiusura dei pubblici uffici tra cui quello postale, nostra prima meta mattutina. Perciò, per noi, questo 8 settembre è iniziato con una duplice seccatura. La prima: l'impossibilità di pagare in loco la stupida multa presa all'Isola dei Gabbiani, prima che scatti la mora. La seconda: causa Grecale, niente gita all'Asinara col catamarano. Fatta di necessità virtù, ci siamo inventati un tour alternativo: Capocaccia con bagno, in mattinata, seguito da giro di Alghero, con cena, in serata. La multa siamo riusciti a pagarla con un detour a Santa Maria de la Palma, piccolo centro di vini e contadini. Un'ampia piazza vuota di persone e macchine, un bar pieno di soli uomini, una chiesa brutta e imponente, un ufficio postale minimale accanto ai Carabinieri, due piccoli negozi gemelli. Caldo, sole e silenzio. Sembra il set di un film neorealista, girato in bianco e nero. Quanto fosse lontana la Costa Smeralda, economicamente parlando, ce n'eravamo accorti già dalla provinciale, una carreggiata butterata, ben diversa da quelle lisce come biliardi, perfette e curate, di Porto Cervo e dintorni.
Capocaccia, con il bonus di aver rivisto un'amica d'infanzia, spettacolare lo è, ma lo sarebbe molto di più se un ecomostro in abbandono non lo deturpasse in quel modo orrendo. Scattate un paio di foto, fatto un piacevole bagnetto nella baia, via senza rimpianti
Alghero, beh Alghero è una chicca. Ma è stata una visita toccata e fuga. Unico evento memorabile, la pregevole cena al Nautilus, sui bastioni, con vista dello struscio serale e di un tramonto infuocato. Meglio confessare subito, siamo stati in tutto quattro ore e due le abbiamo passate a mangiare. Le altre due a fare avanti e indietro fino al parcheggio, per rimpolpare di euro il tachimetro, dato che la sosta si paga fino a mezzanotte.
Per quel poco che vale, però, la buona impressione l'abbiamo avuta da subito, fin dal profumo dell'ampia pineta che separava la strada da quella spiaggia senza fine, che ci aveva accompagnato per chilometri, fino ai bastioni. Ad Alghero, mi dicono, si prende il sole tutto l'anno. Così ho capito perché sono tutti così tanto abbronzati. C'era un gruppo di ragazzini, all'ora dello struscio, le ragazzine in shorts, con quelle loro gambette sottili da fenicottero, e mi chiedevo... ma vengono dal Camerun? Marroni, erano. Cioccolata. Fondente.
E non solo una o due, come per caso. Così ho cominciato a farci caso: era cosa diffusa. Uomini, donne, giovani, anziani. Locali. Evidenti i turisti, più che mai gli stranieri, di parecchi toni più chiari. Inclusi noi, due mozzarelle. Si deve vivere niente male, ad Alghero, un tenore di vita che, così, con uno sguardo superficiale, sembra piacevole, rilassato, benestante. Basta guardare il numero di barche ormeggiate nel porto, che ne è stipato. O il tipo di negozi, le boutique, la ricercatezza delle vetrine, la qualità e varietà dei ristoranti, le gioiellerie. Tantissime gioiellerie. Corallo vendono, soprattutto. Non lo sapevo, pensavo fosse un prodotto della Costiera Amalfitana, invece la costa del corallo è qui. E la città se ne adorna.
All'oro rosso del mare è dedicato l'allestimento, non so se permanente, di rami rossi simil corallo, davanti al torrione
di pietra, realizzato dallo stilista Antonio Marras, star creativa e internazionale di una moda pensata, artistica, elaborata,
che qui ad Alghero c'è nato. Una volta lo pescavano senza ritegno, il corallo, trascinando le reti, con delle croci di legno che
grattavano il fondo. Un metodo devastante che ha portato a severi controlli: oggi lo si pesca con maggior ritegno, in immersione
e solo tra maggio ed ottobre. Detto questo ce n'è ancora una bella inflazione.
(7 - Continua)