Fotografie di Gianni Viviani
17 Settembre 2020
L' imperscrutabile navigatore, data la rotta Costa Verde, sceglie di farci passare per Oristano e ce lo poteva risparmiare. Proseguiamo, ligi alle talvolta discutibili indicazioni che ci portano fino a Marceddì, sull'omonima e davvero spettacolare laguna, nota per i suoi prodotti ittici. E lì lo sconcerto. Davanti al ponte in cemento armato, unico modo per attraversarla, un cartello perentorio diffida molto esplicitamente dall'azzardarsi. E ora, che si fa? Non un dietrofront, si spera. Interrogato, un tipo con la lenza, che si stava facendo gli affari suoi, benignamente ci rassicura: "Passate pure. Sarebbe per noi pescatori, ma ci passano tutti. Aspettate solo che non venga nessuno dall'altro lato".
Consiglio scontato, ci passa a malapena una macchina. La strada per Arbus è impervia e impegnativa. Il fotografo conducente l'affronta con aplomb, tenuto conto che, a quell'ora, normalmente si gira dall'altra parte. Una sfilza di curve a gomito vissute con suspense, ogni incontro con le macchine in senso opposto ha la potenzialità di uno scontro. Sullo sfondo, la linea possente, frastagliata e fotogenica del Monte Arcuentu, un vulcano inattivo, che ne ha perso l'aspetto ma conservato il fascino.
Finalmente Arbus, strano posto dalla planimetria labirintica e claustrofobica. Città dei coltelli, e di un museo per celebrarli, che vorremmo visitare. E qui il navigatore ha dato il meglio di sé, facendoci incastrare, letteralmente incastrare, in una stradina estemporaneamente sbarrata da lavori in corso. Dieci minuti per districarci, un buon numero di accidenti rivolti al suddetto, con il quale stiamo avendo un rapporto conflittuale, e alla fine ci siamo andati a piedi, per vedere con i nostri occhi il coltellone più grande del mondo (entrato nel Guinness dei primati per l'orgoglio di un uomo) lungo quasi 5 metri, pesante quasi 300 Kg, non abbiamo controllato al centimetro.Ci siamo fidati. Non è quello documentato, sempre grande ma molto più piccolo. Il gigante era all'esterno, al buio di una tettoia, tra cose ammassate. Infotografabile.
Opinel? L' Arburesa, un tipico coltello a serramanico, ci assomiglia. Ma è meglio. È una piccola opera d'arte, con variazioni sul tema, sia per l'uso, da sgozzo, da scanno, per scuoiare, che per la decorazione, ed è il risultato della passione, della collezione e dell'ossessione di un uomo, Franco Pusceddu, che ha scelto di autocelebrarsele con un suo museo privato.
Proseguiamo diretti a Piscinas passando da Ingurtosu, per oltre un secolo centro direzionale di un insediamento minerario che si estendeva lungo tutta la valle.Oggi un luogo suggestivo, affascinante, spettrale, con ruderi pericolanti che assomigliano a rovine romane, nei quali è difficile riconoscere quali fossero le case, quali gli impianti, lo spaccio, i negozi, la posta, la scuola, l 'ospedale. Erano sette i borghi ora in macerie, e accoglievano 2500 operai con le loro famiglie. Solo due strutture sono ancora ben conservate: il "castello" in stile Mandalay, residenza della direzione in posizione dominante e le ville Wright e Ginestra, rispettivamente del vicedirettore e del presidente della compagnia inglese che gestiva le miniere.
Dai numerosi giacimenti, dalla seconda metà dell'800 agli anni '70 del secolo scorso, venivano estratti argento, piombo e zinco. Il declino arrivò nel secondo dopoguerra, quando il settore minerario crollò. Gli edifici presto divennero ruderi e Ingurtosu solo un nome sulla mappa.
Un cartello annuncia l'inizio della strada "ecologica", leggasi dissestata e non asfaltata, encomiabile scelta quella di non deturpare questa terra di sudore e fatica, ma chiedetelo alla nostra Kangoo che ne pensa. La sterrata sovrasta un canyon sabbioso e pallido, che si trasforma in dune ricoperte da una vegetazione scarsa e battuta dal vento in prossimità del mare. Cristian, che abbiamo incontrato al museo delle miniere, ci ha suggerito di pranzare al ristorante del campeggio Sciopadroxiu: "Lo chef è mio amico, il pesce è freschissimo e il ristorante dell' hotel Le Dune, che è pure chiuso, ve lo avrei sconsigliato" dice, raddoppiando tutte le consonanti. Si campeggia in un bosco di eucalipti, immersi nel loro profumo. Sembra di stare in Australia.
Al ristorante, dove si è mangiato benissimo, ad un certo punto è entrato un signore, un ometto in canotta e infradito, che parlava francese con i suoi due compagni : "Molto neorealista" - dice lo snobbone, compagno di viaggio. "Molto Dolce & Gabbana" dico io, così impara. Il simpatico ometto, che avrei detto madrelingua francese, perché ormai le doppie "r" superavano le doppie consonanti, ci si avvicina con aria nostalgica: "Sono nato qui - ci dice, d'emblée, non interrogato - ho lavorato qui, in miniera. Tutte me le sono fatte. A me piaceva. I miei amici sono morti tutti, e mio padre anche, a 47 anni. Ma io ci stavo bene". Benissimo magari anche no, perché a 22 anni ha fatto fagotto e ora vive ad Avignone. E se ne va così, senza un'altra parola, gli occhi velati dai ricordi.
Dopo un breve e rischioso bagnetto, in zona congestione post pranzo, sulla scenografica spiaggia di Piscinas, selvaggia ma rifornita da due ristorantini, da servizi e persino ombrelloni, per fortuna di paglia, proseguiamo sulla SS126 sud. Il tracciato, su Google Maps, sembra un elettrocardiogramma in fibrillazione. La giornata nata impegnativa è continuata tale per altri chilometri di curve e di boschi, con il navigatore che a volte entrava anche lui in fibrillazione e diceva cose senza senso, per poi rimangiarsele. Avrei baciato la terra di Sant'Antioco, quando siamo finalmente arrivati. Il conducente, ormai muto dalla fatica, si è limitato a stramazzare sul letto del b&b. E stasera a nanna senza cena. Ma con due spritz.